Venezia, Piazza San Marco, Alajmo, Ristorante Quadri, 1 stella Michelin. Se Twitter ha portato a 280 il numero dei caratteri disponibili per ogni tweet, a noi ne bastano 73: in effetti potremmo decidere di chiudere qui una recensione che, lo diciamo subito, si concluderà con un voto che non può che essere il massimo. E non è per piaggeria o pigrizia. E’, semplicemente e realmente, perché non si può giungere ad una conclusione diversa, a costo di passare per scontati. Tuttavia, quello che si può fare oltre a descrivere locale, servizio e piatti, è cercare di articolare meglio il motivo per cui questi tre elementi riescano a condurre ad un risultato che vede assegnare al ristorante Quadri un punteggio di 10/10.
I numeri del gruppo Alajmo
Il ristorante di Piazza San Marco è parte di una galassia che attualmente dispone di 13 locali, 11 dei quali all’interno dei confini veneti. Nel quartiere generale di Rubano (Padova) si trovano Le Calandre (3 stelle Michelin), Il Calandrino e lo store In.Gredienti; ci sono poi i cinque indirizzi di Venezia (Gran Caffè Quadri, Ristorante Quadri appunto, Quadrino, Hostaria in Certosa e Amo presso T Fondaco dei Tedeschi) quelli aperti a Roncade, nel trevigiano, presso H-Farm (Le Cementine, Amor), la recente apertura a Cortina negli spazi che furono dello storico El Toulà. All’estero il gruppo è presente a Parigi con il Caffè Stern e a Marrakech con Sesamo all’interno dell’hotel Royal Mansour. Nel 2022 il gruppo ha consolidato un fatturato di circa 19 milioni.
Il locale
Il ristorante Quadri si trova al piano superiore del Grancaffè Quadri, nelle stanze che in passato furono dei Procuratori della Serenissima. La famiglia Alajmo gestisce il locale dal 2011 e nel 2012 arriva la prima stella Michelin. La data che segna tuttavia un discrimine è quella del 2018, anno in cui i fratelli Alajmo affidano a Philippe Starck il restauro degli spazi, restauro che riesce nell’ardua e rischiosa impresa di interpretare con un linguaggio contemporaneo un’istituzione praticamente intoccabile, vestita fino a quel momento con abiti eleganti ma datati.
L’opera non solo riesce ma la genialità folle e temeraria di Starck – unita alla maestria degli artigiani della città – prima cancella strati e pitture del passato (in particolare nel Quadrino e del Grancaffè, portando alla luce i decori di ‘800 e ‘900), poi gioca con l’acqua alta facendone elemento da enfatizzare, ed infine prima di condurre al primo piano lo presenta attraverso l’insegna esterna, le cui lettere rappresentano i due piani. La parte inferiore è ossidata (anticipando l’alta marea, tra l’altro. Anche se il Mose ha per fortuna cambiato le sorti della città), quella superiore brilla d’oro, a simboleggiare l’ascesa verso le stelle. Un’ascesa resa ancora più teatrale e suggestiva da una scala ripida, in cui la luce è sapientemente ridotta al minimo per far sì che un leone alato rovesciato e sospeso svolga adeguatamente il suo compito: quello di rappresentare contemporaneamente il simbolo marciano e la firma visionaria di Starck.
L’ingresso nella sala è accompagnato dalla stessa sensazione che si prova nel momento in cui, a teatro, dal buio e dal silenzio, si alza il sipario: Piazza San Marco dall’altro, il campanile a portata di mano e la Basilica scintillante. Se certamente il contesto aiuta, qui l’abilità è quella di far meravigliare anche chi la città e i suoi tesori li conosce e li vive tutti i giorni. Archiviato l’esterno, l’interno è un capolavoro di azzardo: alle pareti i tessuti firmati Bevilacqua per i quali ai motivi originali si sono aggiunti i volti di Raffaele e Massimiliano – in un logo che si ripete, mimetizzandosi- e astronavi e satelliti, portando il cliente che si arrischi a fissare la parete in una foresta incantata; un lampadario Rezzonico, in vetro di Murano anni ’30 e uno moderno, a firma del francese Aristide Najean; e ancora specchi dei fratelli Barbini, maestri vetrai muranesi sin dal 1570; animali alati (tra gli altri, volpi, lepri e marmotte) a sorvegliare; tavoli impettiti coperti da tovaglie inamidate e sedute che abbracciano.
Divise del personale di sala, posate e piatti vanno in unica direzione: bando a tutto ciò che distrae dalla cucina, largo alla materia, ai piatti, alla mano di un artigiano del lusso dalla cui bottega escono prodotti sartoriali, su misura, perfetti. E la cui perfezione, e qui sta l’assoluta bravura e maestria della firma Alajmo, è quella di essere universale, trasversale, trovando la chiave per riuscire a leggere nell’individualità di ogni cliente, portandolo esattamente dove voleva essere benché ignorasse la destinazione prima di sedersi a tavola. Quindi, rispettivamente, grembiuli di cuoio, posate e piatti di eleganza e semplicità, in grado di valorizzare le portate non dimenticando la componente ludica, fondamentale nello stile Alajmo.
Sulla stessa lunghezza d’onda il servizio, con sorrisi e disinvoltura che celano una preparazione meticolosa e di lungo corso e che riescono nell’impossibile: da un lato far dimenticare che ci si trova in un luogo di fatto accessibile a pochi, di lusso; dall’altro costringere, chi ne fosse provvisto, ad abbandonare snobismi, pose ingessate e sopracciglia alzate. L’eccellenza fatta informalità, inequivocabile marchio di fabbrica della famiglia.
La cucina
Silvio Giavedoni (da una quindicina d’anni al fianco degli Alajmo), Sergio Preziosa e Giovanni Alajmo sono i nomi da appuntare: i primi due per la cucina, il terzo per la gestione della sala. Menzione speciale per lo stile, nella gestione, di Stefano Munari, che riesce ad essere una sorta di David Niven in versione lagunare.
La proposta, sia che si vada alla carta che a degustazione disegna un quadro complessivo in grado di raccontare contemporaneamente lo stile Alajmo, i piatti storici declinati in versione lagunare, le eccellenze gastronomiche locali, nazionali e internazionali: un viaggio tra il bello e il buono, avrebbero detto gli antichi, che consente di essere affrontato con diversi livelli di lettura. I conoscitori della firma Alajmo riconosceranno piatti iconici (cappuccino di laguna, qui) e si divertiranno a scoprirne la versione veneziana; chi siede per la prima volta senza particolari conoscenze pregresse si godrà un’esperienza eccellente uscendo ebbro di piacere mentre gli abituali fruitori del lusso internazionale, dando per scontata la fortuna della propria condizione, non potranno fare a meno di chiedersi come mai qui la cucina sia assolutamente senza difetti. L’intelligenza del Quadri, insomma – così come di ognuno dei locali – è quella di non incorrere nell’errore di replicare pedissequamente il format Calandre ma studiare clientela, target e location in modo che i piatti siano esatta espressione del luogo in cui si trovano.
Il risultato è, qui, una cucina opulenta, talentuosa, fatta di crescendo sia all’interno di ogni singola sezione che nel complesso e capace di avere significato anche in ogni singolo piatto. Consistenze, colori, profumi, persino temperature di servizio sono impeccabili.
La proposta è articolata in 3 modi: si sceglie alla carta, seguendo i due percorsi di degustazione (8 portate 240 euro, 5 portate 190 euro) oppure optando per il menu Quattro atti (260 euro, riducibile a 3, 210 euro), percorso che, prevedendo che le portate vengano servite contemporaneamente (un riferimento al servizio in vigore fino all’introduzione di quello alla russa, che vuole la successione ordinata delle portate) non solo è un richiamo alla storia, ma è anche un inno alla convivialità e alla condivisione.
I piatti
Sipario sul menu 3 atti, dunque. Fughiamo subito qualsiasi dubbio sul numero di piatti e quantità: la mano che ha costruito una successione del genere è ben consapevole di dove si possa arrivare. Non si è di fronte ad una mera somma: su tutto prevale la curiosità, il desiderio di capire cosa c’è dopo e cosa c’è ancora da scoprire.
Tra le portate del Primo atto, se il cappuccino di laguna rimane inarrivabile dal punto di vista estetico, conducendo direttamente in una fornace di un maestro vetraio di Murano, è la ricotta d’uovo a rivelarsi la vera sorpresa, entrando in scena con la mano guantata di una donna piena di charme ed eleganza. Un piatto fine, un inno alla primavera omaggiata attraverso uno degli accostamenti più noti, uova e asparagi, qui reinterpretati. Tra i primi, scivola via freschissima e verdissima la minestra di primavera, che conduce direttamente a paste e risotti. Croccante il pacchero, che conduce al mare, mentre è da manuale il risotto, che rilegge il classico accostamento seppie e piselli e che gioca con i colori accendendo i verdi, i neri, gli arancio. Sono tuttavia i tortelli con coniglio a far prevalere la terra sul mare, riportando alla campagna, al cortile, e rendendo ruffiana una cipolla che in mano altrui avrebbe finito per azzerare il carattere del coniglio, qui nitidissimo.
I secondi. Il piacere che si prova a far scrocchiare sotto i denti il fritto di moeca, ortiche e agretti è pari a quello dell’assaggio. Impeccabile il cuore di costata con bernese, che guarda oltralpe, mentre lo sgombro e soprattutto il suo centrifugato di pomodoro riportano in Italia, all’estate, al caldo senza resa. Prima, però un’ultima coda di primavera con i due volti degli asparagi, che forse prevalgono ancora, su tutto, complice il gusto distinto e pulito, cui la salsa romesco offre una comoda sedia per rilassarsi. Un assaggio-omaggio dei dolci, che fanno uscire tutto lo spirito giocoso di Alajmo.
Il divertimento è smaccato con il sorbetto al rabarbaro con la spuma frizzante a riportare di colpo all’infanzia e alla lingua che pizzica; si fa per un momento sobrio con le millebriciole (in invito a rompere la cialda che copre la crema), o si nasconde fingendo un contegno con il crock al gianduia (fate caso ai suoni del cibo, da Alajmo) ma ritorna irrefrenabile con il tiramisù nella pipa: il nome trae in inganno gli adoratori dell’onnipresente dolce veneto e riporta all’atto, il più rumoroso di tutti, di succhiare il binomio pistacchio e lampone da una piccola pipa.
Opinione
In Piazza San Marco a Venezia, in un contesto che è forse uno dei più belli al mondo, la famiglia Alajmo ha trasformato un caffè storico in un ristorante che è un unicum per cucina e arredi. La firma visionaria di Starck nel restauro fa il paio con una cucina che porta il marchio Alajmo in laguna, ma non è mera replica pedissequa del quartier generale di Sarmeola. Il risultato è probabilmente uno dei migliori ristoranti che si possano frequentare.
PRO
- Uno stile definito e riconoscibile, nei piatti e nel servizio, che è tale indipendentemente dai mezzi