C’è una domanda che facciamo sempre agli amici che sono stati in un ristorante che non conosciamo. Quella domanda è: “Com’è?”
Ha aperto il nuovo locale di Cracco in Galleria a Milano, Ciccio Sultano ha ristrutturato a Ragusa, Mammoliti è in grande ascesa a Guarene, tu non ci sei ancora andato, incontri uno che ci ha mangiato e gli chiedi: “com’è?”.
E quello parte a rispondere. Di solito in maniera analitica, ché a tanti piace ascoltare la propria voce, soprattutto quando parla di cibo.
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Commenta dunque la cucina, concentrandosi su materie prime, tecnica e creatività. Dice della sala, della cortesia e competenza del maître. Si dilunga sulla carta dei vini, sulla sua profondità e ampiezza ed estro. Dipinge il locale, gli arredi, la vista, le tovaglie, le stoviglie. Infine una considerazione sul conto, se è giusto, costoso o caro.
Poi magari darà un giudizio complessivo: un’esperienza ottima, intrigante, curiosa, con luci e ombre, non convincente.
Insomma: tutti chiediamo e rispondiamo alla domanda “com’è?”. Al limite a quelle “come ti sei trovato?”, “come si sta?”.
Ma non è il quesito giusto. La domanda più sintetica e pertinente è: “ci tornerai?”.
E la risposta sarà di sole due lettere: “sì”, “no”. Stop.
Rispondendo a “ci tornerai?” uno mette alla prova la complessità del locale, dalla cucina al conto, tenendo in considerazione anche i difetti. È la domanda da porre anche a se stessi quando non si ha chiaro come la si pensi su un pasto: “ci tornerò?”.
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La cosa sconvolgente del “ci tornerò?” è che risponderete “sì” pochissime volte.
Pochissime.
Alla fine i posti che ci convincono davvero –tanto da tornarci sul serio– sono una manciata.
Siamo tutti terribilmente, e giustamente, esigenti.