Tra i posti più chiacchierati di Torino negli ultimi mesi c’è quello di chef Stefano Sforza, il Ristorante Opera, aperto nell’estate 2019 e già citato dalle guide che contano (a parte una, la Michelin, alla quale palesemente ambisce), velleitario fin dall’insegna: “Opera, ingegno e creatività”.
Un nome pomposo impresso su targa bronzea in faccia a Porta Susa è il preludio a un servizio curatissimo, a tratti lezioso, che accompagnerà un’esperienza gastronomica da circa un centinaio di euro a testa convincente, dai saliscendi ben scanditi, forse non ancora del tutto definita ma certamente promettente.
Un lussuoso corridoio (da cui fa capolino lo chef, cui scorgo le mosse da una feritoia) precede un sala pressoché perfetta: quadri bellissimi, soprammobili minuziosamente studiati e una sola parete, che stona, una sorta di monumento all’acqua S.Pellegrino.
Nonostante ciò, esiste una carta delle acque (alternative). Si domanda se c’è un mancino al tavolo, si ricompone la mise en place quando i commensali si allontanano dalla loro postazione, si chiede ripetutamente se le portate siano state apprezzate. Si modella lievemente il percorso fisso degli ospiti in base alle attitudini degli stessi, sopperendo così a un menu degustazione unico (in alternativa c’è il Vegetariano, nessun “mano libera” o percorso ridotto) forse troppo trasversale.
Menu e prezzi
Molto bene, ordinerò un’acqua Perrier e non scoprirò mai, fino al momento del conto, quanto mi costerà (7 euro, per la cronaca). Perché il menu, per me che sono una donna, è senza prezzi. Una carta che si apre sul percorso Opera (80 euro) affiancato dal Vegetariano (60 euro), su cui il personale di sala pone una particolare attenzione.
Dopotutto stiamo parlando di un cuoco particolarmente attento all’etica degli alimenti, recentemente passato alle cronache per aver scelto di eliminare foie gras, anguilla e rana pescatrice dal suo menu signature, attraverso sostituti in grado di offrire simili sensazioni senza sfruttare animali a rischio di estinzione, raccogliendo la sfida lanciata dal WWF sulla sostenibilità delle specie d’allevamento.
Sulla sostenibilità del fine dining in senso ampio, ci sarebbe invero molto da dire. La ritualità di piatti e stoviglie cambiati ad ogni portata, nonché la quantità di personale necessaria a garantirla (senza chiamare in causa gli sprechi alimentari tipici della cucina “creativa” e, talvolta, il lavoro non pagato in maniera equa) sono al contrario l’emblema dell’insostenibilità economica e ambientale. Problemi di cui certo non possiamo incolpare Stefano Sforza, la cui virata “animalista” mi pare esemplare.
Provare il nuovo “Opera” diventa doveroso mentre, come si dice, me ne faccio una ragione: le donne che lavorano sono sempre di più, le anguille scarseggiano. Quindi, cari ristoratori, proteggete pure le seconde, ci siamo evolute nonostante i menu borghesi per femmine sottosviluppate.
Ogni percorso degustazione è una curva è quello di “Opera”, al momento, parte da un punto medio-alto dell’asse verticale, per poi ascendere ripidamente sui primi e crollare in picchiata sui secondi piatti, non all’altezza del pasto.
Insomma, si inizia bene fin dalle amuse-bouche, che spiccano per l’uovo presentato à la coque con ananas alla brace (già marchio di fabbrica del luogo, proposto in più varianti) e l’oliva di cioccolato bianco ripiena di olive.
Sul tris di antipasti brilla, per cromìa e aromi, lo storione marinato nel cavolo viola con julienne di cavolo in carpione, yogurt e caviale. Meno interessante il cannolicchio con lardo e lampone, rapido apripista, più ardito ma incompleto il “Kobe, branzino, papaia“, servito con cumino germogliato e il frutto esotico marinato in salsa ponzu, qui per ricordarci che si possono impiattare gli ingredienti migliori a disposizione, nel migliore dei modi, dimenticando un pizzico di sale.
Primi piatti sensazionali, tra i quali faticherei a stabilire una preferenza: un fusillo (mi dicono di Antonio Massi, pastaio marchigiano) ricco di profondità, con aringa affumicata, caffè, limone in crema e uova di salmerino e un articolatissimo bottone ripieno di spalla al BBQ su crema di ostrica, julienne di mela e gin al melograno vaporizzato al momento. Insieme al piatto ci viene portata al tavolo una bottiglia coperta che aggiunge un che di affumicato al piatto e si scoprirà essere un Riesling di Pierre Friek; vino assente dalla carta che completa un ventaglio di sapori perfetto e, d’altro canto, presentato così, come una “chicca” per l’abbinamento, non fa che ricordarmi quanto la carta sia classica, non certo notevole per il suo ardire.
Scende l’asticella, vi anticipavo, sui secondi piatti. La lucioperca scelta per sostituire la rana pescatrice in via di estinzione è certamente un’alternativa credibile, il punto è che il piatto nel complesso, con guanciale a farcire poco croccante, fagioli azuki, salsa al basilico e truset (radicchio piemontese), è piatto, per sapore e consistenza.
Meglio il piccione in due cotture su base al curry con tre consistenze di pompelmo, che accertato il buon compito svolto con una cottura corretta non regala grandi soddisfazioni.
Spicca tra i dolci il pre-dessert, che scopro essere la versione ridotta del “Vegetariano”, il “Fresco” preparato con crumble di cocco, alkekengi fermentati, cocco rapé, sorbetto al dragoncello e peperoncino, centrifuga di mango e passion fruit. Poi una estremamente scenografica mela di burro di cacao ripiena di mela, una rivisitazione della tarte-tatin, e un altro remake, il Dolce Opera, che reinterpreta il tiramisù in coppa, con un buon gelato al caffè.
Conclusioni
Opera è un ristorante dal quale è difficile rimanere delusi, che però potrebbe non entusiasmare i palati più sfrontati. Con alcune proposte tiepide e la certezza di un’esperienza lussuosa, vuoi per il servizio, vuoi per la location, è assolutamente consigliato a chi non girovaga per fine-dining spesso e nonostante ciò vorrebbe scegliere bene la propria cena d’occasione (chi si può permettere settimanalmente cento euro di conto al ristorante, ovviamente, corra).
Tuttavia certi guizzi creativi, la ricerca spasmodica per le materie prime e le evidenti capacità dello chef, palesate in alcuni piatti, suggeriscono un potenziale diverso: la possibilità di superare un menu democratico per osare un po’ di più, premendo sul tasto della creatività promessa.
Informazioni
Ristorante Opera Torino
Indirizzo: Via Sant’Antonio da Padova, 3, Torino (To)
Sito: operatorino.it
Orari di apertura: martedì – sabato: 12 – 15 / 19.30 – 23; domenica: 12 – 15, lunedì: chiuso
Tipo di cucina: fine dining
Ambiente: elegante
Servizio: molto curato