Ci verrebbe mai in mente di scrivere un decalogo di comportamento per gli adulti al ristorante, dove si mettono per iscritto ovvietà tipo che non è il caso di ruttare a tavola? No, per quanto tutto sommato talvolta potrebbe tornare utile.
Ci verrebbe mai in mente di dire che in un ristorante non vogliamo gli anziani perché ci disturbano i loro brontolii o non vogliamo le donne durante il loro ciclo mestruale perché rischiano di sporcare le nostre poltrone bianche o di intasare i gabinetti se gettano il tampone nel water? Evidentemente no, ringraziando il cielo.
Eppure non è che queste cose non succedano, sia chiaro. Ma c’è un caso solo in cui è ammesso (anzi, è ampiamente condiviso) dettare delle regole che siano conditio sine qua non per accedere in un luogo pubblico. Quando si tratta di bambini. In quel caso, ci è concesso porre un sacco di restrizioni in quanto i bambini sono, a tutti gli effetti e per la maggior parte dei clienti, categoria non gradita al ristorante. Cose che non vengono messe in discussione neanche quando si tratta dei cani. Nessuno mette per iscritto che un cane può entrare in un ristorante se e solo se non fa i suoi bisogni nel mezzo della sala. Perché è chiaro che non c’è bisogno di scriverlo, sebbene sia una cosa che capita, è capitata e capiterà. Ma i cani, si sa, sono pucciosi e tenerissimi, mentre i bambini disturbano e basta.
Questo atteggiamento ha un solo nome: razzismo.
Le ennesime vicende recenti di un ristorante che ha cacciato una madre con bambini hanno riportato di attualità l’argomento e hanno dato il pretesto ad alcuni giornali di rinnovare le richieste che si fanno al perfetto bambino ospite. Qualcuno ha addirittura azzardato un decalogo del comportamento che i bambini dovrebbero avere al ristorante. E non è colpa del Gambero Rosso o della giornalista che ha scritto questo articolo (certamente in buona fede), ma di un sentire ampiamente condiviso che dice che i bambini, se vogliono essere ammessi, devono seguire le regole dell’educazione.
Ed è una cosa che dovrebbe farci riflettere, non tanto perché quelle regole non siano giuste, quanto perché quelle regole sono e dovrebbero essere date per scontate nei confronti di chiunque. Si tratta di buona educazione, e va da sé che la buona educazione dovrebbe essere un pre requisito per stare in mezzo alla gente, ma è una cosa pretesa solo e soltanto quando si parla di bambini e dei loro genitori che non li educano abbastanza. A tutti noi, purtroppo, sarà capitato nella vita di assistere più volte a situazioni in cui gli adulti al ristorante sono stati dei pessimi clienti. Eppure nessuno si è mai sognato di fare di tutta l’erba un fascio considerando la categoria degli adulti una categoria di pessimi clienti. Questo invece avviene per quanto riguarda i bambini, con una narrazione reiterata che presenta scene apocalittiche in cui i piccoli corrono per i tavoli, urlano, lanciano pietanze contro i muri e fanno esplodere bombe nei gabinetti.
Sinceramente, non so a quanti di voi sia capitata una cosa del genere, ma penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che si possono considerare spiacevoli quanto rare eccezioni. Esattamente le stesse che si incontrano quando sia a che fare con adulti maleducati.
Il tema è tutto qui: ci sono bambini educati e bambini maleducati. E ci sono adulti maleducati e adulti educati. E se si sente l’esigenza di un decalogo da imporre all’intera categoria dei bambini per far sì che possano essere serenamente ammessi in un ristorante, allora lo stesso (identico) decalogo si può declinare sugli adulti. Non ci credete? Eccovi la controprova.
Il decalogo dell’adulto educato al ristorante
1. “Al ristorante si va per mangiare e stare insieme. Non per urlare, non per cantare, non per correre, non per giocare”. Per favore, andatelo a spiegare a quelle tavolate festanti che alzano il gomito e intonano cori volgarotti mentre al tavolo accanto io vorrei godermi la mia cena in famiglia.
2. “Forchetta e cucchiaio si usano per portare il cibo alla bocca, e non il contrario, a mo’ di mangiatoia”. Qui francamente fatico a capire cosa sia il contrario. Ammetto serenamente di non aver mai visto nessun adulto mangiare con la faccia nel piatto. Ma ho visto clienti portarsele via, le posate.
3. “Una pietanza non piace? Il genitore che vuole trasmettere un buon comportamento, che, poi è il riflesso di se stesso, insegnerà che non si usano espressioni come “Che schifo!”oppure “Puzza!” Se poi non piace, lo si dice senza fare scenate.“. Ma infatti le recensioni assurde e cattivissime su Tripadvisor le fanno i bambini, mica gli adulti. Loro non si lamentano mai a sproposito.
4. “I camerieri del ristorante si ringraziano quando ci portano i piatti”. Regola d’oro, che infatti viene seguita da tutti i clienti adulti, senza eccezione alcuna.
5. “No baby-sitter digitale. Quando si mangia insieme al ristorante, l’elettronica si tiene spenta.” Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché se mio figlio usa il tablet per intrattenersi al ristorante e dare un po’ meno fastidio (noi genitori viviamo in preda all’ansia sociale di dare fastidio al prossimo) è un maleducato lobotomizzato, mentre se io rispondo al telefono o a un messaggio su whatsapp allora è accettabile, perché sono una donna in carriera. Di più, una freelance in carriera.
6. “Gestire lacrime e strilli. (…) Obbligare un bambino a un pranzo interminabile è una crudeltà”. Vogliamo affrontare il tema dei menu degustazione definiti con qualche eufemismo “pantagruelici”? No perché nel caso mi avete appena tolto le parole di bocca.