Siamo al Ristorante Christian e Manuel a Vercelli, dove regna la cucina dei Costardi Bros. A dieci anni dalla loro consacrazione, vediamo come si rinnova il loro percorso degustazione, l'”Impronta”, come sono il menu e i prezzi dei fratelli stellati aggiornati al 2019.
La hall dell’Hotel Cinzia è quel che si definisce fané e, mi dico io, continua ad essere l’habitat dei Fratelli Costardi in virtù del legame familiare che li lega all’hotel stesso: è il loro posto. Ciò imprime nell’ambiente un fascino curioso, quasi tenero, un ossimoro estetico che alberga, per esempio, nel bifet* dell’ingresso: la latta dei Costardi’s Tomato rice – quella zuppa Campbell che divenne icona con Andy Warhol e, ripresa dai due chef, un manifesto della cucina contemporanea – accanto a un banale ciapapùer*.
*bifet: mobile da cucina in piemontese
*ciapapùer: espressione intraducibile, sempre dal piemontese, per indicare il soprammobile inutile; letteralmente “prendi-polvere”
Alle pareti di questo posto qualunque dal suppellettile non propriamente minimal, dicevo, Christian e Manuel hanno affisso una stella Michelin 10 anni fa, alla faccia delle cucine sfigate degli alberghi di lusso. Per festeggiare hanno organizzato un tour nel vercellese, una sorta di omaggio al territorio che dà loro tante buone materie prime (lo hanno chiamato Legami Tour) e mi hanno invitata.
Quindi, guardiamoci negli occhi, questa non è una recensione vera e propria – non aspettatevi un voto, né commenti al servizio, ovviamente curato – ma vi aggiornerò ugualmente sullo stato delle cose al Ristorante Christian e Manuel, su come si presenta nel 2019 il loro percorso degustazione, il menu “Impronta”, che in fondo è il motivo per cui decidete se andare o no in un ristorante stellato.
Il menu dei Costardi Bros: Impronta
Patata e baccalà
I Costardi non servono vassoiate di insidiosi amuse bouche, bensì un benvenuto che è di per sé un piccolo piatto, da sempre.
Un baccalà mantecato – omaggio a Venezia, dove Christian fece esperienza – preparato con lo stoccafisso, sotto una francesissima crema di patate cotte in latte e panna, mantecate nel burro e spolverate di noce moscata. Niente “diverti-bocca” quindi: confortevole, vagamente (volutamente?) desueto, il divertimento arriva dopo?
Gambero rosso, mandorla, pino
Il gambero crudo (a Vercelli!) lo “scannellano” leggermente, lo servono con la sua bisque di teste e aghi di pino marittimo, su una granita di mandorla. Una bella variazione sul genere, intensa, leggermente acida.
Capasanta
Capasanta con crema di latte bruciato, riduzione di birra e carne di vitella affumicata ed essiccata, più polvere di liquirizia ad amaricare. Temo l’effetto artificioso, il gusto composto di un piatto ricalcato – e il grasso, e il dolce, e il croccante, e l’amaro.. -, invece è rock, il più rock tra gli antipasti.
Triglia in oriente
Filetto di triglia marinato in salsa di soia servito con miso bianco e fegato della triglia stessa. Gore in Hotel Cinzia: musica metal per palati che l’apprezzano.
Temolo tonic
Pesce d’acqua dolce particolarmente arduo da lavorare e brutto come la fame a Natale, il temolo viene insapidito con qualche goccia di colatura di alici. Poi cetriolo, granita di limone, clorofilla di prezzemolo e erbe amare. Ho come l’impressione che il percorso, più che un crescendo di gusto, sia un’escalation sulla linea del tempo, e adesso siamo ai tempi nostri.
Nuove Memorie 2019
Siamo ai tempi nostri, dicevamo. Ecco, ad oggi di piatti realizzati su quest’idea – il riso della salute, della ripresa, della nonna, rimaneggiato per riportare la nostra mente a quel tepore, ma con velleità ben più creative – ce ne sono. Ne ho visto uno molto simile tempo fa che non mi piacque granché.
Spiego: riso cotto nel brodo di Grana Padano (3 litri d’acqua e due chili di Grana), fatto cuocere per cinque volte a 85 gradi, per “stracciare” completamente il formaggio; si tiene il grasso che affiora, che viene utilizzato per mantecare il risotto, a sua volta cotto solo con il brodo dello stesso Grana. Servito in sala con un cucchiaio di “ghi”, il burro ayurvedico. Obiettivo centrato.
Crock
Rivisitazione croccante della panissa, piatto tipico locale se ce n’è uno, con riso, fagioli e salame sotto grasso. Lo si vuole coniugare al fritto misto piemontese, in una sorta di supplì con salame, lardo, burro, pepe e Grana, panata con panko, corn flakes di riso e mais, e servita con cacao e riduzione di vino rosso.
Cubo
Lingua, peperone e acciuga. La lingua a bassa temperatura che si scioglie in bocca, l’accostamento con i prodotti tipici del Piemonte: insomma quelle cose lì.
Piccione 65°
Uno degli impiattamenti più brutti dedicati a un piccione, che però è davvero convincente. Cotto per sei minuti a 65 gradi e sentore di legno dato, mi dicono, da un – non ho capito quale – cannello, albicocca scottata ad accompagnare in tutta semplicità. Brutto e buono come le paste secche.
Umami
Gelato di fondo vegetale servito con burro al caramello salato, polvere di fughi shiitake, nocciole, salsa di soia e alga nori. L’idea è bella, l’impegno tantissimo, i passaggi per realizzarlo non oso immaginare quanti e i sapori pure legano bene, ma le consistenze meno. Con tutto il bene per l’umami nostrano della nocciola.
Ma come dice il nostro redattore Massimo De Marco, “nella cucina d’autore un piatto che racconta un’idea sarà sempre anni luce avanti rispetto a uno nato perché c’è da mettere dei frutti rossi accanto a una proteina”.
E infatti questo piatto non sarà proprio facile da far piacere, parla a noi gastrofanatici finiti all’Hotel Cinzia per esperimenti come questo.
Accidia
È più forte di me: ogni volta che i vizi capitali della dottrina cattolica vengono presi in prestito dagli chef per i nomi dei loro piatti (ancor più se dolci), ripenso ai Magnum Algida limited edition di qualche anno fa (erano “Peccati Capitali” a dire il vero, brr). Ecco, maledette sinapsi, ora sto pensando al Cornetto di Isabellà Potì dolce-un-po’-salato che in realtà sa di poco.
Titubo, spezzo l’insalata iceberg con la forchettina: se è un piatto para**** mi offendo. Esplosione grasso-acida, perfetto, è il piatto più bello del menu (o meglio, il più buono). Una sorta di fetta di torta di foglie croccanti, farcita con crema di limone a base di cioccolato bianco. Poi polvere di caffè, riduzione di birra e sale.
Gola
Nella foglia di cavolo cinese ci sono crema di vaniglia, foie gras, granita di lamponi, lampone liofilizzato e spray all’aceto di timorasso. Questo piatto non è una new entry del menu e capisco il perché: è il finale ideale per noialtri che i dessert dolci li guardiamo dall’alto in basso ormai da tempo, ripulisce il palato dandoci comunque qualcosa, un sapore articolato, della sostanza, un ricordo (goloso, in effetti) e non solo un fine-pasto.
I prezzi
130 euro, considerando il numero di portate (alle sopracitate si aggiunge l’Ostrica e il pre-dessert, che non compare nel menu così come l’entrée), è una cifra ragionevole per il percorso degustazione. Il menu alla carta, rispetto al solito, è suddiviso in base alle “operazioni di coltivazione del riso”.
Informazioni
Ristorante Christian e Manuel
Indirizzo: Corso Magenta 71, Vercelli
Sito: www.christianemanuel.it
Orari di apertura: Dal martedì al sabato, 12,30-14,30/20-22,30 (fino alle 23 il sabato); aperto solo a pranzo la domenica; chiuso il lunedì.
Tipo di cucina: creativa
Ambiente: elegante con picchi fané in stile con l’albergo che ospita il ristorante
Servizio: gentile e giovanile, non troppo impettito