Mentre ci si proietta, forse sognando, in spiaggia, nonostante la pandemia in corso, il nostro pensiero va ai ristoranti sul lungomare: Uliassi, il più rappresentativo di questi per quanto ci riguarda, tre stelle Michelin e un fine dining che vale la vacanza, come vive questo momento? Abbiamo intervistato lo chef, Mauro Uliassi.
Chiusi in casa, angosciati, impoveriti, ci facciamo forza in questo isolamento grazie a un obiettivo ben preciso: le vacanze. Ma quest’estate potremo davvero tornare al mare? La domanda rimbalza ovunque: nella testa, sui social, nel cassetto dei costumi da bagno impolverati, e viene tristemente rispedita al mittente, quasi come se sbattesse contro una parete divisoria in plexiglass.
Come faremo noi, senza la nostra abbronzatura stagionale? E come faranno i gestori degli stabilimenti balneari, senza le nostre prenotazioni? Sono domande molto serie, che riguardano anche una terza categoria di persone: i ristoranti sul lungomare. Niente turisti significa poco o niente incasso anche per loro. Per questo abbiamo pensato di sentire il più illustre rappresentante della categoria, lo chef Mauro Uliassi, tre stelle Michelin raggiunte due anni fa e Lab 2019 (il menu degustazione firmato Uliassi) che ci ha conquistati (anche) l’estate scorsa.
– Qual è la situazione al Ristorante Uliassi?
“Noi eravamo già in chiusura stagionale: abbiamo tirato giù le saracinesche lo scorso 22 dicembre, e avremmo dovuto riaprire il 28 marzo. Quindi, per questi mesi, sarei rimasto comunque chiuso. Sono un po’ più fortunato di altri: attualmente sto perdendo solo un paio di settimane di fatturato, ma chissà come evolverà la situazione”.
– Già, come evolverà?
“E chi lo sa. Non ci è dato avere notizie. Le ipotesi più ottimistiche parlano di una possibile riapertura fine maggio, ma la vera questione che uno si pone è come: dobbiamo organizzarci per mettere clienti e dipendenti in sicurezza, e non sarà facile. Gli spazi per noi non sono un problema: posso ulteriormente distanziare i tavoli, mettere dei separé carini, sfruttare lo spazio esterno, ma come faccio per il personale? Il nostro è un lavoro di contatto. Come si fa a lavorare in un ristorante a due metri di distanza l’uno dall’altro? È impossibile”.
– Voi avete fatto qualche tipo di previsione?
“No, anche perché qui la situazione cambia velocemente, e tutti i possibili progetti si arenano finché non abbiamo informazioni certe. Noi l’anno scorso abbiamo fatto un ottimo lavoro con la terza stella, ed eravamo pronti a lavorare anche di più con l’ottima promozione che c’è stata della regione Marche. E invece tutto cambierà, le previsioni fatte un mese fa ora non sono più valide”.
– Avrà pensato anche lei all’opzione delivery?
“No, in realtà. A parte che non sono in condizioni di farlo, perché ho il ristorante ancora sottosopra dopo una serie di cambiamenti fatti questo inverno. Il delivery, poi, è una goccia nell’oceano, non è quello che mi permetterebbe di fare profitto. Serve solo a fare qualcosa, a non rassegnarsi a non fare nulla, è importante per questo, ma non fa fare fatturato”.
– E allora? Altre idee per salvare la stagione estiva?
“Stiamo pensando di recuperare la nostra roulotte con cui facevamo lo street food. È stata ferma qualche anno, perché il ristorante ci portava via molte energie. Potremmo metterla davanti al ristorante, e attrezzarla per fare take away. La produzione avverrebbe nella cucina e la vendita fuori. Ma anche questo progetto è legato alla fattibilità della messa in sicurezza del mio personale. Idee ne abbiamo diverse, e nel momento stesso in cui apriremo la realtà ci dirà come fare, ma tutto deve essere subordinato alla sicurezza”.
– E se la stagione saltasse del tutto?
“La verità è che noi siamo fortunati. Abbiamo lavorato bene negli ultimi anni, non abbiamo debiti, siamo in una buona posizione. Non devo pagare mutui: quando si potrà riaprire, riapriremo e penseremo solo a stare in piedi, anche se i volumi saranno minori. Questo è un grandissimo vantaggio, ma è un caso: se questa cosa fosse capitata dieci anni fa saremmo stati in grande difficoltà”.
– Cosa pensa delle pareti in plexiglass proposte per gli stabilimenti baneari?
“Ma va’, non è una possibilità praticabile! Diventerebbero lenti di ingrandimento sotto il sole e dovrebbero anche resistere al vento, si imbarcherebbero subito, e poi la sabbia le righerebbe. Non mi sembra un’idea molto furba, oltre al fatto che mi pare pure costosa: piuttosto meglio mantenere la metà degli ombrelloni. Qui sono tutti molto preoccupati, perché tutto ruota intorno al turismo: gli alberghi probabilmente stanno peggio di tutti. Ai ristoranti già va un po’ meglio, possiamo reinventarci e arrivare a un punto di pareggio”.
– È davvero così facile reinventarsi?
“In qualche misura sì: noi siamo professionisti, abbiamo sempre fatto questo mestiere, possiamo adattare l’offerta al momento e alla domanda che c’è. In fondo lo abbiamo sempre fatto. Faremo altre cose: è il momento stesso che ci darà le indicazioni su come muoverci e su come fare”.
– Sarà più facile o più difficile reinventarsi per chi fa fine dining?
“Di sicuro a soffrire di più saranno quei posti che adoravo, quelle piccole trattorie, con 40 metri quadrati di sala e tutti seduti allo stesso tavolo gomito a gomito. Lì sarà difficile. Bisogna partire dal presupposto che chi andrà a mangiare fuori non rinuncerà al piacere e al convivio: dunque dobbiamo mantenere un’esperienza conviviale, magari con meno tavoli. E poi il cliente deve essere tranquillo: se il virus può contaminare una posata, non succederà da me. Lo stellato, lavorando già con accortezze maggiori, potrebbe dare ai clienti maggiore sicurezza”.