La nostra recensione dell’ Albergo Ristorante Dolada di Pieve d’Alpago, gloria delle Prealpi Bellunesi, una stella Michelin per la cucina di Riccardo De Prà con panorama sul Lago di Santa Croce.
Il giorno del mio trentanovesimo compleanno credo di aver capito definitivamente una cosa: entro i 40 vorrei far partire la petizione “aridatece le tovaglie di broccato e le posate d’argento”. Da buona vecchia signora ho bisogno di sciurare, e il minimalismo giapponese lo lascio agli studenti, agli eremiti, e a Marie Kondo.
Qualche giorno fa sono andata a pranzo al Ristorante (Albergo) Dolada, vecchissima gloria dell’Alpago, nelle Prealpi Bellunesi. Non proprio il ristorante sulla bocca di tutti con la sala piena di trentenni wannabe, ma come vi dicevo io i trenta li sto salutando e mi son sentita molto (forse troppo) a mio agio tra le agiate famiglie del Veneto bene che celebravano il pasto domenicale in uno sfarzo composto.
Da fuori il Dolada è in un albergo stile “miramonti”, un po’ Wim Wenders e un po’ Alfred Hitchcock, per via del fatto che Plois, la frazione di Pieve d’Alpago in cui si trova, sta diventando un paese fantasma, con le casupole tanto abbarbicate quanto diroccate e un sacco di cartelli “vendesi” alle finestre.
All’interno legno scuro, separé marmorizzati, divanetti a fiorellini, tovaglie di broccato ricoperte da teli di batista bianco, sottopiatti d’argento e teiere liberty che la maître ha fatto sparire con balzo felino appena mia figlia di 9 mesi si è accomodata sul seggiolone, nonostante la teiera distasse da lei un metro e mezzo. Ho immediatamente realizzato che dovevano essere di un certo valore, e ho contemporaneamente apprezzato che lo avesse fatto senza commenti e senza dare troppo nell’occhio.
Il Dolada è un ristorante gastronomico anche per famiglie, tanto che quando abbiamo prenotato abbiamo dichiarato un po’ timorosi di avere al seguito una figlia di nove mesi, e ci siamo sentiti rispondere: “E che problema c’è?”. Ecco, come dice la valente Dirindin, basta poco per risolvere la piaga sociale dei bambini al ristorante: nel nostro caso un sorriso indulgente e un seggiolone. Nel bagno non ci sono i fasciatoi, ma tra i lavandini c’è uno spazio sufficiente per stendere il proprio, e ovviamente non ci sono i giocattoli, ma le fette di pane caldo con il burro d’alpeggio hanno fatto vece e qualche assaggio di caviale, anche.
Ad aprire il pasto, l’unico amuse-bouche di tutto il servizio, una tazzina da caffè in porcellana con un cappelletto ripieno di zucca speziata; la tazzina viene colmata di brodo di gallina fumante che proviene da una teiera d’argento.
A farlo è lo chef in persona, Riccardo Del Prà, figlio d’arte. Il padre Enzo, fondatore del ristorante, ora si è ritirato nell’orto e non solo, dato che il guanciale della carbonara è prodotto in casa da lui. Riccardo, che ha un profilo Facebook bilingue, con un piglio cosmopolita, sembra trovarsi perfettamente a suo agio nella cornice del ristorante borghese di montagna: il suo cappelletto è un’esplosione in bocca, e il brodo è buono come quello che faceva mia nonna.
Il menu, i prezzi, i piatti
Ci sono due menu degustazione: “I grandi classici” con 4 portate a 62 euro, e “La gran degustazione Alpago” 5 piatti a 88 euro. Fortunatamente però questo è uno di quei ristoranti dove si può bypassare la degustazione ordinando alla carta, senza spendere tre volte tanto.
Tra gli antipasti la tartare di cervo (26 euro) trasuda la stessa essenza del locale: servita sul disco ricavato da un tronco che pare d’abete, viene spruzzata al tavolo con “l’essenza del bosco”, una cosa che se non ricordasse Alajmo anni ’10 sarebbe una un po’ una trashata, ma la bottiglia di profumo di cristallo col vaporizzatore d’ottone è così intonata all’ambiente che nessuno se ne fa un cruccio. La carne di cervo cruda è molto saporita perché molto marinata, e consumata con i crostini caldi e con il burro dà una sensazione di voluttuosità, ed è acida e cremosa come tutte le cose voluttuose.
L’antipasto della casa sono le fette di salmone affumicato in casa (18 euro), di ottima fattura ma prive sia di originalità (in effetti non pretesa né richiesta in questo posto) così come di lusso tracotante che caratterizza le altre portate, come ad esempio la zuppa di patate di Plois con astice e caviale (28 euro) uno di quei piatti che a far venir male ci vuole impegno, ma cosa devo dirvi, tra i broccati e le ceramiche d’epoca va bene così.
Per stare un po’ più sul dimesso c’è la carbonara di Riccardo (18 euro), che arriva nel piatto scomposta, a te di mescolare: a parte il gusto cinetico, anche in questo piatto si ritrova la filosofia riassumibile in “prendi gli ingredienti più buoni che trovi sul mercato, il piatto funzionerà da solo”.
Con i secondi piatti, invece ci si diverte, tanto che, se volete ascoltare il mio consiglio, al Dolada dovreste andarci diverse volte, smezzare un antipasto e concentrarvi sui secondi, che la carta definisce aulicamente “pietanze”: il conto che ne risulterebbe sarebbe accettabile e il rapporto prezzo/godimento impareggiabile.
L’apoteosi delle pietanze si raggiunge con la lepre alla Royale (34 euro), farcita di foie gras e tartufo e servita su un crostone di pane imbevuto dei succhi della carne, accompagnata da piccole verdure brasate. Un piatto di cui avevo letto nella Fisiologia del gusto di Brillat Savarin, e che mi aveva provocato un’ingente salivazione unita alla consapevolezza che non avrei mai avuto modo di permettermelo. Invece la vita ti stupisce sempre.
L’altro secondo che abbiamo provato è il kebab di agnello speziato (28 euro) un paninetto arabo sufficientemente piccolo da essere addomesticabile con coltello e forchetta, al cui interno stanno degli straccetti di agnello delicatamente speziati. Nel menu il piatto è corredato dalla dicitura “da un’antica ricetta”, forse per tranquillizzare l’agiato capofamiglia Veneto che potrebbe avere qualche scompenso alla lettura della parola “kebab”. Il piatto, al di là e nonostante le filosofie, è speciale: goloso senza essere molesto.
Alla fine di un pasto del genere riuscire a ordinare il dessert è una sfida per valorosi, i camerieri lo sanno e propongono “la piccola pasticceria”, insolitamente a pagamento (10 euro, con il caffè), ma decisamente lussureggiante nel servizio come nella quantità. Tra addetti ai lavori si vocifera che la piccola pasticceria sia per i camerieri, io, privata del ritegno da questo posto così diverso dal ristorante gastronomico che va ora, me la sono mangiata tutta.
Informazioni
Albergo Ristorante Dolada
Indirizzo: Via Dolada 21, loc. Plois – Pieve d’Alpago (BL)
Numero di telefono: 0437 479141
Orari di apertura: chiuso lunedì, martedì e domenica sera
Sito web: www.dolada.it
Servizio: caloroso come se si andasse a cena in una casa privata
Tipo di cucina: borghese di montagna, con una passione per il vintage