Mentre i ristoranti continuano a organizzarsi per rispondere in modo efficace all’impatto avuto sui loro fatturati dal food delivery –la consegna a domicilio di pasti da parte di piattaforme come Deliveroo, Foodora, Uber eats, Glovo, Just Eat– e si parla con insistenza di “dark kitchen“, grandi cucine attrezzate condivise da diversi ristoranti per ottimizzare il lavoro delle società che consegnano il cibo –in pratica cucine senza clienti ma solo chef e fattorini– Lino Stoppani, presidente Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), rende noto il giro d’affari delle consegne di cibo a domicilio in Italia.
Come riferisce Wired, che ha un bell’approfondimento sul tema, la varie piattaforme hanno recapitato circa 500 milioni di euro in più nelle casse dei ristoranti.
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Una percentuale ancora poco significativa, ma le previsioni di Stoppani sono chiare: “Entro il 2020 ci aspettiamo un volume di circa 2,5 miliardi di euro”.
Cosa funziona e cosa non
Mentre le consegne a domicilio per i ristoranti migliorano l’incidenza dei costi fissi, nel senso che tagliano quelli della somministrazione, i problemi di carattere operativo sono ancora parecchi, questi i principali:
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– Il tempestivo trasferimento degli ordini dai dispositivi degli operatori alle cucine dei ristoranti;
– La gestione di fasce orarie come quella dal venerdì alla domenica, tra le 19 e le 21, quando le richieste aumentano, che può richiedere una persona dedicata;
– I ritardi dei rider;
– La condizione in cui arrivano i pasti, a volte sensibilmente diversa da quando questi escono dai ristoranti, causa trasporto “movimentato”;
– L’invasione di tablet per gestire gli ordini e i diversi sistemi usati da ogni app, specie per le realtà che hanno un numero consistente di punti vendita;
– Le tariffe delle piattaforme, che chiedono commissioni elevate. Se sono app che fungono solo da vetrina, come Just Eat, le commissioni viaggiano intorno al 10%, aggiungendo il servizio di logistica passano dal 25% al 30%.
Ma il gioco vale comunque la candela perché il reddito generato dalle app è aggiuntivo rispetto a quello della sala, e gli ordini integrano orari in cui i ristoranti sono più vuoti.
Per avere dati attendibili sull’incidenza che le consegne a domicilio dei pasti hanno sui fatturati dei ristoranti, Wired ha interpellato alcune attività: Obicà, Panino Giusto, Berberè, Pescaria e Grom.
Obicà
Nei cinque locali di Londra, la catena specializzata in mozzarella ha ricavato dalle consegne a domicilio l’11% del fatturato totale nel 2017”, e prevede di arrivare al 14/15% quest’anno. Mentre in Italia –stesso numero di locali con il servizio attivo– l’impatto sul fatturato è stato l’anno scorso del 3,5%, con la stima di arrivare al 5% nel 2018.
Panino Giusto
Diciotto delle trenta paninoteche della società milanese, che nel 2017 ha avuto ricavi per 31,5 milioni di euro, si sono convertite alle app soltanto a febbraio. Partita da un 3% del fatturato, a giugno è arrivata al 5,5% con 8 ordini medi al giorno per negozio.
Pescaria
Ha tre ristoranti di pesce in Puglia e a Milano, e l’anno scorso ha ricavato dagli ordini delle piattaforme l’11% del fatturato, pari a 2,5 milioni di euro.
Berberè
Dei 5 milioni di fatturato raggiunto nel 2017 dalle nove pizzerie, il food delivery ha rappresentato circa il 3% del totale. Ma l’anno scorso non tutti i locali del marchio partito da Bologna erano attivati. L’obiettivo aggiornato è di raggiungere rapidamente il 7%.
Grom
Non ha dichiarato l’impatto delle consegne a domicilio sul suo fatturato, che nel 2017 è stato di 32,4 milioni di euro.
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Tutto questo in attesa che le già citate “dark kitchen” annullino il divario economico tra cibo cucinato in casa e quello ordinato via app, rendendo sempre più appetibile il ricorso ai pasti pronti.
E anche i problemi sulla gestione dei rider, i fattorini in bicicletta o motorino che consegnano il cibo a domicilio, potrebbero diventare un lontano ricordo grazie all’arrivo dei droni.
[Crediti | Wired]