Fino a non molto tempo fa posti come Remulass sarebbero sfuggiti a quelle classificazioni e categorie che colpevolmente stanno fin troppo care a noi che scriviamo di cibo. Se non fosse che ormai sono, i posti come Remulass, almeno a Milano, tanto frequenti da formare una categoria a sé. Una categoria dominante tra le nuove aperture che potremmo chiamare quella dei bistrot contemporanei.
Un po’ per mia manifesta mancanza di originalità lessicale, un po’ per velatissima polemica, per ripicca addirittura, al fatto che di bistrot veri e propri a Milano non ce ne sono, facendo questi parte di quella insignificante, minoritaria nicchia gastronomica che in città è giustamente trascurata e che risponde al nome di cucina francese. Dunque ai bistrot suppliscono posti come Remulass, dove non si mangia francese ma il concetto non è dissimile. Posti informali ma curati, senza pretese rivoluzionarie ma con un’intenzione e una direzione piuttosto chiare. Senza un’ostinata ossessione identitaria ma ricchi di personalità. Il vino chiaramente è una componente fondante. Circa 150 etichette naturali e artigianali che dai 30 agli 80 euro coprono buona parte del territorio italiano e qualcosa di quello francese, tra cui anche qualche champagne.
Piuttosto che con il consueto mix di colori caldi, legno vintage, mattoni a vista e pareti scrostate, l’atmosfera accogliente e rilassante prende forma da arredi dai colori accesi e marcati, da carte da parati floreali e vivaci, su cui contrastano gli elementi architettonici originari come la bella vetrata in ferro che dà sul cortile adiacente. Potrebbe essere il loft appena ristrutturato di un(‘) influencer con buon gusto. Loro si fanno chiamare “piccola cucina con radici”, un gioco di parole tra le radici nel piatto (naturalmente la presenza vegetale è forte o non siamo nel 2022?) e il riferimento a uno stile culinario sfizioso ma con i piedi per terra. Brioso ma sensato. L’allure è intima e spontanea, quasi verrebbe da pensare “da organizzare all’ultimo”, quando vuoi qualcosa di buono senza troppi programmi e cerimonie, se non fosse che, lunedì a pranzo, la sala era al completo. Quindi meglio accantonare troppa spontaneità e prenotare con anticipo.
Il luogo, nell’estetica, nelle intenzioni, nell’offerta, si iscrive ampiamente nello spirito del tempo, senza che questo sia in alcun modo un punto a sfavore. Qua e là in carta un prodotto con nome e cognome (ora c’è il caciocavallo di Ciminà, noi avevamo le fave Slow Food e la mucca rara del Trentino), i vini naturali, la cucina di ingrediente, l’aura da “posticino”. Ma va bene così, quando la forma è anche sostanza, ogni sguardo accigliato e snobbante sarebbe a sproposito.
Piccola cucina si definiscono, ma irrequieta. Il menu infatti cambia continuamente. Ciò che non è piccolo invece sono le porzioni, tanto che alcuni piatti divisi in due avrebbero potuto facilmente essere porzioni intere. Il petto di pollo è sublime, la cottura perfetta lo rende satinato, lucido e umido come una mozzarella di bufala appena forgiata. La salsa di carote e tamarindo fa da alternativa fantasiosa ad abbinamenti più classici, magari con albicocca o mela, preservandone lo stesso effetto esotico e agrodolce.
Poi succede che davanti alla terrina di patate croccante ti ritrovi sopraffatto da riflessioni esistenziali sull’ingannevolezza della vita contemporanea. La stessa ricetta, cioè fare il tubero a cubetti regolari e poi inciderli al coltello a mo’ di fisarmonica, per poi cuocerli a forno alto, mi era comparsa su Instagram. Il risultato sembrava ipnotico e irresistibile. Le ho fatte. Le ho mangiate cercando di non pensare e non vedere, mosso solo dalla inscalfibile filosofia per la quale non butto mai nulla che stia appena sopra il rischio concreto di avvelenamento. Invece fatte bene come da Remulass, magistrali nella loro perfida, finta semplicità, sono un’altra storia. L’esterno lamellato e croccante sembra una bruschetta di pane casereccio appena tolta dalla brace. L’interno, pura, ricca crema di amido.
Il risotto al blu di bufala, rapa rossa allo zenzero e polvere di tè nero tocca relegarlo nella rubrica “più belli che buoni”. Sulla bellezza, vince a mani basse. Un disco piatto, perfettamente livellato, dove i colori scuri e suadenti brillano come glitter nebulizzati da un aerografo. Però la cottura del riso è manchevole e lascia in bocca una sensazione farinosa.
La pastella delle pepite di cavolfiore fritte è ariosa e spumosa, sembrano frittelle di pasta di pane. Gli scones con fegato di vitello hanno l’inconfondibile aspetto del fatto in casa. Imperfetti, un po’ sbilenchi, la superficie frastagliata di quando li modelli con le mani, sulle cui irregolarità in cottura si annida un sapore intensissimo e favoloso.
Il purè di fave è un’altra dura lezione su quanto un piatto apparentemente semplice possa nascondere tante insidie. E puo’ solo saperlo chi ha provato a farlo a casa (parlo di un amico naturalmente). Qui è risolto magistralmente. Sarà per le fave di Carpino, cui l’essiccatura al sole direttamente nei campi di raccolta dona forse un quid speciale. Sarà per i capperi di Salina e il limone in conserva, che lo arricchiscono di un tocco sobrio ma deciso.
Insomma, se a prima impressione, a qualcuno, un posto come questo possa generare qualche rigurgito di facile snobismo del genere “ormai i locali che aprono sono tutti uguali”, o peggio: “ma basta con sti vini naturali” (eh si, tocca sentire anche questo in giro… no comment), a me pare invece che Remulass si inquadri in un moto nascente di controcultura che ha come capisaldi le buone intenzioni, la sincerità, adeguate perizia e sensibilità culinarie, lontano da idee preconfezionate che hanno come unico principio guida il mero successo commerciale. Quello, quando c’è la sostanza, viene da sé. Come una sala al completo di lunedì a pranzo sta a dimostrare.
Opinione
Non chiamatelo “posticino”, anche se in fondo in fondo è quello che è. Sarebbe però banalizzare, perché se è vero che Remulass è il classico candidato a diventare il posto del cuore del quartiere, rilassato e spontaneo, è anche vero che l’offerta è ben oltre qualsiasi intenzionale medietà dei ristoranti “per la gente” dei quartieri. Piatti sfiziosi e fantasiosi, alcuni da migliorare, altri eccezionali. Ottima cantina di vini naturali, ambiente accogliente e stiloso.
PRO
- Benvenuta aggiunta a quella sorta di trend dei bistrot contemporanei che a Milano si sta consolidando.
- Tutto l’impianto funziona molto bene, pur nella sua intrinseca spontaneità e informalità. Piatti gratificanti che centrano il giusto mezzo tra sobrietà e guizzo.
CONTRO
- Da migliorare alcune cotture, come il risotto.