Per arrivare a Brenzone, sulla sponda veronese del Lago di Garda, si percorre la regionale 249, che corre costeggiando il lago, accompagnando il viaggio in auto da un bel panorama. Le acque increspate, le montagne a fare da cornice sulla sponda bresciana, il sole che accende i colori, la bella stagione. Ha quindi un che di eroico ma forse anche tragicomico arrivare a Brenzone un sabato sera di novembre, sotto una pioggia scrosciante e con un buio che non consente di distinguere assolutamente nulla oltre il tergicristallo. La meta è Nin, il ristorante che segna il ritorno di Terry Giacomello e che è ospitato all’interno del Belfiore Park Hotel.
Eppure, senza quel diluvio e quel buio che può essere interpretato come il momento sospeso, a teatro, in cui si spengono le luci in sala, quando l’applauso non è ancora partito e si alza il sipario, la cena da Nin non sarebbe stata la stessa. Senza distrazioni “ambientali”, insomma, la concentrazione sulle singole portate è stata totale, arrivando a “quel” limone carichi di aspettative e con un filo di emozione.
Il ritorno di Terry Giacomello
Dal 31 luglio 2021, data in cui Giacomello ha terminato l’esperienza parmense dell’Inkiostro, la domande ricorrenti sono state molte: riaprirà? E se sì, dove? Continuerà a proporre la sua visione gastronomica? Riprenderà la stella? L’apertura di Nin risponde a tutte queste domande e anche a quella che forse non si ha il coraggio di formulare a voce alta, forse nemmeno tra gli addetti ai lavori: abbiamo bisogno della cucina di Terry Giacomello?
Nin in dialetto friulano significa ragazzo e se le interpretazioni sul significato da attribuire al termine possono essere molte, qui appare più significativo sottolineare che si sia scelto di darsi un nome non solo rendendo omaggio alla propria regione (i rimandi sono molti, nel menu), ma soprattutto facendo uscire il Friuli da quella zona marginale in cui è confinato e dalla quale riesce a fare capolino solo in occasioni “speciali” (Ein Prosit, per esempio). Giacomello riesce nell’impresa titanica di riuscire a far parlare il Friuli e di Friuli e chi abbia fatto esperienza di quella terra e dei suoi abitanti (o chi abbia radici lì) sa quanto faticoso sia.
Il nuovo approdo a Brenzone è anche un po’ una scommessa, quella su una zona che è, sì, a vocazione turistica, ma con delle significative differenze. La “Riviera degli olivi”, questo il nome della sponda orientale del Garda, non ha ancora la stessa vivacità e attrattività della parte occidentale, bresciana. Se è ormai quasi tramontato il mito del turista tedesco, se la dimensione è sempre più internazionale, è pur vero che le due sponde sono diverse e probabilmente la scelta da parte dei titolati del Belfiore Park Hotel, che ospita il Nin, di puntare su Giacomello è indice della volontà di far fare il salto anche al lato orientale.
La sede del Nin non è quella definitiva: è in corso in questi giorni lo spostamento del ristorante in un luogo staccato rispetto al corpo dell’edificio: come a dire, siamo nei pressi ma abbiamo uno spazio “fisico”, creativo, tutto nostro.
Un breve ripasso del curriculum di Giacomello aiuta a capire molte cose, soprattutto il respiro internazionale di una carta che non conosce confini, non solo geografici ma anche e soprattutto stilistici, di classe, verrebbe da dire, oltre che di gusti, classificazioni e accostamenti. La bellezza e l’elemento che caratterizza la cucina dello chef di Aviano, è la capacità di mescolare gli ingredienti, gli stili, i riferimenti, abbattendo barriere, affiancando alto e basso, giocando con i ricordi personali e costringendo chi si siede a tavola, magari intimorito o un po’ sulle spine, a fidarsi (o affidarsi) di chi è in cucina. Il curriculum dicevamo: da Niederkofler al Rosalpina, da Andoni Luis Aduriz al Mugaritz e da Ferran Adrià a El Bulli; poi il Noma, il D.O.M di Alex Atala, Marc Veyrat e Michel Bras.
La carta del Nin: i menu i prezzi
La carta prevede due menu, il “Percorso NIN” di 13 portate (140 euro) e il “Percorso Classici” di 9 ove portate (110). Un primo sguardo consente di confermare quanto detto: ingredienti che attraversano culture e paesi, piccoli lembi di Friuli che convivono accanto alle Ande e al Giappone, burro accanto ad alghe, muffe e gelatine. Quello di 13 portate – quello che abbiamo assaggiato –è decisamente un percorso spiazzante, che trasforma in edibili componenti spesso inutilizzate o scartate e dimostra che il modo migliore per gustarsi un piatto è abbandonare qualsiasi pregiudizio.
La tecnica e la ricerca dietro ogni preparazione sono impressionanti ma non si trasformano mai in una gara con il cliente né nella volontà di dimostrare la propria bravura confinando chi è a tavola nell’angolo degli ignoranti: è francamente impossibile conoscere nomi e caratteristiche degli ingredienti utilizzati e se anche fosse, la gara non avrebbe senso: la grande dose di ironia nei piatti di Giacomello è lì pronta a spernacchiare gli ego smisurati.
Come si mangia al Nin: i piatti di terry Giacomello
Tra gli amouse-bouche, da segnalare sia il calamaro – un anello con sfilacci e gel di calamaro in cui il protagonista principale è assente ma lavorato e ricostruito regalando l’effetto frittura – e la galletta di riso, cotone di pollo, formaggio Asìno, in cui l’effetto al palato è quello giocoso delle carezze dello zucchero filato, in versione sapida e con un formaggio friulano quasi sconosciuto. In luogo dell’onnipresente burro montato o dell’olio, poi, ecco un geniale grasso rancido di prosciutto, con il logo del ristorante.
Dal Garda alle Ande (succo di limone solido, Pisco peruviano) traghetta verso il Myoga: un bocciolo di zenzero, spuma allo Shropshire e fagioli Azuki rossi fermentati. Acidità e voce pungente dello zenzero trovano un perfetto compagno di viaggio nella grassezza della spuma di formaggio, un erborinato inglese di carattere.
Le radici ritornano in Omaggio al Friuli, un piatto in cui si comincia a giocare con i difetti e le storture, dando loro un destino diverso e nobilitandoli, filo rosso che guida tutto il percorso. Da un fungo che si sviluppa all’interno delle pannocchie di mais, il huitlacoche, e dalla morchia (un intingolo che si ottiene mescolando burro fuso e farina di mais e che racconta un Friuli minore) ecco un piatto dalla morbidezza dello gnocco, perfetto comfort food, che sul finale incalza il palato con una sferzata piccante.
Un’immersione olfattiva e gustativa in una forma di Parmigiano: ecco cosa sono i Capelli d’angelo ottenuti dal siero del formaggio, serviti in brodo di funghi e alga Kelp. L’effetto è quello di un ramen con i piedi piantati nella Pianura Padana: elegantissimi e concentrati.
Con il Loto volante ci si rilassa (ma per poco). Croccantissima la radice di loto all’agro, con la grassezza piena della salsa olandese al burro tostato, la sferzata del mole verde e olio al tagete, per un piatto che diventa un giardino. Se la pasta in bianco ha già da tempo mostrato il suo volto gourmet, qui Giacomello fa un salto in più e provoca: le trofie sono di tendine di vitello, accompagnate da salsa al burro e Parmigiano Reggiano liofilizzato, da grattugiare direttamente sul piatto. Il rimando, immediato, alla pasta al burro è ancora più significativo se si assaggiano solo le “trofie”, tale è la capacità di lavorare un ingrediente praticamente immasticabile. Se il gusto funziona, il piatto è tuttavia penalizzato da una temperatura di servizio troppo bassa, che fa perdere molto del suo valore e della sua genialità.
Appare quasi una prosecuzione ideale il Pollo arrosto, in cui la cartilagine del pollo è servita su cucchiaio con cedro e spezie al BBQ: praticamente un pollo arrosto che si allarga in bocca. Di grandissima eleganza è l’Espardenya, il cetriolo di mare. Un piatto sorprendente, raffinatissimo, che rimanda a sapori più comodi (cannolicchi o capesante) ma che usa sapientemente mentaiko (uova di merluzzo marinate) e pasta di sake.
I Ravioli d’alga con paté di topinambur sono un concentrato di velluto, umami e note marine e conducono verso un piatto di complessa collocazione (è un predessert? è un dessert? è un contorno?) come il Ricordo di mio zio, in cui un involucro dolce, sottile e croccante, coperto da una gelatina concentrata di fondo di carne racchiude una spuma di patate: un filo di disorientamento, con dolce e salato che tirano entrambi la corda ma che mancano leggermente l’obiettivo. Una nota più spiccata di sapidità avrebbe dato la sferzata necessaria.
Un gioco il Toast, a base di latte soffiato, gelatina di banana, polvere di liquirizia e ketchup di karkadé: idea spiritosa per un predessert che funziona e riuscirebbe a farlo ancor di più dosando meglio la liquirizia, un po’ troppo prevalente. Infine, il Limone Dimenticato. Si è detto e scritto tanto, forse troppo: qui diciamo solo che alle spalle c’è a storia della canditura, la storia dell’uso dei cromatismi a tavola mentre al palato, potentissimo, ricercato e sornione – ed estratto, sapientemente nascosto, in mezzo a limoni freschissimi – c’è un dessert che lavora sulle declinazioni di un unico ingrediente, portandolo al massimo della sua espressione. Il limone arriva morbido, accarezza il palato e se ne va lasciando una scia la cui intensità dura ore. Memorabile e, indubbiamente, uno dei migliori dessert mai mangiati.
La risposta alla domanda fatta all’inizio è quindi scontata: sì, abbiamo bisogno della cucina di Terry Giacomello.
Opinione
Nin, a Brenzone, segna il ritorno di Terry Giacomello dopo l’esperienza di Inkiostro. Un ritorno che conferma la genialità del cuoco friulano e la capacità di governare il guizzo creativo fermandosi un attimo prima che diventi eccesso e comunicando grandissima competenza tecnica nel lavorare ingredienti da ogni parte del mondo
PRO
- Servizio di sala di grande livello (nonostante la giovane età)
- Grande lavoro sui panificati, serviti con tempi che trasformano ogni pezzo in una portata a sè
CONTRO
- Temperatura di servizio da rivedere