Solo qualche giorno fa, la storia di Felice Marchioni– cliente dell’anno per la Guida Espresso, disabile e impossibilitato ad andare in un ristorante per colpa di tre gradini – ha acceso i riflettori su un problema sociale e culturale molto serio: l’accessibilità dei luoghi (di tutti i luoghi, quelli di lavoro, quelli della vita pubblica e anche i bar e i ristoranti) a chi ha una disabilità motoria.
Può un esercizio commerciale non essere accessibile ai disabili e non fare nulla per adeguare i suoi spazi? Ahinoi, sì, può, e questo di certo non fa onore al nostro Paese, che peraltro, sul tema, ha più di un problema, con stazioni, ospedali, luoghi pubblici in cui spesso gli ascensori non funzionano e le rampe sono inesistenti.
Però ci piacerebbe immaginare una ristorazione inclusiva, e in effetti i presupposti per farlo ci sarebbero pure, al di là di quello che prevede la legge. Legge che, nonostante i grandi principi di base vadano in un’altra direzione, è purtroppo non troppo intransigente sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Cosa prevedono i principi di base
Se fosse necessario ribadirlo, in un mondo che funziona l’accessibilità dovrebbe essere garantita a chiunque negli edifici di qualsiasi genere, pubblici e privati. Non lo diciamo noi, ma la Costituzione italiana, che prevede all’articolo 3 che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” e che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Se non bastasse c’è anche un principio sovranazionale che dice grossomodo la stessa cosa, ovvero la Convenzione O.N.U. sui diritti delle Persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano nel 2009, che non riconosce “nuovi” diritti alle persone con disabilità, ma “intende piuttosto assicurare che queste ultime possano godere, sulla base degli ordinamenti degli Stati di appartenenza, di tutti i diritti riconosciuti agli altri consociati, in applicazione dei principi generali di pari opportunità”. In generale – si legge sul sito del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali – “la condizione di disabilità viene ricondotta all’esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla società” e quindi lo scopo della Convenzione “è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità”. Ottimi principi, applicati un po’ così così.
Cosa dice la legge
Se è vero che la normativa nazionale prevede “una serie di disposizioni al fine di favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico”, è altrettanto vero che al momento queste disposizioni si applicano per lo più agli edifici di nuova costruzione.
La disciplina vigente (contenuta nel D.P.R. 503/1996) prevede infatti determinati requisiti per la costruzione degli edifici e l’accessibilità agli spazi. Requisiti che riguardano scale, rampe, parcheggi e accessibilità in senso lato, e che, in caso di nuovi lavori o nuove costruzioni, devono essere rispettati, pena la dichiarazione di inagibilità.
Ma per quanto riguarda le strutture già esistenti? Fatta eccezione per i servizi di pubblica utilità (treni, stazioni, servizi di navigazione, edifici scolastici, ospedali, eccetera), che hanno specifiche disposizioni dedicate, tutti gli altri restano in una zona grigia, in cui dovrebbero adeguarsi abbattendo le barriere architettoniche.
Favorire l’accessibilità conviene a tutti
Per garantire che questo venga fatto, e che venga fatto nel più breve tempo possibile, la maggior parte delle regioni italiane ha stanziato delle risorse – destinate anche agli edifici commerciali di qualsiasi tipo – per incentivare l’abbattimento delle barriere architettoniche. I contributi sono a fondo perduto, si quantificano in base alla spesa prevista per gli interventi, e vanno richiesti al comune di residenza.
Ma ci sono anche incentivi nazionali: il famoso Superbonus con detrazioni fiscali al 110%, ad esempio, includeva anche spese per l’acquisto di ascensori, montacarichi e investimenti per agevolare gli spostamenti di persone con disabilità .
La legge di bilancio 2022, inoltre, ha introdotto una nuova agevolazione, valida solo per le spese sostenute nel 2022, per la realizzazione di interventi finalizzati al superamento e all’eliminazione delle barriere architettoniche in edifici già esistenti, consistente in una detrazione d’imposta del 75% delle spese documentate sostenute nel periodo tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2022.
Certo, non è molto, ma evidentemente il problema non è in cima alle agende nazionali e locali. La confusione sulle normative è tanta, e gli incentivi all’abbattimento delle barriere architettoniche non sono sufficienti e sufficientemente promossi.
Qualcuno ogni tanto prova a fare più chiarezza, ma i risultati non arrivano. Qualche tempo fa una Commissione di studio, istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, aveva lavorato alla predisposizione di un nuovo regolamento al fine di superare le sovrapposizioni esistenti tra i regolamenti vigenti, aggiornarne i contenuti all’evoluzione tecnica, e rendere omogenee le disposizioni tra edifici e spazi pubblici e privati. Tuttavia, tale regolamento non è mai stato emanato.
Così gli scalini davanti ai ristoranti restano, e i disabili restano fuori.