A chiedere, a parlarne, fino a qualche giorno fa saremmo stati d’intralcio ai cuochi e agli imprenditori dei ristoranti di Venezia, che oggi cercano di rimettersi in piedi. Ora che la paura ha lasciato il posto alla gestione della quotidianità, però, ci sembra doveroso ascoltare la voce di chi – in occasione della straordinaria acqua alta che, nella notte tra martedì e mercoledì scorso, con un picco di 187 cm, ha messo in ginocchio la città e le isole – ha subito danni e ha perso molto.
Discutere l’opportunità o meno di scelte ingegneristiche prese anni fa, del Mose, o delle conseguenze del cambiamento climatico non è compito di Dissapore. Qui si parla di cibo e delle persone che di cibo vivono.
Ecco perché mi sono fatta raccontare dai ristoratori veneziani cosa siano stati questi giorni e cosa si fa quando ci si ritrova il locale invaso dall’acqua salmastra, che sommerge tutto e che non se ne va veramente mai, lasciando dietro di sé una scia di sale che corrode senza sosta.
Se i danni subiti dal Caffè Florian in Piazza San Marco – simbolo cittadino datato 1720 – sono probabilmente quelli di cui si è parlato di più (una settimana di chiusura, danni a mobili, pavimenti e arredi di pregio, frigoriferi ed altri elettrodomestici per una prima stima quantificata in circa 100mila euro), sono tuttavia molte altre – e molto diverse tra loro, a seconda della zona della città, più o meno bassa – le situazioni di difficoltà.
C’è Paolo Lazzari, titolare di Vini da Gigio, uno dei ristoranti storici della città, in Strada Nova, che ha riaperto già venerdì e al quale un restauro concluso mesi fa ha impedito di subire danni ancora più ingenti. “L’80% delle attrezzature è ripartito, non ho perso materia prima: ho avuto danni, certo, ma ora c’è solo il desiderio di tornare alla normalità. Ho ricevuto messaggi di incoraggiamento da clienti di tutto il mondo e prendo in prestito le parole che mi hanno detto alcuni amici produttori vitivinicoli: ‘è come prendere la grandine’. Piuttosto – precisa- mi hanno colpito la noncuranza e le molte parole al vento sentite in questi giorni”. Esiste un’assicurazione? chiedo. “Non esiste un’assicurazione specifica contro l’acqua alta. C’è quella per calamità ed eventi atmosferici, ma una per l’alta marea no”. E del resto, quale assicurazione accetterebbe di assicurare i clienti per un evento che a Venezia è quasi diventato normale?
Danni più seri quelli subiti dai fratelli Dario e Alberto Spezzamonte, titolari di Estro, uno dei locali che hanno ridisegnato il volto della cucina contemporanea veneziana.
“Abbiamo riaperto, ma i danneggiamenti subiti dai macchinari sono notevoli. Abbiamo perso scorte e credo che riusciremo a quantificare esattamente le perdite tra un bel po’, così come ci vorrà qualche settimana per riprendersi. Non faccio molto affidamento sui rimborsi, preferisco arrangiarmi. Devo dire che la solidarietà dimostrata – sia dai veneziani, che da fuori regione – è stata grandissima. Qui a Dorsoduro (il sestiere in cui si trova il locale n.d.r) è ancora fortissimo il senso di comunità e l’aiuto è stato tanto”. Cosa si fa con l’acqua salata, chiedo. Come si sanifica? “Si lava con cura, noi abbiamo lavato tutto diverse volte. Purtroppo il sale rimane, penetra e i danni si vedono a distanza di tempo. In generale comunque con l’umidità tutto ha vita più breve”.
L’eleganza e l’ironia (e l’aplomb) con cui Elisa Pantano, titolare dell’Anice Stellato, dietro il Ghetto, ha affrontato la marea, raccontano molto dello spirito dei veneziani e della loro capacità di pescare sarcasmo e umorismo anche in mezzo ad un’acqua alta che non si vedeva dal 1966.
“Noi ci eravamo preparati: in caso di previsioni del genere si sposta di solito tutto in alto, anche su basi di legno o mattoni, mettendo in sicurezza, svuotando dispense e frigoriferi. Certo non ci si aspettava un evento simile, ma siamo stati fortunati perché non abbiamo avuto grandi danni. Ogni giorno, di fronte a previsioni di maree che non accennavano a scendere, abbiamo alzato ed abbassato macchinari e scorte. Poi, una volta passata definitivamente l’ondata e fatto defluire l’acqua, con una canna abbiamo pulito. Gli elettrodomestici vanno prima essere asciugati, poi puliti. Per il resto, acqua e detergenti, ogni giorno. L’acqua è salata e puzzolente, quindi si deve lavare in continuazione.
Ora che è finita l’emergenza, l’importante è riaprire: ci sono molti colleghi che sono costretti a chiusure ben più lunghe. Abbiamo ricevuto la solidarietà dei clienti da tutto il mondo, e dai colleghi qui in città e ci siamo sostenuti a vicenda”. Poi aggiunge: “Senza fare valutazioni politiche, ci sono due fattori oggettivi che devono essere tenuti in considerazione nel caso di Venezia: la subsidenza (lo sprofondamento del suolo per cause naturali e antropiche, che nel caso di Venezia è dovuto principalmente all’emungimento delle falde acquifere n.d.r.) e l’innalzamento del livello del mare: credo che le istituzioni dovrebbero tenerne conto”.
Tra coloro che hanno pagato un prezzo altissimo c’è anche il ristorante Riviera, piccolo e raffinato scrigno di cibo ed arte alle Zattere, uno dei ristoranti più danneggiati dalla furia dell’acqua: costretti a fermarsi per alcune settimane, titolare e chef (rispettivamente, GP Cremonini e Samuele Silvestri), hanno immortalato gli stivali indossati in questi giorni, dimostrando una dose di ironia priva di retrogusto amaro e dando appuntamento ai clienti per le festività natalizie.
Riva degli Schiavoni è stata una delle zone più flagellate, colpita da raffiche di vento che hanno sollevato onde di metri, capaci di spostare gondole e vaporetti. Qui si trova uno degli hotel più prestigiosi di Venezia, il Londra Palace, con il Ristorante Do Leoni e un cocktail bar che avevamo inserito nella nostra mappa. E’ stata proprio la combinazione tra vento ed onde a mandare in frantumi le grandi vetrate, e a distruggere il plateatico esterno, vanto dell’hotel: di qui la decisione di riaprire il 28 novembre, quando la clientela potrà di nuovo accomodarsi in assoluta sicurezza.
Potremmo continuare, le storie sono decine. Preferiamo chiederci però cosa si può fare ora per la città ed i suoi ristoranti, prendendo spunto dallo spirito dimostrato in questi giorni dai veneziani. Si può prenotare, si può regalare una cena per Natale (come ha fatto Zanze XVI).
Si può andare in città, con rispetto e pazienza. Si possono evitare le battute inopportune e di cattivo gusto. Si può continuare a fare quello che si faceva prima: assaggiare, provare nuovi locali, essere curiosi.
E si possono evitare frasi sul fatto che Venezia merita di affondare perché fa pagare un caffè 20 euro in piazza San Marco, come è capitato di leggere sui social nei giorni scorsi.