“Pizzeria Fra Diavolo” a Torino è la sede di una catena ed è, al contempo, artigianale: si serve pizza in stile contemporaneo/gourmet, ma col cornicione a canotto. Alla napoletana, ma senza forno a legna. Possibile? Per capire qualcosa di questo format di non poco successo dal nome clericale (con dissacrante rimando apposto sulle pizze, una sorta di ostia con il logo stampato), siamo andati nella nuova sede di Torino, la seconda in città nonché decimo locale in tutto, in piazza Carlina.
Fra Diavolo, il format
È un format sempre più diffuso, quello della pizzeria che nasce attorno a delle caratteristiche peculiari, ma costruite apposta per essere replicabili. Una delle prime è stata la bolognese Berberè, di cui abbiamo parlato in più occasioni, e poi la romagnola ‘O Fiore Mio. Ma negli ultimi tempi le cose sembrano avere avuto un’accelerazione, e pizzerie come l’ottima Da Zero sono spuntate rapidamente in tutta Italia nel giro di pochi anni. Sono tutti progetti con una solida base imprenditoriale, e dal punto di vista imprenditoriale hanno quasi sempre successo. Ma la qualità? La domanda che uno si fa è: può esistere una catena di qualità, o le due cose si escludono a vicenda?
Domanda a cui però non si può dare una risposta generale e teorica. Ma solo fare verifiche caso per caso. E noi siamo qui per questo. L’idea di Fra Diavolo è nata da Paolo Tranchida, torinese cresciuto in Liguria, che qualche anno fa ha rilevato una pizzeria a Diano Marina. L’espansione ha seguito un percorso geografico: il levante ligure (Sanremo, Alassio e Albenga in provincia di Savona), Genova, il Piemonte da sud a nord (Cuneo, Alba, Torino, Novara), Milano. Con i soci imprenditori Gianluca Lotta e Mauro D’Errico, un’altro nome chiave dietro Fra Diavolo è quello di Luciano Monosilio. Giovane prodigio del fine dining, cresciuto in ristoranti stellati, dopo aver portato la stella Michelin al Rex di Roma nel 2013, nel 2018 lascia Alessandro Pipero e l’alta cucina e si rivolge alla tradizione: apre Luciano Cucina Italiana, dove elemento di richiamo è la carbonara, ma l’intenzione è quella di giocare sul doppio binario pasta-pizza. Per un po’ Monosilio si occupa della parte cucina di Fra Diavolo, mentre Fra Diavolo cura la pizza di Luciano, ma poi si capisce che è meglio tenere separati i marchi, e i relativi core business. L’obiettivo resta sempre la crescita esponenziale: ““Siamo a 11 locali ora, ma l’obiettivo è quello di aprirne un centinaio”, dichiarava nel maggio 2019 a So wine so food.
Dopo giusto un anno, e con una pandemia per lo mezzo, si registrano l’ingresso nella società Kappagroup della famiglia Canova (proprietaria della Mth di Almese, refrigeratori per l’alimentare), e l’apertura della seconda sede torinese. Mo basta però con tutti questi discorsi economici, mica siamo il Sole-24Ore, entriamo in pizzeria.
Ambiente e servizio
Zona centralissima di Torino, ancora di più del precedente in Gran Madre, comunque non lontano. In piazza Carlo Emanuele II, per i torinesi semplicemente piazza Carlina, si condividono gli ampi e alberati dehors con numerosi altri locali, una specie di galleria a cielo aperto dell’offerta food italiana: tra un ristorante chic (La Badessa) e la sua versione bistrot (La Monachella), un Poke House e il Trapizzino Vineria di Callegari (altro format, altra storia), e parliamo solo di questo angolo. Ci si divide un pubblico variegato: i residenti benestanti, i turisti di passaggio, gli studenti universitari.
L’ambiente è moderno e informale, con inserti tra il vintage e il concettuale. Il servizio buono, veloce e cortese, con una punta di simpatia nei camerieri che sembra spontanea e non ammiccante.
Il menu e i prezzi
“Fra Diavolo è una presa di posizione decisa, è la scelta di un impasto tra 3 differenti impasti leggeri e di ingredienti selezionati accuratamente. La nostra è una pizza contemporanea nata dalla creatività dei nostri pizzaioli e dalla qualità delle materie prime di produttori artigianali”. Così si presenta la pizzeria sul sito.
In concreto? Il menu di Fra Diavolo è diviso in due parti, concettualmente e fisicamente. Su un quadratino volante i Piatti (freddi) e le Insalate. Sulla tovaglietta il resto. Le pizze sono 18, messe in quattro categorie: rosse, bianche, gourmet, contemporanee. La margherita a 7,50 euro, la marinara a 6, tutto il resto sopra i 10 euro. Altre cose che si notano. Il naming: tutto basato sull’origine ligure, a volte con giochi di parole (Santa Margherita Ligure, Diano Marina-ra) altre volte senza collegamento apprezzabile con la sostanza. Al di là dei nomi, non è che emergano ricette o prodotti regionali, tranne una toma brigasca, e il pesto vabbè. Molte creme e gocce (melanzane, broccoli, peperoni…), molti salumi (di Renzini, Perugia). Le pizze col pomodoro sono in netta minoranza, forse eccessiva. Non si capisce bene la distinzione tra gourmet e contemporanee. Ma soprattutto, si patisce un po’ l’assenza di un antipastino, un frittino, un crostino, qualcosa insomma per fare la bocca che non obblighi a spendere i 15 euro di burratina e carciofi.
Lato beveraggio: Ichnusa e Moretti alla spina, in bottiglia si aggiungono anche l’Heineken, una senza glutine e una proposta di birra artigianale “nostra” (private label di un micro birrificio ligure: la bionda si rivelerà godibile pur con qualche difetto). Brandizzati anche i vini.
Le pizze di Fra Diavolo
Anche se Fra Diavolo spinge gli impasti alternativi, a ‘sto giro non abbiamo voglia di sperimentare (il carbone vegetale mai, in verità: non lo mangiavo nel ’15, figuratevi adesso). Prendiamo una Andora (fiordilatte di Agerola, crema di broccoli, pomodorini secchi, pinoli tostati e salsiccia delle Langhe – salsiccia che la commensale vegetariana chiede di non mettere, accontentata senza problemi) e una Camogli (fiodilatte, crema di tartufo, prosciutto cotto tartufato, cremoso giallo – che non si sa cosa sia, “una specie di zabaione se non ricordo male”, ci viene risposto).
Esteticamente le pizze di Fra Diavolo sono belline, non c’è che dire. Il cornicione è alto e spesso, l’ispirazione è la napoletana contemporanea (un passaggio davanti alla pizzeria mi consente di vedere il forno, elettrico a cupola, e sbirciare la temperatura, impostata a 500°C sia base che cielo). Ma il canotto non va a scapito dello spazio per i passeggeri: la farcitura è ben presente, disposta in maniera accurata ma senza esagerazioni trigonometriche. Base sottilissima, ben cotta, leggermente bruciacchiata in certi punti, come anche il cornicione, ma è peccato veniale. Solleviamo il bollino col marchio Fra Diavolo che fa bella mostra di sé al centro del disco (sarà commestibile? Ricordando certi cazziatoni di Barbieri a Masterchef, con un po’ di esitazione lo mettiamo da parte) e procediamo all’assaggio.
La base com’è prevedibile non regge il topping, il cornicione è leggero e piacevolissimo da mangiare anche in purezza. La Andora è molto equilibrata, alla vista i pinoli sembrano troppi ma al morso prevale soprattutto il gradevole amaro del broccolo – che avrebbe trovato un contraltare nel grasso della salsiccia. Interessante, non da urlo. Nella Camogli è ben riuscito il raddoppio del tartufo, in crema e sul prosciutto, mentre il cremoso giallo è più di colore che di sostanza, e anche all’assaggio non svela la sua misteriosa natura.
Digestione e conto
La digestione, banco di prova imprescindibile, va molto bene; anche se il palato chiede acqua. Il conto sfonda i 20 a testa, ed era prevedibile con quei prezzi, a partire dai 2 euro di coperto. Siamo nella fascia alta del settore, considerando che abbiamo preso pizza+bibita, il minimo indispensabile.
Opinione
In definitiva Fra Diavolo è una discreta pizzeria se volete qualcosa di diverso dal solito ma non siete in vena di sperimentazioni eccessive; un po’ cara e con un’identità più sbandierata che definita. La qualità c’è e si sente, la catena anche di più.
PRO
- L'impasto, morbido ma non gommoso, e molto digeribile.
- Il servizio, gentile e simpatico.
CONTRO
- Il menu un po' confuso e senza antipastini pre-pizza.
- I prezzi alti rispetto allo standard offerto.