È indubbiamente il risotto imprigionato dai colori giallo e nero più celebre che ci sia. Impreziosito da una foglia d’oro trascende la mera portata e diventa quadro, opera d’arte di una cucina che evoca messaggi e racconta valori. Stiamo parlando del Riso oro e Zafferano di Gualtiero Marchesi, il cuoco che ha scritto la storia moderna della cucina italiana con l’apertura, nel 1977, del suo ristorante in via Bonvensin de la Riva a Milano.
È stato lui a crescere e a ispirare generazioni di chef con quel suo nuovo modo di cucinare che rende la tradizione un elemento imprescindibile per poter lavorare in cucina: la tradizione è ispirazione, ma deve essere conosciuta profondamente per poi essere dimenticata lasciando il cuoco libero di agire in assoluta libertà. Le sue scelte legate alle stagioni (che per il periodo fu già solo questa una innovazione) e il lavoro sempre più collegato al mondo dell’arte fecero di Marchesi il Maestro della cucina italiana portandolo anche ai vertici della gastronomia internazionale.
La sua fu una vera e propria rivoluzione a tal punto da ottenere, primo in Italia, la terza stella Michelin nel 1986: Marchesi non abbandonò mai la tradizione, ma diede vita a una rivoluzione che partiva da una libertà espressiva legata profondamente al rigore e alla passione per il proprio lavoro. L’omaggio alla materia prima non è stato mai messo in discussione, anzi, per valorizzarla nel modo migliore Marchesi l’ha sempre “contaminata” con la propria cultura, la passione per l’arte e per la musica, rielaborandola in maniera personale e rendendola, il più delle volte, un’opera d’arte.
Riso oro e zafferano
Avere più di 40 anni e non sentirli. Succede a uno dei piatti icona di Gualtiero Marchesi, quel Riso oro e zafferano preparato per la prima volta (quasi per caso) nel 1981. La storia vuole (ma ci sono anche differenti versioni) che il Maestro lo realizzò su richiesta di Angeletti che, produttore di foglie d’oro 24 carati fino ad allora mai utilizzate in ristorazione seppur commestibili, gli chiese di pensare a un piatto in cui utilizzarne per realizzare una sorpresa allo zio che avrebbe portato in via Bonvensin de la Riva. Marchesi decise di adagiare semplicemente la foglia d’oro sul risotto allo zafferano che aveva già in menù e di fatto il piatto venne dimenticato fino al 1985 quando il fotografo Riccardo Marcialis lo contattò per un servizio sull’oro e sul giallo in cucina.
E fu così che Marchesi decise di metterlo in carta unendo, di fatto, la tradizione italiana con il design e con l’importanza che le forme e l’equilibrio di colori, volumi e consistenze stava toccando la cucina italiana. Una curiosità: calcolando le foglie d’oro acquistate per realizzarla, nel 2017 il Maestro stimò di averne preparati 100 mila piatti e da allora accompagnò ogni ordinazione a un certificato che ne attestasse il numero, proprio come la tiratura delle stampe d’artista. Oggi questo piatto, a cui è stato reso omaggio in tutta Italia, può ancora essere gustato a La Terrazza Gualtiero Marchesi all’interno del Grand Hotel Tramezzo sul Lago di Como.
Altri piatti iconici
Raviolo aperto: è il 1982 e il Maestro reinterpreta un altro grande classico della cucina italiana, il raviolo che mai nessuno prima di lui aveva pensato di servire aperto. Prepara due veli di pasta di 10 cm per lato ma non li chiude: uno è all’uovo, l’altro è verde e nel mezzo mette le capesante. Dripping di pesce: Ispirandosi al pittore Jackson Pollock, che faceva gocciolare il colore sulla tela, Marchesi ideò questo piatto nel 2004. Su una base di maionese leggera mette calamaretti e vongole che, come in un quadro, si alternano ai colori: il rosso del pomodoro, il nero del nero di seppia e il verde di clorofilla e prezzemolo. Il rosso e il nero; l’arte è sempre stata una grande passione di Gualtiero Marchesi.
Ecco perché anche questo piatto, creato nel 2006, guarda a un maestro italiano come Lucio Fontana. Un contrasto di colori (il rosso e il nero) che gioca con il contrasto di temperature tra la salsa fredda e piccante e la coda di rospo cotta nel nero di seppia e servita tiepida. Minextra: questo piatto nasce nel 2009 dopo un viaggio a Madrid. Marchesi racconta di aver ordinato in un ristorante spagnolo una minestra, ma di aver visto arrivare in tavola non brodo bensì delle verdure passate in farina e burro, asciutte. Da qui l’idea di lavorare su questo concetto fino a comporre la sua Minextra.
Gualtiero Marchesi
Classe 1930, Gualtiero Marchesi nacque a Milano da genitori ristoratori. Nella trattoria di famiglia mosse i primi passi in cucina, studiando poi all’istituto alberghiero di Lucerna, ma è dopo la chiusura del locale nel 1969 che Marchesi decise di lasciare l’Italia alla volta della Francia per vedere cosa stava succedendo Oltralpe. Dopo aver lavorato al Ledoyen di Parigi, al Chapeau Rouge di Lione e dai fratelli Troisgros a Roanne (da cui apprese le innovazioni che portarono alla nascita della nouvelle cuisine, come l’alleggerimento di salse e condimenti, il servizio al piatto e il perseguire l’offerta giornaliera di mercato e stagioni) nel 1977 aprì il suo ristorante a Milano dove ottenne la prima stella nel 1978, la seconda nel 1979 (anno in cui il New York Times lo segnalò tra i primi 15 ristoranti al mondo) e la terza nel 1986.
Nel 1992 Marchesi chiuse il locale di via Bonvensin de la Riva e, poco meno di un anno dopo, lo riaprì all’Albereta in Franciacorta. Tra i primi cuochi italiani a diventare personaggio pubblico e a dare il volto a libri e collane di scuole di cucina, Marchesì è il padre putativo dei principali chef della cucina contemporanea nazionale: Carlo Cracco, Enrico Crippa, Pietro Leeman, ma anche Paolo Lopriore, Davide Oldani, Andrea Berton, Ernst Knam, Matteo Baronetto, Simone Cantafio. Rettore dell’Alma di Colorno dal 2002 al 2017, anno della sua morte, fu anche protagonista del documentario Marchesi: The Great Italian per la regia di Maurizio Gigola che venne presentato in prima mondiale il 16 ottobre 2017 a New York durante il Congresso de Les Tables du Monde. A lui è dedicata la Fondazione Gualtiero Marchesi che ha sede a Milano proprio in via Bonvesin de la Riva nuemero 5.