Li abbiamo visti diventare super star televisive. Li abbiamo visti partecipare a reality show, fare i testimonial di scarpe o i piloti di moto lussuose, nonché una miriade di altre cose. Siamo dunque più che abituati alla versatilità degli chef, professionisti che amano spaziare e, di tanto in tanto, mettere il naso fuori dalla cucina per vedere cosa c’è là fuori. E in effetti non si può non biasimarli, tenuto conto che la vita tra quattro mura e una brigata immaginiamo possa essere un tantino claustrofobica, a lungo andare. Dunque sì, lo ammettiamo, talvolta ci è anche piaciuta qualche incursione degli chef nelle professioni altrui, e siamo stati a guardare curiosi di quel che poteva succedere. Solo che ora, sarà che tocca a noi, siamo qui a pregare che non si superi anche l’ultima soglia, con gli chef che si mettono a fare i critici gastronomici.
Dunque lanciamo un appello semi serio, qui e ora, nella speranza (vana, ce ne rendiamo perfettamente conto) che venga accolto: smettiamola immediatamente, tutti quanti, di dare seguito a questa mania di mettere una penna in mano agli chef e chiedergli di recensire ristoranti, perché è una deriva che non fa bene a nessuno. Non al settore – già in crisi e spesso messo in discussione per le sue dinamiche non sempre cristalline e non sempre apprezzate all’unanimità – del giornalismo gastronomico, né alla carriera degli chef, che in questo caso dovrebbero rimettersi il grembiule e tornare dietro ai fornelli.
Gli chef-critici gastronomici: sul serio vogliamo questo?
Gli esempi di chef che si lanciano nel ramo della critica gastronomica, un po’ ironicamente ma con il sempre presente rischio di prendersi troppo sul serio, ultimamente abbondano.
Abbiamo visto chef redigere la lista dei loro posti del cuore, e spesso lo erano davvero, in una maniera del tutto genuina di dare consigli gastronomici di luoghi che mai, probabilmente, sarebbero finiti nei radar delle guide. Abbiamo visto chef pluristellati stilare classifiche dei luoghi più lontani da loro, quelli del comfort food più popolare di tutti, anche solo per appagare la nostra curiosità di vedere un nome altisonante della gastronomia addentare un panino da pochi euro, per poi magari perfino sostenere che è buono.
Alla fine, pieni di queste casistiche, un pensiero ha iniziato a ronzarci in testa: ma davvero ora gli chef entrano anche nel ruolo di chi sta dall’altra parte, ovvero di chi dovrebbe in qualche modo giudicarli? Ma davvero, tra innumerevoli firme del giornalismo gastronomico, spesso mal pagate e talvolta poco competenti, alla fine le penne più autorevoli sono quelle di chi per mestiere cucina, e non di chi per mestiere scrive? Il problema è nostro, certamente. Se qualcuno si prende uno spazio, è perché quello spazio è lasciato colpevolmente libero. E se i consigli di uno chef di grido attirano più lettori di quelli di una firma gastronomica, il problema è quanto mai evidente e facile da decodificare.
Eppure non smettiamo di chiederci: siamo davvero sicuri che il parere di uno chef, da persona che per mestiere sta magistralmente bene dietro i fornelli, debba essere equiparabile a quello di chi, per mestiere, fa esattamente l’opposto? Non si tratta di competenza del gusto, di cui certamente i cuochi hanno un bagaglio notevole. Né di competenza nel giudicare, di cui forse talvolta la critica gastronomica non dà i migliori esempi, va detto. Certo è che delegare questo ruolo agli chef mette un po’ tutto alla berlina, vanificando e un po’ mettendo ulteriormente in discussione la professione di chi mangia, giudica e scrive.
Il rischio è che questa abitudine possa andare alla deriva, visto che tutto sommato è divertente leggere cosa pensa un super chef di luoghi gastronomicamente molto lontani dalla sua idea. E visto che molto probabilmente anche il pubblico apprezza. Gli chef sono vip, sono indubbiamente competenti in materia, e come tali il loro consiglio è certamente autorevole. Tuttavia, se si mette in maniera sistematica, tassello dopo tassello, la critica gastronomica in mano loro forse assisteremo lentamente a una dequalificazione di chi la critica gastronomica la fa di mestiere. Come a dire: i consigli di uno chef su dove mangiare, di tanto in tanto, possono essere curiosi, ma a lungo andare stancano, e forse è il caso che ognuno torni a fare il suo.
La verità è che spesso nella vita mi è personalmente capitato di chiedere consiglio a loro, e nella maggior parte dei casi ho constatato la loro bravura nel selezionare locali diversi per genere e status. Ma se d’improvviso diventano loro i nomi celebri da cui trarre consigli, significa che il giornalismo gastronomico è realmente in crisi, molto più di quanto possiamo immaginare.