Una giornata storica per i rider: l’accordo tra i sindacati più rappresentativi e la piattaforma di delivery Just Eat sul riconoscimento del rapporto come lavoro subordinato cambia completamente la visione d’insieme. Infatti non si tratta che di un primo passo, che riguarda una minoranza di fattorini del food. Ma la giornata non è storica solo per i rider: quella che ne esce stravolta, e proiettata verso il futuro, non è soltanto una categoria ma tutta la concezione della gig economy.
Evidentemente, al giorno d’oggi dire lavoro non equivale necessariamente a dire sfruttamento.
Lo avevamo detto all’epoca, che il 2020 si stava rivelando l’anno zero per i diritti dei fattorini: l’anno in cui a fronte di un boom nelle ordinazioni e quindi nei guadagni, le piattaforme avrebbero dovuto fare i conti con la realtà. Ed ecco, è arrivato l’anno uno. Sono i tempi, che ci vuoi fare, dicono spesso i difensori dello status quo e della deregolamentazione selvaggia, con un’alzata di spalle. Ma i tempi possono cambiare, meglio ancora si possono cambiare. Vediamo allora qual è la situazione attuale, e quali potrebbero essere i successivi sviluppi.
Just Eat e 4000 rider da assumere
L’accordo ha visto da una parte i sindacati confederali (Cgil-Cisl-Uil) e autonomi (RiderXiDiritti), dall’altra la piattaforma Just Eat. Questa aveva annunciato da tempo di voler cambiare rotta rispetto agli altri colossi del delivery come Deliveroo, Glovo, Uber Eats, e si era sfilata da Assodelivery. Cosa che comunque non l’aveva messa al riparo da problemi giudiziari e contenziosi riguardanti gli anni trascorsi. Il punto centrale della questione era, ed è, molto chiaro: i fattorini che consegnano il cibo fanno un lavoro da dipendenti ma vengono trattati da autonomi. Non solo riguardo al pagamento – che comunque resta il fattore più rilevante: il compenso era a consegna, quindi a cottimo – ma anche riguardo a tutto il resto: tutele, diritti, ferie, previdenza e così via.
Ogni tanto arrivava qualche tribunale a riconoscere il sostanziale rapporto di lavoro subordinato, ma ogni tanto qualche altro giudice si esprimeva in senso contrario; e poi comunque in Italia la giurisprudenza crea precedenti, non leggi. Ora, dopo una lunga trattativa, e ampiamente preannunciato, arriva l’inquadramento da parte di Just Eats: i rider avranno il contratto del settore logistica. Quello che non era affatto scontato è che non si è giunti a un compromesso, a una via di mezzo: la logica e il buonsenso dicono che i rider sono dipendenti; i rider saranno dipendenti.
Il trattamento economico può sembrare basso (8,50 euro all’ora) ma con premi di risultato alla consegna, indennità e scatti di anzianità si arriva presto alla soglia dei 10-11 euro; per non parlare di tutti gli altri diritti, di tutte le altre certezze, dal tfr al congedo genitoriale. Altro impegno che ha preso l’azienda, quello di fare a meno per il momento di intermediari e agenzie: il fenomeno del caporalato è una piaga che affligge anche e soprattutto il settore del delivery.
Just Eat prevede di assumere circa 4000 persone con questo contratto: sono previste anche prestazioni part-time, il minimo è di 10 ore alla settimana. A livello di contrattazione aziendale dovrebbe essere tutelata la necessaria flessibilità del lavoro: gli stessi rider spesso sono studenti o lavoratori saltuari che lo fanno per integrare. E ovviamente, tutta da vedere – da controllare – sarà l’effettiva applicazione degli accordi e dei contratti. Ma insomma, l’ammissione ufficiale c’è.
Le altre piattaforme e le condizioni generali
Dall’altro lato, tutti gli altri. Ovvero un numero tra i 30 e i 60mila rider, parliamo di un lavoro per definizione fluido e frammentato. Quali sono le condizioni per loro? È recente la sottoscrizione di un altro accordo tra i sindacati e stavolta tutte le piattaforme di delivery, il “Protocollo Quadro Sperimentale per la legalità, contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del Food delivery”. Ma l’inquadramento contrattuale generale resta quello del lavoro autonomo, partita Iva. È questo anche il pilastro di un accordo firmato da Assodelivery (quello che aveva provocato la scissione di Just Eat dall’associazione padronale) e il sindacato Ugl. L’Ugl per chi avesse poca familiarità con le sigle, è l’erede della vecchia Cisnal, ovvero il sindacato politicamente orientato a destra: non propriamente un sindacato giallo – cioè quelli finti creati dai padroni – ma certo un’associazione poco rappresentativa, a livello numerico. L’accordo prevedeva delle garanzie minime e qualche miglioria nel trattamento, ma è stato contestatissimo: dai giudici, dal ministero, dai lavoratori.
Si levano anche delle voci contrarie: ma si tratta sempre di casi che sollevano qualche dubbio. Come il rider che testimonia a favore di Deliveroo e che poi si è scoperto essere tutt’altro che una voce indipendente. O il caso, che aveva suscitato un certo scalpore online, del cosiddetto “rider felice” che prima faceva il commercialista: storia smentita. Oggi stesso, poi, nel giorno dell’accordo con Just Eat, sono scesi in piazza i rider contrari all’inquadramento da subordinati, che hanno protestato davanti a Montecitorio sotto lo slogan #iorestoautonomo.
In una manifestazione del genere si individuano talmente tanti problemi e inesattezze, che val la pena metterli in fila (non per dare al caso più importanza di quanta meriti, ma per far capire quanto la strada sia piena di trappole):
- Innanzitutto non si tratta della “protesta dei rider che vogliono restare autonomi”, ma di una manifestazione sindacale, organizzata dalla suddetta Ugl come si deduce dalle bandiere visibilmente sventolate nel video. Ugl che è ovviamente contraria all’accordo di contenuto diverso da quello da lei firmato.
- Non pare una protesta di massa ma, sempre dal video, sembra una quantità di persone da contarsi su un paio di mani.
- Manca proprio il fondamento della protesta perché, almeno per ora, non c’è nessun obbligo di legge a inquadrare i rider come dipendenti, anzi come si è appena detto la maggioranza resta nella stessa situazione.
- Non è vero, come dice un signore, che la paga è di 6 euro all’ora.
- Un altro rider afferma che l’accordo “prevede un’assunzione in regime subordinato di dieci ore alla settimana. Il che significa duecento euro al mese. Sicuramente uno stipendio da fame che non risolve il problema dei rider”. Questa affermazione è sia sbagliata da un punto di vista della matematica elementare, sia da quello della logica: se si rivendica di vuole essere flessibili e autonomi poi non si può dire che non si arriva a uno “stipendio”.
- Infine, nota di colore o cosa che potrebbe farvi esplodere il cervello, avete visto alcuni “rider” che mascherina avevano? Esatto, quella di Dalì che usano i compagni del Professore nella Casa di carta. Cioè, ripetiamo: esponenti del sindacato che fiancheggia Meloni e Salvini, i quali portano sul viso il simbolo universalmente noto di un gruppo che svaligia banche cantando Bella ciao. Tuttapposto?
E adesso?
Cosa ci riserva il futuro? Da una parte, come si è detto, attendiamo l’applicazione pratica dell’accordo e aspettiamo Just Eat al varco delle prime richieste di paternità. Dall’altra, bisogna capire se le altre piattaforme rifletteranno e, anche solo per questioni di marketing e visibilità, penseranno di adeguarsi. Certo una svolta del genere non sarà imposta dall’alto, anche se magistratura e politica si sono più volte espresse in un senso preciso.
Ma quali sono le categorie di lavoratori che potrebbero trarre beneficio da un simile mutato atteggiamento? La gig economy, o economia dei lavoretti, è un problema complesso e di portata globale, che certo non può essere risolto con una norma di legge, o con un accordo privato. Questo caso però dimostra che a volte gli ostacoli che il tardo capitalismo pone sono più ideologici che reali, e che in certi casi non c’è bisogno di inventarsi chissà che innovativi strumenti: possono tornare utili i vecchi arnesi del Novecento, come per esempio la falce e il martello il contratto collettivo della logistica.