Ha danneggiato anche lo storico Ristorante Del Cambio, fiore all’occhiello della ristorazione cittadina, il disastro in cui si è trasformata la manifestazione di protesta svoltasi ieri a Torino contro la chiusura dei ristoranti e bar alle 18.
Scontri violenti, vetrine spaccate, saccheggi, feriti e danni ancora non ben quantificati. Un brutto spettacolo, che al netto degli accertamenti in corso – pare che dietro i vetri spaccati della boutique di Gucci ci siano alcuni ultras, per esempio -rischia di ritorcersi contro i ristoratori stessi, o anche semplicemente di distogliere l’attenzione dal vero problema e dalle richieste di chi è sceso in piazza con migliori intenzioni.
Gestori di ristoranti e commercianti che di certo non erano tra chi lanciava le bombe carta, ma che forse avrebbero dovuto fare più attenzione alla chiamata alle armi di un volantino dai toni piuttosto eloquenti, e magari organizzare qualcosa in un altro momento. Perché se è vero che ieri a Torino c’erano due piazze – una che ha protestato pacificamente in piazza Vittorio, l’altra che ha devastato il centro città in piazza Castello – la seconda oggi si prende prepotentemente lo spazio sui media e nei pensieri del pubblico.
“Attenzione però, perché è importante far percepire bene la differenza”, commenta questa mattina Matteo Baronetto, chef del Ristorante Del Cambio, che mantiene il suo tono pacato nonostante la parte esterna del suo locale sia stata completamente distrutta dalla mandria imbizzarrita che ha messo a ferro e fuoco le strade della città.
Il dehors della Farmacia Del Cambio, questa mattina, praticamente non esisteva più: “hanno divelto sedie e ombrelloni, spaccato i tavolini in marmo”, racconta Baronetto provando a fare la conta dei danni.
Eppure, nonostante la comprensibile rabbia per quello che è successo, lo chef non vuole essere parte di una visione che condanna per intero quella piazza. “Ieri per strada c’era tanta gente per bene, che magari è dovuta anche scappare quando la situazione è degenerata. C’erano ristoratori che hanno manifestato con buoni intenti: perfino quelli che hanno urlato nelle interviste, sono persone che vivono la quotidianità, imprenditori arrabbiati e disperati. Davvero: è fondamentale non mettere insieme i cattivi e i buoni”.
Dei “buoni” fanno parte tutti quei ristoratori che ieri sono scesi in piazza pacificamente, in una protesta trasversale, che ha l’appoggio del piccolo gestore della tavola calda come del grande chef stellato. “Manifestare è un diritto”, dice Baronetto “ed è giusto poterlo fare. Io sto con i ristoratori che hanno manifestato, anche perché è l’unico modo che hanno di far vedere il loro dissenso. Le proteste spesso vengono percepite come inutili, e invece bisogna iniziare a comprendere che ciò che pensa la popolazione è importante, e riflettere su quello che abbiamo da dire”.
E cosa hanno da dire, i ristoratori, in questo momento? “Che alcune decisioni sembrano totalmente miopi, senza una visione, prese da chi non ha una vera percezione della realtà”, prosegue Baronetto. “Il problema c’è, esiste e l’abbiamo capito: i ristoranti però sono sicuri o non sono sicuri a cena come a pranzo. Il problema semmai sono i mezzi di trasporto: chiunque viva il mondo normale questo lo sa perfettamente, perché lo vede con i propri occhi”.
E voi ristoratori del fine dining stellato, che di certo avete una voce più autorevole di altri, cosa potreste fare? “Hai visto la lettera di Bottura a Conte, no? È bellissima, e ha ufficializzato l’investitura di rappresentante della categoria. È un segnale importante, spero che venga ascoltato”, dice Baronetto. “Per quanto mi riguarda, se me lo chiederanno io cercherò di dare il mio contributo, come sempre. Mi piacerebbe pensare che quando sono in difficoltà e faccio una richiesta ci sia qualcuno che mi aiuta; noi ristoratori, in questi mesi difficili, abbiamo aiutato, a tutti i livelli: c’è chi ha dato da mangiare ai bisognosi e ai senzatetto, chi si è messo a disposizione per dare una mano. Non bisognerebbe dimenticarselo“.
Non è solo una questione di dare e avere, ma anche e soprattutto l’importanza di considerare il settore della ristorazione una priorità per le casse e per l’immagine dell’Italia, un comparto cruciale della nostra economia. “Forse sarebbe utile aprire un tavolo concreto con la ristorazione, che è un patrimonio per il Paese”, conclude Baronetto. “Forse andava fatto già prima del Coronavirus: un visionario, uno lungimirante, quel 12% del Pil che rappresentiamo lo vorrebbe far diventare il 24. E invece, sembra che al momento non ci sia una visione d’insieme, a lungo termine, quella che invece un imprenditore ha”.