Se anche non bastassero a convincervi decine di serate ad anelli di totano surgelati e pizze dimenticabili, ci sono i numeri a dimostrarlo: la Liguria ha un problema di ristorazione. Sette stelle Michelin ne fanno, molto semplicemente, una delle regioni meno premiate in Italia dalla Guida Rossa, e davvero non si capisce perché.
Storicamente frequentata da Piemontesi e Lombardi spesso anche medio o altospendenti, la Liguria non avrebbe solo il pubblico adatto a una ristorazione di più alto livello, ma potrebbe (anzi, può) contare anche su prodotti pazzeschi, e su un’interessantissima tradizione gastronomica. Che in effetti, qua e là, nelle trattorie che vivono di panissa e fugassa, si ritrova pure, ma che trova generalmente molta meno corrispondenza nella ristorazione di livello.
Perché? A saperlo. L’impostazione turistica, forse, che però non impedisce alla Campania e alla sua Costiera di essere la terza regione più stellata d’Italia. O forse una certa chiusura dei Liguri, se vogliamo dar ragione a chi connota ogni abitante italiano in base alla sua provenienza, perché se l’Italia l’abbiamo fatta forse in fondo sugli Italiani non ci siamo mai riusciti.
Insomma: perché la ristorazione ligure non si prende il posto che le spetterebbe nel panorama nazionale? Lo abbiamo chiesto a Ivano Ricchebono, che in Liguria ha portato una stella Michelin al The Cook di Genova, e che ora prova a lavorare nella stessa direzione con il ristorante gastronomico del Diana Grand Hotel di Alassio, di cui Riccobono cura e firma la carta, tradotta in piatti dall’executive Simone Belfiore.
Chef, andiamo subito al dunque: perché in Liguria il fine dining non emerge?
“Forse perché di qua voi giornalisti e critici gastronomici passate poco”
Ma se la Liguria è il regno delle seconde case di chi vive a Torino e Milano, due città dove di redazioni gastronomiche ce ne sono…
“Magari gli addetti ai lavori passano per il weekend, ma non si soffermano molto sul nostro lavoro: io ho aperto il ristorante nel 2004, e all’inizio, sinceramente, ci siamo sentiti un po’ abbandonati dalla carta stampata gastronomica”.
Quindi il problema è la mancanza di attenzione?
“La mancanza di comunicazione, più che altro. Non è vero che non ci sono ristoranti buoni, è che noi non lo abbiamo mai detto”.
Quindi la responsabilità è anche vostra…
“Sì, ovvio: noi Liguri spesso siamo un po’ chiusi, se nessuno parlava di noi è anche perché nessuno usciva dal proprio carrugio. Per fortuna oggi le cose stanno un po’ cambiando”.
E come?
“Con progetti nuovi, per esempio, come quello che abbiamo avviato due anni fa al Diana Grand Hotel di Alassio, ripensando totalmente la proposta gastronomica. Il primo anno non è stato semplice, perché era un cambiamento radicale: mi sono dovuto scontrare con la vecchia clientela, che non accettava alcune cose, e di certo qualcuno lo abbiamo perso: ma alla fine abbiamo raggiunto il risultato che volevamo e stiamo ancora migliorando”.
Possiamo considerarlo un caso emblematico di una ristorazione ligure che deve cambiare?
“Sì, certo. In Liguria spesso troppo attaccati alle radici, a quello che veniva creato venti, trent’anni fa, e non riusciamo a modernizzarci.”
Lei come è riuscito a cambiare?
“Io è dal 2010 che vado in televisione, portando non solo il mio ristorante ma anche il mio territorio: se uso l’olio è taggiasco, se uso il basilico è ligure, e via così. Insieme ad alcuni colleghi stiamo proprio lavorando in questo senso, ci siamo fatti ambasciatori della Liguria. Sto facendo un lavoro di marketing, uso i social, vado in tv, non mi tiro indietro sugli eventi: bisogna farsi conoscere per poi lavorare bene in casa”.
E vede la differenza?
“Sì, ora inizio a vederla, anzi, credo che possa essere un momento di preludio a un futuro importante per la Liguria gastronomica. Non è un caso che quest’anno nomi come Carlo Cracco, la famiglia Cerea, Enrico Bartolini abbiano deciso di puntare sulla Liguria: se nomi come loro sono venuti un motivo ci sarà, e credo che c’entri anche il fatto che noi abbiamo fatto un ottimo lavoro”.
Ma sulla ristorazione ligure non c’è anche un problema di proposta “acchiappa turisti”, a tutti i livelli? In fondo un turista straniero, a tutti i livelli, in Italia vuole mangiare piatti che riconosce come italiani, e magari questo ingabbia la creatività…
“Ma no, alla fine un posto come il Diana vuole essere proprio la dimostrazione che si può mangiare bene in Liguria anche in una terrazza vista mare. Io ho sempre lavorato con il turista, anche a Genova, che negli ultimi anni, pandemia a parte, sta vivendo un bel periodo sulla capacità ricettiva, e non ho mai avuto problemi a proporre la mia cucina. È chiaro che non tutti ti seguono, ma si può fare, il tuo pubblico lo intercetti. Io sempre cercato di far capire alle persone che bisogna cambiare le proprie tradizioni nel piatto e alla fine ho sempre avuto successo con i clienti. Va bene lo spaghetto alle vongole, ma magari ripensiamolo un po’”.