Ci eravamo lasciati allo (splendido) Lab 2019. Torniamo anche quest’anno al Ristorante Uliassi di Senigallia, per scoprire il nuovo Lab 2020 – non ancora definitivo – , tra novità e vecchie glorie. Il menu degustazione più atteso della costa marchigiana – e pure delle altre coste – in questa recensione.
Là fuori, il mondo della cucina d’autore sta attraversando una sorta di brusco risveglio esistenziale in questa fase post-pandemica incerta e dubbiosa. Tuttavia Mauro Uliassi riapre il suo chalet tristellato sulla spiaggia di Senigallia con relativa nonchalance e senza dover reimpostare narrative particolari, riformulate per questi tempi di ridimensionamento e di nuove consapevolezze.
Le contraddizioni nascoste in bella vista di chi si ergeva a portabandiera della biodiversità e del “local”, a pinnacolo della rete di piccoli artigiani intorno a sé, all’insegna del mantra “conviviale, autentico, intimo”, ma viveva una quotidianità esclusiva ed elitaria fatta di prenotazioni impossibili, clientela quasi solo internazionale jet-munita, più membri dello staff (sottopagati) che coperti; queste contraddizioni non lo riguardano più di tanto poiché in esse, nella sua trentennale attività, non è davvero mai caduto.
Mentre il corona-schiaffo in faccia ha generato casi clamorosi come Noma (Copenhagen) che si reinventa temporanea hamburgheria low-profile di quartiere, Mauro Uliassi non ha avuto bisogno di retrocedere, di ripensare granché del suo operato in vista della riapertura del 13 Giugno dopo il lock down. Non ha dovuto tornare a particolari intenzioni originarie, essendo queste mai state abbandonate. Cucina di ricerca di altissima inventiva, ma immediata e comprensibile. Del proprio territorio e per la propria gente, si potrebbe banalizzare. Tra mare e terra, poiché nessuna vera tradizione culinaria è mai solo di pesce. Ancorata al fascino semplice e quotidiano della tradizione marchigiana, senza però che il “local” diventi una gabbia ossessiva.
Si menziona spesso la purezza e l’eleganza degli arredi e degli ambienti, così come della cucina. Ma nell’universo Uliassi compaiono qualità estetiche ulteriori, simboliche, di secondo accesso. A partire dal candore silenzioso e dalla serenità quasi metafisica che origina dalla vista del terrazzo, sgombro e libero verso il mare, lasciando a cornice solo i colori salmastri e chiari dell’azzurro e del bianco. Un’estetica scarna e complessa al contempo, che dall’ambiente permea la cucina, dove la materialità dei piatti lascia sempre spazio all’io soggettivo che la completa dei suoi propri simboli e luoghi della memoria.
La pasta in bianco
Ecco quindi la pasta in bianco, attesissimo piatto del percorso degustazione 2020 (aspettando la quale abbiamo addirittura ripercorso l’agiografia delle paste in bianco gourmet) il cui accostamento al “ritorno al semplice e intimo” sarebbe interpretazione svogliata e parziale. C’è di più: c’è il simbolo del cibo della memoria per eccellenza, interpretato più che con virtuosismo tecnico, con fantasia e ricerca di potenziali nuovi dell’ingrediente. In una rielaborazione pesce – non – pesce, burro e formaggio prendono forma da latte e aringa, per infusione il primo e per effetto cagliante dei succhi naturali e sali del pesce il secondo, a creare un piatto che del pesce ha solo un’evocazione indiretta.
A discapito dell’enfasi generalizzata del ridimensionamento e dell’anti-grandeur post pandemico, il menu Lab 2020 non ha nulla del dopo Covid, o se per questo neanche delle celebrazioni del trentennale del ristorante.
Un sottotitolo adatto sarebbe casomai un pragmatico ed efficace “si riparte e basta”. La sera della mia visita, il giorno dopo la riapertura, il Lab 2020 non è ancora ufficialmente fuori (passerà attraverso qualche settimana di rodaggio prima di essere offerto a tutti gli ospiti) e ai clienti viene proposto un percorso degustazione fatto sostanzialmente di vecchie glorie.
Prevedendo ciò, ho chiesto al momento della prenotazione di provare il nuovo Lab, che sarà comunque un mix di creazioni nuove e precedenti di successo. Non aspettatevi che sia quello definitivo: siamo certi che da qui all’estate inoltrata ci saranno dei cambiamenti; intanto, c’è la certezza che costerà 200 euro, 10 in più dello scorso anno.
Dei quattro amuse bouche, il celeberrimo Loacker al foie gras avrebbe stancato se non fosse che non può stancare una creazione così sublime. Ad accompagnarlo, un già noto crostino con alici e tartufo e due new entry: una mini tigella con straccetti di polpo e un éclair con bietola ghiacciata. Segue un boccone unico di porro in due consistenze arricchito dai toni acidi e fruttati del tamarindo. La carrellata è appena iniziata eppure due direzioni già si impongono con quella chiarezza che non lascia dubbi sulla loro incipiente dominanza lungo il menu. Il gioco del freddo, cifra identitaria per Uliassi, che marcherà quasi tutte le portate in un rincorrersi di crudi e ghiacciati che agganciano il termometro dell’esperienza saldamente dalla temperatura ambiente in giù, eccezion fatta per la pasta in bianco. E l’onnipresenza delle note acide e fruttate, che se il menu non fosse sapientemente abbastanza breve, rischierebbero di oltrepassare il segno e stancare il palato.
Il cestino del pane nasconde una sublime pizza al formaggio, omaggio alle tradizioni pasquali marchigiane, e il classico pane Uliassi alle alghe, la cui mancanza di sufficiente carattere è ampiamente compensata dal burro di accompagno. Limone e cumino quest’anno. Più che burro al limone, in una sorta di prodigiosa inversione di fase, sembra piuttosto limone burroso tanta è l’intensità.
L’ostrica si tinge di marchigiano grazie al connubio forte con il grasso del ciauscolo, che ne asciuga delicatamente la sapidità esaltandone la dolcezza di mare. Meravigliosa. Gioca con le mezze tinte sensoriali la sogliola al vapore con lattuga tiepida: due elementi delicati, accesi dal brillore acuto e tagliente della salsa di bergamotto. Le lumache nel loro habitat naturale, si potrebbe rinominare l’interpretazione proposta. Le accompagnano un fogliame frusciante di borragine, la cui fragranza erbacea si accoppia alla resina dolce e fruttata della pigna di cipresso grattugiata cruda. Un incanto di densa e aromatica frescura, forse il piatto migliore della serata.
Ritornano il freddo e il gelo con il colombaccio, sfilettato e servito crudo in una composizione molto audace di spuma di rapa, liquirizia, ciliegie ghiacciate, e olio di rosmarino bruciato. Piatto spinto e di resa straordinaria. Nel finto calamaro, in realtà indivia condita con l’estratto del mollusco evocato, si gioca a una dispensabile illusione del “sembra ma non è” che lascia un segno flebile nel percorso del menu, mentre non molto c’è da aggiungere sul pluri osannato capolavoro che è l’ossobuco alla marinara, riproposto dal 2019 probabilmente per acclamazione di popolo. Ossobuco e trippa di baccalà cotti in acqua di vongole si fondono in una trama continua della consistenza cremosa del collagene, su cui scalpitano le note verdi e aspre della gremolada. Un idillio.
Ad accompagnare la pasta in bianco, l’altro primo è uno spaghetto peperoni, olive ed eucalipto. Sarà l’effetto ipnotico del continuo cangiare delle sfumature del verde, ma questo piatto è come una rivelazione inaspettata; è come illuminarsi della certezza definitiva che nessun abbinamento è più perfetto di questa triade. L’unico secondo piatto, a chiudere la carrellata prima dei dolci, è il rognone di pecora, di nuovo servito quasi crudo con pesche, albicocche, e riduzione di agrumi. è una granata che esplode in mille frammenti colorati; una girandola di sfumature agrodolci gialle e rosse che disorienta piacevolmente e mette all’angolo con astuzia la componente ostica e ferrosa del rognone.
Tanto è aggraziata e deliziosa la granita di melone bianco e menta cristallizzata, quanto invece il dessert principale, dal nome “foresta nera”, non è all’altezza dello standing di Uliassi, banale composizione “destrutturata” (…) di frutta rossa ed elementi al cioccolato.
Attribuirei al sommelier modi un po’ sbrigativi, se non fosse che da cotanta frettolosità escono due suggerimenti perfettamente azzeccati, pescati dal meglio dell’enologia indipendente marchigiana. Un macerato di Maria Pia Castelli (50 euro) e il bianco “gli Eremi” di Corrado Dottori (15 euro al calice). La signora Catia (sorella di Mauro) e i “suoi ragazzi”, a cui sono affidati servizio e sala, svolge un lavoro anno dopo anno semplicemente impeccabile.
C’è tutta la grandezza di Uliassi in questo Lab 2020, la cui specifica forza è la marcata identità lungo i percorsi del freddo e dell’agrumato. Insistendo però lungo il menu dall’inizio alla fine, rischia anche di esserne la debolezza, se proprio una la si voglia trovare.
Informazioni
Uliassi
Banchina di Levante, 6, 60019 Senigallia AN
Telefono: 071 65463
Aperto martedì solo a cena, mercoledì – domenica pranzo e cena. Chiuso lunedì.
Web: www.uliassi.com
Tipo di cucina: fine dining di mare e terra
Ambiente: semplice e sobrio, ma di alta classe
Servizio: formale e spontaneo, impeccabile.