Ristorante Wistèria, recensione: la nuova stella di Venezia convince?

La nostra recensione, completa di menu e prezzi, del ristorante Wistèria a Venezia, fine dining insignito della stella Michelin.

Ristorante Wistèria, recensione: la nuova stella di Venezia convince?

Tra le stelle Michelin di recente assegnazione a Venezia (l’ambito riconoscimento è arrivato nel 2021), Wistèria è quello che probabilmente ha sorpreso più degli altri. Se infatti Local e Zanze XVI, per motivi diversi, erano già noti oltre i confini lagunari (e con ambizioni ben definite), il ristorante che deve il suo nome alla suggestiva pianta di glicine (wisteria, appunto) che abbellisce il giardino interno nel periodo primaverile-estivo, ha mantenuto un profilo diverso, discreto. Collocato in linea d’aria a pochi minuti da Piazzale Roma, ma lungo una fondamenta (del forner, giusto per marcare il territorio) che costeggia un rio silenzioso (Rio de la Frescada), e non ancora preso d’assalto dal flusso turistico, Wisteria si fa interprete – assieme alle già citate new entry – del nuovo corso fine-dining della ristorazione veneziana, che ha visto contemporaneamente un exploit di stelle in entrata e una altrettanto rumorosa emorragia di stelle in uscita (Da Fiore e il Ridotto, due insegne storiche).

La conquista della rossa è avvenuta in tempi rapidi: aperto nell’estate del 2019, Wisteria è stato premiato lo scorso novembre. Nel mezzo, tuttavia, un periodo complesso, prima per Venezia e poi per tutti.

La storia

Wisteria è il risultato di un sodalizio prima personale e poi professionale tra Andrea Martin e Massimiliano Rossetti. L’amicizia nasce negli anni ’90 e si concretizza in seguito nell’apertura di una birreria con piccola cucina, la Taverna da Baffo. Le strade dei due poi si separano, con percorsi comunque legati per entrambi al mondo ristorativo (nel curriculum di Martin, Palazzo Grassi e Venissa). Il filo interrotto si riallaccia successivamente, individuando nell’insegna del Rio della Frescada un luogo adatto alla direzione gastronomica che intendono intraprendere. Il restauro del locale dura un anno e nell’estate 2019 l’apertura. Segue un periodo nero: dopo l’acqua alta del novembre 2019 che mette in ginocchio Venezia (e a causa della quale il locale resta chiuso per un mese) arrivano pandemia, lockdown e chiusure ulteriori. Infine la riapertura, lungo un binario che ha portato alla stella, ma il cui percorso non è stato privo di colpi di scena fino all’ultimo: quasi contestualmente all’assegnazione del riconoscimento da parte della Michelin, lo chef Simone Selva lascia il ristorante per intraprendere un percorso altrove. Viene sostituito, nel gennaio di quest’anno, da Valerio Dallamano, che ha lavorato con Massimiliano Alajmo, Emanuele Scarello e che conta esperienze di lavoro tra Londra, Oriente e Maldive.

Il locale

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Se nella bella stagione è indubbiamente la presenza del glicine e del giardino esterno a catturare l’attenzione, uno sguardo agli interni permette di scoprire un restauro curatissimo che ha valorizzato le caratteristiche tipiche dei contesti veneziani (il pavimento e le travi a vista del soffitto) esaltandole grazie ad una illuminazione calda e a cromie che, nonostante giochino sui toni freddi, restituiscono il colore della laguna, facendosi morbide e accoglienti, tra gradazioni di ottanio. Gli spazi sono pensati in modo che i tavoli definiscano spazi intimi, ognuno in grado di diventare – proprio grazie ai giochi di luce – un’isola quieta e separata dalle altre. Tavoli e sedie di design completano il quadro. Curiosa la scelta di realizzare una cucina a vista lungo il breve corridoio che porta verso la toilette: si rimarrebbe volentieri ad osservare la brigata all’opera ma il contesto non permette di farlo con tranquillità (un vero peccato). A meno ovviamente di non fare più soste, con la scusa magari di doversi lavare spesso le mani.

Il menu e i piatti

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Il menu di Wisteria si chiama Serendipity, concetto suggestivo che ha attraversato – dal suo conio in poi – discipline come la sociologia, l’economia, la letteratura. Si sceglie solo alla carta e tra due menu: uno da 6 portate (150 euro) e uno da 8 (180 euro). Sull’opportunità o meno di imporre al cliente solo la degustazione si è già ampiamente dibattuto. Dichiarato il legame con la storia commerciale di Venezia unito alla ricerca e ad uno sguardo internazionale, con l’obiettivo di condurre in un “viaggio tra sensazioni gustative armoniose, dove essere disorientati diventa il valore dell’esperienza”. Si ritrovano piatti che guardano alla tradizione – riletti ovviamente in chiave contemporanea – e altri, la maggior parte, che se discostano guardando a creatività, tendenze e cogliendo le suggestioni del momento. Carta vini con etichette di prestigio accostate a nicchie, con uno sguardo particolare a chi produce seguendo i criteri della sostenibilità ambientale. Giudizio non completamente pieno per il servizio di sala che, se complessivamente ben condotto, a tratti incappa in toni leziosi e un po’ teatrali.

La scelta cade sulla degustazione da 6 portate aperta da una serie di amuse bouche che si riveleranno essere la proposta con più carattere del menu: rilettura di alcuni classici cicchetti e piatti della tradizioni dimostrano una mano validissima, capacità di interpretare il passato in modo intelligente, divertente e divertito, e illustrano perfettamente come la tecnica possa sposarsi bene con ciò che si ritiene intoccabile, iconico e simbolo immodificabile. Ecco allora una rilettura del tramezzino, un gambero “in saor”, ma soprattutto il rocher di castradina, che da zuppa invernale (tradizionalmente associata e consumata in occasione della festa della Madonna della Salute il 21 novembre) a base di carne di montone e verza, diventa qui una pralina golosissima dal sapore riconoscibile e coerentemente ingentilito. Convince meno la reinterpretazione dei bigoli in salsa, qui con la pasta proposta in crema e la componente marina in versione crumble. Assenza di posate che richiama un momento ludico: le consistenze, tuttavia, così come i sapori e la temperatura di servizio non convincono del tutto, diversamente dal saporito cono gelato di spiensa (milza), frattaglia veneziana quasi dimenticata.

Tra gli antipasti, indovinata la burratina d’ostrica, che riesce a racchiudere in un sfera morbida dalle note acidule un’ostrica carnosa, elegante, dai rimandi iodati con il sottilissimo velo di lardo a regalare grassezza. L’intermezzo degli spaghetti al pomodoro ha il compito di traghettare dall’italianità classica alla contemporaneità, funzionando solo parzialmente nel suo compito. I paccheri con formaggio di capra cui si giunge, infatti – omaggio alla stagione nei toni cromatici – non riescono a fare breccia nel palato, affaticato dopo i primi morsi. Probabilmente correggendo consistenze robuste e andando verso leggerezza, brio e vaporosità, anche i sapori acquisterebbero nitidezza.

Tra i secondi, la proposta di pesce – in cui le spezie prendono leggermente il sopravvento – si fa preferire a quella di carne, in luogo della quale sarebbe stato forse più interessante lavorare di sostituzione e giocare con la parte vegetale del piatto, susine e daikon, ottimi protagonisti anche dal punto di vista cromatico. Notevole, in chiusura, Rene Magritte, dessert signature, in cui si ritrova riassunto quanto sostenuto inizialmente. Qui il disorientamento diventa manifesto, omaggio al maestro del surrealismo e combinazione intelligente di sapori (cialda croccante, cremoso al sambuco, finocchio candito e cioccolato).

Uno sguardo a volo d’uccello sull’interno menu restituisce complessivamente l’idea di una proposta che non riesca ancora a trovare una identità definita, con idee pur originali ma che – forse per un eccesso di zelo o per qualche errore nel calibrare gli accostamenti – risultano una somma di addenti più che un totale organico. Se pur il cliente ben si presta al gioco, disponendosi a perdere il senso dell’orientamento, vale comunque l’obiezione che una cosa è trovare l’inaspettato e in esso ritrovarcisi, altro è un disorientamento che sembra non aver trovato ancora un filo conduttore.

Scontrino Wisteria

Opinione

ristoranti

Stella Michelin dallo scorso novembre, Wisteria è un indirizzo che porta il fine dining al servizio del concetto di disorientamento e sorpresa. Il menu è costruito attorno al concetto di “serendipity”, declinato in 6 o 8 portate e proposto solo a degustazione. L’obiettivo è quello di narrare un percorso che, consapevole delle origini storico-culturali di Venezia, è capace di prendere il largo sfruttando creatività e tecnica. Nonostante una volontà chiara e manifesta tuttavia, l’impressione complessiva è quella di un percorso non omogeneo, in cui alcuni piatti sono assai convincenti per identità, costruzione e gusto, mentre altri faticano a trovare un equilibrio complessivo. La mano è indubbiamente di valore e qualche correzione consentirà di raggiungere una maturità ed un livello compiuto.

PRO

  • Capacità di interpretare e rileggere i classici con intelligenza

CONTRO

  • Mancanza di equilibrio gustativo in alcuni piatti
VOTO DISSAPORE: 7 / 10
Voto utenti
Ristorante Wistèria
Ristorante Wistèria
San Polo, 2908, 30125 Venezia, VE, Italia