“Largo ai giovani”. Da una Firenze sempre più in fermento arriva un motto ben preciso su quella che è la strada da seguire per cercare di svecchiare il sistema della ristorazione, portandovi nuove idee, nuovi spunti, magari anche qualche peccato di gioventù, però comunque sempre tanta voglia di provare a cambiare le cose. In meglio.
Prendendo in prestito il titolo del celebre romanzo di Jean Cocteau (1929), sono almeno cinque infatti “Les enfants terribles” della ristorazione fiorentina che stanno facendo parlare di loro in Toscana e non solo. Cinque chef, tutti under 35, accomunati da tanta fame di arrivare lontano, ma anche con già tanta strada alle spalle, e soprattutto un nobile obiettivo: costruirsi sempre più la loro identità e il loro percorso, prendendo spunti in giro e mantenendo chiaro al contempo qual è il loro traguardo. Ecco i cinque giovani chef to watch all’ombra del Duomo.
Simone Caponnetto – Locale Firenze
Il fiorentino Simone Caponnetto è l’Executive Chef di Locale Firenze. Classe 1990, ha lasciato l’Italia dopo il diploma e ha trascorso dieci lunghi anni viaggiando in America, Australia, Giappone, Italia, Francia, India, Asia sud-orientale e Spagna, lavorando inizialmente nelle cucine per finanziare i suoi viaggi. È stato solo quando ha avuto l’opportunità di lavorare in un ristorante fine dining a Sydney che il suo interesse per la cucina si è rafforzato. Continuando a viaggiare, ha iniziato a collegare il patrimonio e la cultura dei paesi visitati con il cibo, utilizzando queste occasioni per lavorare con alcuni dei personaggi più prominenti del mondo gastronomico, in primis Andoni Luis Aduriz di Mugaritz, ristorante due stelle Michelin a Errenteria (Gipuzkoa).
Nel 2019 è tornato a Firenze e, nel 2021, è stato scelto per guidare la cucina di Locale Firenze, ristorante situato all’interno dello splendido Palazzo Concini che risale, in parte, al XIII secolo. I suoi ingredienti sono non solo italiani ma, dove possibile, puramente toscani, molti dei quali raccolti nell’orto di uno dei suoi amici d’infanzia. Il suo signature? La pasta Risoni con fegato di seppia e pomodorini, un inno all’armonia per consistenze, contrasti ed equilibrio complessivo. Armonia è la parola giusta anche per descrivere l’Animella di agnello e topinambur, un piatto solitamente ostico che Simone rende però una dolce carezza, compensando gli schiaffi sferrati da portate più audaci come il Raviolo bugiardo, ossia una pasta fresca fintamente ripiena, che crea l’illusione della farcitura e viene accompagnata da tartare di capretto, mousse di toma di capra, fonduta di taleggio di capra, fondo bruno di capretto e senape selvatica. Due i menu degustazione proposti al Locale: “Salvezza” e “Peccato”, rispettivamente da 120 e 150 euro, con un divertissement che piatto dopo piatto porta gli ospiti dall’Inferno al Paradiso andata e ritorno.
Ariel Hagen – Saporium
Seguendo la filosofia di Borgo Santo Pietro Saporium, fondata sui principi della biodiversità e dell’agricoltura rigenerativa, Saporium Firenze è nato appena pochi mesi fa ma ha già ottenuto una stella rossa e una stella verde. La sua fiorente azienda agricola biologica, gli orti culinari e di erbe aromatiche e il caseificio artigianale forniscono l’ispirazione di base e gli ingredienti più ricercati, selezionati a mano per accompagnare i propri ospiti in un viaggio sensoriale, in onore della sua filosofia “dalla fattoria al piatto”. A dirigere le due orchestre, tra Chiusdino e Firenze, ci pensa il fiorentinissimo classe ’93 Ariel Hagen, leader di un valido team che comprende il maestro giardiniere, il foraggiatore, il casaro, il panettiere, lo specialista della fermentazione, il macellaio, il direttore del ristorante e il sommelier. Il concetto del menu, profondamente radicato nella tenuta e nei dintorni, è proprio quello di condividere con gli ospiti la bellezza del gusto e la ricca complessità di ogni stagione, utilizzando solamente materie prime provenienti da Borgo Santo Pietro.
Dopo essersi formato alla corte di mostri sacri come Norbert Niederkofler e Gaetano Trovato, Ariel ha portato a ridosso delle Rampe del Poggi una cucina ad alto tasso tecnico e ispirata da un concept ben definito. Ne sono un esempio le sue Chiocciole, coltivate proprio tra Colle val d’Elsa e la struttura: su una finta terra commestibile ricreata con farine di carrube e burro di cacao, le lumache escono dal terreno invernale ben amalgamandosi ad aglio bianco, caffè e topinambur. È un autentico must poi il Piccione, già cavallo di battaglia di Gaetano Trovato, che da Saporium cambia costantemente volto senza mai perdere però la sua identità.
I quattro menu degustazione risultano così dei veri e propri viaggi, nei quali lo chef prende per mano i suoi commensali portandoli non solo metaforicamente all’origine del piatto, alla fonte primaria del pasto: “Proiezioni territoriali”, “Pes-care” (menu di mare), “Profondità Vegetali” (menu vegetariano), tutti da 170 euro, oltre a “Libera espressione”, un menu da dieci portate quotato 215 euro in cui Ariel Hagen racconta se stesso su una tela bianca che si scopre solamente di portata in portata. Ad accomunarli tutti, l’iconico Riso Carnaroli San Massimo, cavolo nero, kefir di pecora e limone macerato.
Alessandro Cozzolino – La Loggia di Villa San Michele
Originario di Caserta, il classe ’89 Alessandro Cozzolino si è formato a livello internazionale con numerosi chef stellati fino ad arrivare al timone del suggestivo ristorante La Loggia di Villa San Michele, A Belmond Hotel. Il suo principale maestro ha un nome e cognome ben precisi: Gaetano Trovato. È proprio col guru della ristorazione senese che per la prima volta, a 21 anni, Alessandro è andato a cucinare a Hong Kong. Nell’isola cinese è rimasto quattro anni, alla guida del ristorante Grissini del Grand Hotel Hyatt, accumulando esperienza per poi arrivare appunto sulla collina di Fiesole. Combinando il suo intuito con gusto personale e abilità ben affinate, l’essenza della sua cucina oggi è un’attenta cura di piatti in cui gusto ed estetica dialogano in armonia.
Focus sul terroir locale e su stagionalità, ingredienti accuratamente selezionati dalla terra e dal mare della Toscana e preparati con tecniche che ne preservano la freschezza e la genuinità danno vita a piatti d’autore come i Bischeri, preparati con pasta bischeri con cacciucco livornese, seppie grossetane, gamberi viareggini, o il Carnaroli in purezza con peperoni tostati, maialino grigio del Casentino e finocchietto. La proposta di Cozzolino non ha forse ambizioni rivoluzionarie, ma comunque una percettibile anima fusion che ben collega la Campania che l’ha allevato, la Toscana che l’ha adottato e Hong Kong che l’ha visto sbocciare. Lo si vede alla perfezione in “Legami”, il suo menu autobiografico a 190 euro, alternativa a “Contrasti”, menu ispirato a Firenze a 160 euro, e “Sensualità Vegetale”, menu vegetariano che omaggia i produttori della zona a 140 euro. Tre percorsi che non sfigurano certo dinanzi alla bellezza della città, apprezzabile come in pochi altri posti proprio dalla terrazza de La Loggia.
Olivia Cappelletti (e Tommaso Querini) – Luca’s
Olivia Cappelletti e Tommaso Querini, entrambi classe ’89: segnatevi (anche) questi due nomi. Se gli chef sopracitati sono ormai tre volti noti in città e non solo, anche queste new entry hanno il potenziale per scrivere una bella pagina di ristorazione fiorentina. L’anno scorso Olivia e Tommaso sono infatti stati scelti dal rinomato chef Paulo Airaudo (attualmente Executive Chef della struttura e di molte altre realtà nel mondo) per entrare a far parte del progetto della Gemma Hotel e del ristorante Luca’s, dove interpretano insieme il ruolo di Resident Chef. Ex Sous Chef de La Leggenda dei Frati lui, lei ha scelto invece la strada della cucina per passione dopo aver intrapreso studi da geometra prima e in giurisprudenza dopo, poi interrotti proprio per frequentare il corso professionale per pasticcieri in Cast Alimenti a Brescia.
Tra le precedenti esperienze di Olivia c’è la Bottega del Buon Caffè, dove ha fatto parte della brigata che ha conseguito una stella Michelin e soprattutto dove ha incontrato il suo “maestro” Airaudo. Con Paulo ha lavorato per due anni a Ginevra, aprendo due locali e prendendo un’altra stella in pochi mesi. Rientrata in Italia, ha lavorato qualche anno come Pastry Chef per La Ménagère e nuovamente alla Bottega del Buon Caffè, fino appunto al ristorante-gioiello del nuovo albergo aperto dai cinque fratelli fiorentini Cecchi. Dedicato al tristemente defunto papà Luca Cecchi, Luca’s è un ristorante dalla forte impronta internazionale, che parte però dalla Toscana come si vede dal signature più ghiotto del menu: il Cappelletto homemade ripieno di piccione, salsa di burro al timo e il fondo di piccione. Un ensemble di semplicità, tecnica e gusto, proprio come nel caso del più avventuriero ma altrettanto convincente Flan di formaggio di capra, susine, cialde di avena e miele. Nel menu troviamo un percorso degustazione da quattro portate, “La Gemma” a 115 euro, oppure in dieci portate a 190€ sotto il nome di “Smeraldo”, nei quali Olivia e Tommaso coccolano i loro ospiti con colori, impiattamenti e ricette che sembrano melodie.
Francys Salazar – Sevi
Un po’ orientale, un po’ sudamericano: Sevi, il ristorante nikkei dello chef classe ’92 Francys Salazar e della sua compagna Jhoseleen Condori, è nato nel 2022 in un piccolo quartiere di Novoli per poi spostarsi a San Jacopino e soddisfare un pubblico più ampio, riuscendo in neanche due anni a entrare nel cuore e – cosa ancora più ardua vista la cucina che propone – nella quotidianità dei fiorentini. Merito dei suoi piatti inediti e innovativi, che partendo dai sapori tipici del Perù e dal classico ceviche (per distacco il migliore di Firenze) portano i commensali fino in estremo Oriente. Le ricette di Francys sorprendono per l’equilibrio con cui ogni ingrediente si incastona tra gli altri, aumentandone o contrastandone potenza, acidità e sapidità al palato anche attraverso un sapiente uso di salse e spezie. I piatti forti della casa? Appunto il tradizionale Ceviche (pescato del giorno, leche de tigre, aji limo, coriandolo, cancha, choclo, purea di patata dolce e cipolla marinata), i golosi Tacos ripieni di punta di petto cotta lentamente e la Texture di tiradito (leche de tigre aji amarillo, polpo in tempura, avocado, aria di leche de tigre).
“Ma cosa c’entra un ristorante etnico con alcuni dei principali ristoranti d’hotel o addirittura con uno stellato?“, potreste pensare arrivati a questo punto dell’articolo. L’errore è di concetto, proprio all’inizio del vostro eventuale ragionamento. Sevi non è, o almeno non è più, un mero ristorante etnico, ma un centro di sperimentazione che dopo mille sacrifici e non senza difficoltà è stato in grado di creare un’allettante proposta fine dining. Ha debuttato proprio in questi giorni, non è un caso, il primo menu degustazione da 70 euro, con Pisco Sour e vini peruviani/latinoamericani abbinati a otto portate: l’obiettivo è quello di portare la versione “alta” di una cucina, quella peruviana, che almeno in Italia siamo abituati purtroppo a vedere come qualcosa di unto, pesante e di poco valore. Tutt’altro. Sevi fa un campionato totalmente diverso, ovviamente anche a livello di ambiente e servizio.