Quasi tutti i piatti a base di pollo che si mangiano nei ristoranti italiani sono uno spreco vergognoso della vita di un pollo. Hanno lo stesso sapore che suppongo abbiano i barbiturici: fatalmente amari, genere medicinale scaduto. Al contrario, il culmine del mio pranzo al Duomo di Ragusa Ibla è arrivato con un piatto di pollo.
Consiglierei a tutti il ristorante di Ciccio Sultano, tranne che ai vegetariani.
Tanto per iniziare, i vegetariani sono persone che NON mangiano le cose. Questo è importante. I vegetariani chiedono ai camerieri se hanno qualcosa senza carne, non chiedono se hanno qualcosa con i vegetali.
I ristoranti vegetariani vengono giudicati per quello che non cucinano. Meno cucinano meglio è.
Il cameriere di un ristorante vegetariano potrebbe accogliervi dicendo: “Benvenuto, le dico cosa non abbiamo nel menu oggi. Non abbiamo agnello, maiale, vitello; non abbiamo pollo né pesce”.
I vegetariani sono persone che provano piacere nel non mangiare le cose.
Cialdine di riso al nero di seppia, alla rapa rossa, alle alghe wakame.
Stop. Questa è una recensione non un sermone. Comunque, se una tempesta di neve mi costringesse a mangiare solo ghiaccio e unghie per 3 giorni, allora potrei anche trovare allettante un piatto di tofu.
“Volevo essere fritto”. Cannolo di ricotta con gambero rosso di Mazara e caviale.
I coralli, estratti dalla testa dei gamberi, si fanno frullare con olio, succo di limone e peperoncino. Con questa emulsione si condiscono le code dei gamberi. Piccola e croccante, la cialda del cannolo viene farcita con verdure e ricotta puntinata di caviale.
I gamberi di Mazara sono incontestabilmente i migliori del mondo. Hanno sapore e consistenza senza paragoni. Amo il Bohuslän, la west coast svedese, adoro la schia veneta ma la Sicilia è un’altra cosa.
Senza la cialda del cannolo, il gambero sarebbe come una bacio senza lingua, Casablanca senza Bogart, Natale senza i regali.
Affumicato di pesce spada con salsa al pistacchio.
Oliva Iblea con marzapane al pistacchio e finto nocciolo di fagiolo.
Nella convergenza tra cuochi stellati e social media alcuni colleghi di Ciccio Sultano sono più smaliziati di lui, intendiamoci, lo chef siciliano già dal nome non è tipo da passare inosservato, ma le note salienti della sua biografia amabilmente offerte dal Wall Street Journal aiutano a cogliere appieno questa sequenza di piatti.
“In parte allevatore, in parte dandy autoproclamato, Ciccio Sultano, 45 anni, è nato e cresciuto in Sicilia (in realtà è nato a Torino), ha lavorato come chef al Felidia di New York prima di tornare a casa e insediarsi nella cittadina barocca di Ragusa Ibla.
Ambasciatore entusiasta della cucina siciliana e studioso delle influenze lasciate sulle ricette locali da spagnoli, arabi e normanni, Ciccio Sultano, che ha aperto Il Duomo nel 2000, è noto per integrare ingredienti siciliani classici come acciughe, pistacchi, bottarga, agnello dei Nebrodi all’interno di piatti estrosi che esprimono sia la padronanza delle tecniche contemporanee che il legame con il territorio.
Nel 2004 ha ottenuto la stella Michelin, nel 2006, primo chef in Sicilia, la seconda“.
Aggiornamenti utili:
– A inizio 2016, di nuovo a Ragusa Ibla, Sultano ha dato vita all’Aia Gaia, una fattoria dove galline ovaiole e polli da carne di razze autoctone vengono allevate a terra e alimentate con sementi e grani locali.
– A Giugno 2016, sempre a Ragusa Ibla, Sultano ha aperto I Banchi, la bistronomia secondo lui: pane e cucina di alta scuola a prezzi accessibili con servizio rilassato in un contesto informale, che nella Sicilia barocca è comunque il settecentesco Palazzo DiQuattro.
4. Sarda e ostrica “alla beccafico” con insalata liquida di limoni.
Sarde messe sottovuoto una per una. A parte si fa frullare un composto di acciughe, mollica di pane e succo di limone che viene distribuito sopra un crostino di pane sormontato da un’ostrica, e sopra ancora, da una sarda.
Il beccafico è un uccello ghiotto di fichi che in estate diventa pingue e gustoso nelle carni. La preparazione delle sarde “a beccaficu” prende il nome per analogia dell’uccello, sarde cioè farcite, ripiene.
Notevoli diversità sul ripieno, variabile da paese a paese e da un lato all’altro dell’isola, e sul modo di apparecchiare, se cioè la farcia dev’essere contenuta entro una sola sarda, nella Sicilia Occidentale, o se tra due sarde messe una sull’altra, Orientale e Centrale.
5. Passeggiata in pescheria: polpo, funghi, trippa, ricci e aspic di pollo.
Trippa bollita, scottata sulla piastra e condita con aglio, olio e limone. Anche il polpo passa sulla piastra, i funghi vengono soffritti e messi a macerare in un brodo di pollo. Nel piatto, sopra una pellicola leggera di brodo addensato che avvolge gli ingredienti, un riccio crudo attende la mescita del brodo filtrato.
Cucina di recupero, anzi di mercato: Passeggiata in pescheria si chiama così perché si fa con gli ingredienti avanzati dopo la spesa del mattino al mercato di Catania.
6. Spaghetti con panna acida, lenticchie, cotiche e gambero rosso.
Gli alti e i bassi della vita nel viavai degli ingredienti sono un bell’esempio di quanto in Sicilia la cucina popolare di città sia una reinvenzione spiritosa di quella baronale. Mattatrici le madri di famiglia, ciascuna secondo le proprie possibilità.
7. Bottarga di tonno rosso, Ragusano DOP, limone, uva e ciliegie.
“Ho bisogno di un rapporto diretto con il mio fornitore di bottarga di tonno che sta a Campisi: prima faceva bottarghe salatissime, gli chiesi di darmele più fresche, meno tirate, pagandole lo stesso prezzo. Non sarà un grandissimo artigiano ma le cose le capisce”. La mia cucina siciliana – Ciccio Sultano, 199 pag. Gambero Rosso (2005).
Oggigiorno il fornitore è lo stesso di allora, ma continuando a deplorare l’eccessiva salagione Sultano prova a rimediare con alcune bottarghe di sua produzione.
8. Gelato di scorzone di Palazzolo Acreide.
Due sono i cardini gastronomici di Palazzolo Acreide, cittadina barocca patrimonio dell’umanità. Il primo, il suino nero, indispensabile la salsiccia secca di “porco niuro”, viene impiegato nella ricerca dell’altro, il tartufo nero.
9. Pollo in crosta.
A Ibla, ex città fantasma abbandonata dopo che a prevalere fu Ragusa, la parte nuova, è in corso da anni una campagna di recupero. Ma l’area degradata è talmente vasta che un risanamento completo sembra poco probabile. Il deposito di fulgori architettonici è comunque unico al mondo: la città, scenograficamente adagiata su un vallone dirupato, resta una visione d’incanto.
Palazzo La Rocca, ammiratissimo per le sofisticate balconate e i fantasiosi mascheroni, è inserito in un quartiere-presepe luogo di scoperte ammalianti. In una parte dei bassi recuperata dal suo lento deperire si trova il ristorante, un dedalo di stanze dal pavimento nero, con i divanetti borghesi e le carte da parati multicolore.
Si respira un lusso composto, leggermente sfiorito come sono le erbe che, lasciate a seccare d’estate, diventano fieno. La metafora floreale ha uno scopo preciso: ricordare al sindaco di Ibla lo stato di abbandono in cui versa il giardino del palazzo.
Sguardo vivo e battuta pronta Ciccio Sultano è un concentrato di astuzia e sicilianità, timidezza e senso pratico, strafottenza leggermente dissimulata e fare sardonico.
Il culto della tradizione e degli ingredienti locali assemblati in modo non convenzionale è quasi un tacito accordo con i frequentatori del ristorante, ma a rendere coerente uno stile altrimenti indefinibile è l’atteggiamento straordinariamente giocoso che sta alla base di tutto quello che lo chef cucina, fossero anche le tradizioni più consolidate.
Peccato che questo piatto di pollo con le patate fritte e i barattolini di salsa variopinti avesse l’aria di essere il più superfluo degli intrattenimenti. Andiamo a cena fuori per vedere numeri da circo non per nutrirci, però c’è un limite.
10. Pollo di campagna “L’Aia Gaia” farcito di mais con croccante di riso alla ragusana.
Dopo il primo assaggio la fotografa rimane stranamente in silenzio –meditando. Immagino vada tutto bene, siamo pur sempre al Duomo, il ristorante di Ciccio Sultano. Poi dice misteriosa, con una voce non dissimile da quella di Halle Berry nella scena dell’orgasmo di Monster Ball: “provalo”.
Io, fidandomi, l’ho provato.
E niente è stato più come prima.
Sono morto per qualche istante e poi risorto in uno stato di eccitazione, come un bambino spensierato che mangia per la prima volta un pollastro da cortile con le carni turgide e la pelle non sbiadita.
Smettere di crescere polli sani: come abbiamo potuto pensare che fosse una soluzione intelligente? O utile? O appagante?
E a voi che leggete questa recensione con aria di sufficienza chiedo: cosa vi fa pensare che la carne di pollo non sia all’altezza dei vostri palati stellati se, invece –come in questo caso– rappresenta il biglietto di sola andata per il paradiso?
Dio solo lo sa.
Le parole non rendono giustizia a “L’Aia Gaia” che ti mette una gran voglia di cantare a perdifiato “Vitti Na Crozza”, o di inerpicarti per cercare il giardino di aranci delle Esperidi, o di gettarti dentro il cratere dell’Etna per cercare il fantasma di Elisabetta I.
11. Sichilia: espressione del limone.
“No durci da vitrina do durcieri, ma chiddi fatti de fimmini de casa, russi po furnu e bianchi di farina“.
12. Crema di frutti rossi, ganache al cioccolato bianco, sorbetto alla melissa e cialda all’arancia.
“Io sono nato dentro il Marsala, in questo territorio, da una famiglia di produttori di vino. il “Vecchio Samperi” è l’espressione più autentica di me, del mio temperamento, del mio orgoglio“. Marco De Bartoli
13. Cannolo di ricotta vaccina ragusana, con zuppa calda di fichi d’India di San Cono e sorbetto di mandorla “Pizzuta di Avola”.
Sbucciati e passati al passaverdure i fichi d’India se ne fa ridurre la polpa della metà a fuoco lento. Si riempie il cannolo con la ricotta intingendo le due estremità in un trito di mandorle tostate, la scorza viene poi cosparsa di zucchero a velo e cannella in polvere. Sul fondo del piatto si dispongono tre cucchiai di riduzione di fichi d’India calda con una spolverata di cannella, per poi comporre una quenelle di ricotta ricoperta da cioccolato fondente e marmellata di arance. Infine viene adagiata accanto al cannolo una pallina di gelato al torrone.
14. (Piccola pasticceria) Profiterole con cioccolato al brandy e panna montata.
Il pranzo è durato troppo. Cercate il colpevole nel senso della fotografa per l’inquadratura, il personale non c’entra, anzi, è stato professionale e paziente.
Non come come quei camerieri che chiedono “tutto bene” due volte a portata costringendo ogni volta i clienti a interrompere dialoghi complessi e toccanti per dire un secco “sì”.
Secondo la Guida Michelin il menu degustazione de Il Duomo costa 190€, a pranzo durante la settimana si spendono 45 €, alla carta 90/139 €.
[CREDITI: lo staff di Dissapore è stato ospite in Sicilia di Eden Hotels presso il Falconara Charming House Resort & Spa e presso il Sikania Resort & Spa, entrambi a Marina di Butera. Tutte le foto sono di Rossella Neiadin]