É il 2020 l’annus horribilis in cui per la prima volta la Guida Michelin annuncia l’arrivo di un nuovo riconoscimento: la stella verde per celebrare l’impegno alla sostenibilità dei ristoranti. Una scelta che interpreta bene i desiderata delle generazioni più giovani, così come l’influenza che i movimenti ambientalisti hanno anche sulla ristorazione. Una scelta in cui la Guida Michelin, che piaccia o no, si posiziona sul mercato come al passo con i tempi, attenta a questi aspetti e quindi di riflesso, essa stessa sostenibile. Qualsiasi cosa questo significhi. Dopo la prima tornata “verde” del 2020, i premi per i paesi nordici sono stati rivelati lunedì 13 Settembre 2021, insieme con il riconoscimento per la sostenibilità anche a due insegne di Copenaghen guidate da cuochi italiani.
Si tratta di Nicola Fanetti del ristorante Brace e Valerio Serino di Tèrra, che finiranno per unirsi ai 5 ristoranti già premiati in città con lo stesso riconoscimento nel 2020 (oggi sono 7), segno di un contesto in cui vive una gastronomia particolarmente attenta al tema della sostenibilità ambientale. Forse più di quanto la Michelin stessa dichiari.
Desolante poi il confronto con l’Italia dove, salvo poche eccezioni, le 13 stelle verdi sono disseminate fuori dalle città: a Roma, ad esempio, non se ne conta nemmeno una.
La sostenibilità secondo Brace
Alla guida del ristorante c’è Nicola Fanetti: dal 2011 a Copenaghen, un curriculum in tutte le insegne più quotate della città, dal 2016 apre Brace, il suo ristorante, dove sperimenta l’incontro con la cucina nordica, a partire da produttori di piccolo taglio, locali e attenti alla stagionalità. “La soddisfazione è davvero tanta. Enorme! Io e il mio team abbiamo lavorato duramente in questi anni e lo abbiamo fatto sempre nella stessa direzione, nonostante le evoluzioni continue, e con una filosofia ben chiara in cui ci siamo riconosciuti fin dalla nostra apertura” commenta all’indomani del riconoscimento.
E se qualcuno avesse il dubbio che si tratti di una moda, come di fatto sta diventando per molti, Fanetti ci tiene a chiarire che non è così: “Essere sostenibili è una scelta, un modo d’essere, e non un semplice orientamento. Richiede impegno, pensiero costante e sacrificio. Sentivamo che la strada che stavamo e stiamo percorrendo era quella giusta e questo riconoscimento ce ne ha dato la conferma”. Il nuovo arrivo dunque è salutato con grande entusiasmo, soprattutto perché nei paesi nordici questo premio sta acquisendo sempre maggiore rilevanza “Qui in Scandinavia, ha assunto un significato davvero importante, quasi fondamentale nel settore ristorativo e non solo”.
Un percorso, quello verso la sostenibilità, che Fanetti dichiara di aver portato come bagaglio da sempre: “La cura per la materia prima e la sua stagionalità, la maniacalità nella ricerca di piccoli produttori locali, è qualcosa che mi è sempre appartenuto: un po’ per le abitudini che la mia famiglia mi ha tramandato e un po’ per le esperienze vissute. Sono cresciuto alimentando sane abitudini alimentari che ho poi trasferito all’interno del mio ristorante e a tutto il mio team”.
Ma in cosa si traduce, concretamente, questo approccio sostenibile? “Qui cambiamo menù ad ogni cambio di stagione e lo facciamo perché ogni ingrediente che la terra ci offre ha, nel corso dell’anno, il suo momento di massima espressione e noi non facciamo altro che coglierlo. L’ingrediente è il protagonista, detta le regole delle mie creazioni ed ecco perché spendo gran parte del mio tempo a cercare piccole realtà locali che producono, in modo assolutamente sostenibile, ciò di cui ho bisogno. Scegliamo inoltre di utilizzare ogni parte di un prodotto, riducendo al massimo gli sprechi: riutilizziamo tutto all’interno degli stessi piatti, o usiamo gli avanzi per creare il nostro abbinamento non alcolico (serviamo ad esempio una Kombucha che prepariamo con i fondi del caffè). Nel tempo ci siamo orientati anche verso scelte sostenibili al di fuori della cucina, come indossare divise ottenute da tovagliati riciclati, ridurre l’utilizzo della plastica, non avere più fiori freschi e tovaglie sui nostri tavoli, scegliere solo vini le cui tecniche di lavorazione non prevedano l’utilizzo di elementi chimici”.
La sostenibilità secondo Tèrra
“Sono un autodidatta” dichiara Valerio Serino senza tanti problemi “ma ho sempre coltivato questa passione, anche quando ero dipendente Alitalia. La cucina è la mia fissa da sempre”. Serino arriva a Copenaghen nel 2012 per seguire la compagna Lucia De Luca, che oggi lavora da Tèrra insieme a lui, il ristorante aperto nel 2017.
L’arrivo della stella verde viene vissuto come una liberazione, un riconoscimento atteso e anche un po’ sofferto, in un contesto gastronomico in cui i premi sono indispensabili per la sostenibilità economica dell’azienda: “Dopo 4 anni era frustrante il fatto di non entrare nelle grazie di questa guida, non essere nemmeno menzionati. In Danimarca se vuoi fare una cucina di livello devi avere delle attestazioni, Copenaghen è una città in cui la competizione è molto alta. C’è una ristorazione di alto livello o di basso livello, non ci sono ristoranti ibridi. Basta pensare che l’annuncio dei premi viene trasmesso su tre reti nazionali, Danimarca, Svezia, e Norvegia. In Italia non è così”.
Anche Serino mette in guardia sull’utilizzo della parola sostenibilità a sproposito, una pratica che può svuotare di senso questo percorso e renderlo poco chiaro agli occhi dei clienti: “É una parola forte, molto gettonata e non credo che tutti sappiano cosa vuol dire. Noi italiani siamo fortunati e nemmeno lo sappiamo: già le nostre nonne facevano sostenibilità, fa parte della nostra cultura. Dopo aver vissuto all’estero ti rendi conto di quanto sottovalutiamo la nostra terra. In Italia sai quanti ristoranti ci sono che fanno sostenibilità e nemmeno lo sanno? Poi ci sono realtà diverse, che non sanno “comprare”. Vedo ancora colleghi in Puglia che usano il salmone nordico”.
Più concretamente, cos’è la sostenibilità per Tèrra?: “Rendere assoluto ogni ingrediente, di cui oggi riusciamo ad usare il 98%. Il resto viene donato al nostro piccolo orto oppure al sistema di compostaggio”. Avanti anche sulla cucina vegetale, curioso se si pensa alla minore varietà offerta nei paesi nordici: “Sostenibilità significa non settare un menu solo sulle proteine, fare una cucina salubre, incentrata sulla minimizzazione degli scarti. Noi ci siamo definiti Zero Food Waste ma il nostro obiettivo è essere Zero Waste”. E infine abbracciare la sostenibilità con uno sguardo sistemico, che la Michelin di fatto non richiede: “Per noi è importante sapersi comportare, avere un’etica a 360°, il rispetto, della materia, dei dipendenti, dei fornitori, dei produttori”.
Le accuse di Greenwashing
Nel 2020 Christian Puglisi aveva duramente accusato la guida di fare greenwashing assegnando le stelle verdi in maniera superficiale. In un lungo post disponibile sul suo profilo Instagram, Puglisi rinfacciava alla guida di aver verificato la sostenibilità del suo locale solo tramite una telefonata. “Ero entusiasta di sentire che la Guida Michelin aveva voluto prendere sul serio la sostenibilità. Dopo decenni passati a far tagliare agli chef pesce e carne in quadrati esatti e involtini perfetti, era ora di un po’ di riscatto, no? Vedremo una sfida lanciata dall’entità più potente del fine-dining e della gastronomia che costringerà tutti i ristoranti a rivedere a fondo le loro pratiche?”.
E ancora: “Sono venuto a sapere che l’indagine approfondita a cui siamo stati sottoposti era in realtà solo una conversazione telefonica. Sì, letteralmente qualcuno che chiamava il ristorante e chiedeva; “Allora, siete sostenibili, sì?”. “Mi dica, come?”. “Ok, grazie”. Sì, non un audit, non un questionario, non uno sforzo – e assolutamente non una domanda critica di qualsiasi tipo. Una conversazione telefonica che ci dà il diritto di esporre un trifoglio accanto alla nostra stella Michelin”.
Il metodo di assegnazione
Su questo aspetto abbiamo dunque chiesto conto anche agli chef, per comprendere più approfonditamente come vengono assegnati i riconoscimenti. “L’assegnazione è stata totalmente inaspettata: abbiamo ricevuto la notizia mentre eravamo io e tutto il mio team, riuniti davanti allo schermo incrociando le dita sia per noi che per tutti i nostri colleghi” ha commentato Nicola Fanetti.
“Facendo riferimento ai tempi vissuti nell’ultimo anno e mezzo, credo fortemente che molte delle tecniche di ispezione ed assegnazione abbiano dovuto subire dei cambiamenti. A causa dei lockdown è stato quasi impossibile viaggiare e quindi toccare con mano le varie realtà ristorative, ma nel tempo noi abbiamo ricevuto diverse ispezioni. Credo che la Michelin sia estremamente seria e che tenga d’occhio i ristoranti anche da lontano, monitorandone l’impegno, la stabilità e il lavoro quotidiano e badando all’intero percorso di crescita di ogni ristorante, con valutazioni globali, non lasciate al caso”. Del resto premi sulla sostenibilità dei ristoranti, almeno in Scandinavia, esistevano già prima delle stelle verdi, e la Michelin può averne tratto, per così dire, ispirazione: “Questo riconoscimento si somma a quello di altre guide prettamente orientate all’organicità e alla sostenibilità e che inevitabilmente hanno dato forza, oltre che concretezza, alla nostra natura. Per esempio 360 Eat Guide, ci ha assegnato due cerchi su tre; siamo stati inseriti dall’Økologisk Landsforening tra i ristoranti con il 60-90% di utilizzo di prodotti biologici”.
Una visione confermata anche da Serino, che parla di un’ispezione a Settembre 2020 che non era stata annunciata e di un riconoscimento sofferto, ma arrivato in diretta, nel corso della premiazione.
Le stelle verdi in Italia
A Novembre dello scorso anno, 13 stelle verdi della Michelin sono arrivate per la prima volta anche in Italia. Anche in questo caso i criteri per la selezione dei ristoranti non sono stati chiariti in modo approfondito (come del resto quelli per la stella Michelin in generale, Ça va sans dire). Come riportato da Gwendal Poullenec in occasione della premiazione: “I nostri ispettori hanno arricchito il loro metodo di lavoro aggiungendo altri parametri alle valutazioni tradizionali: la filiera degli ingredienti del territorio, lo spreco a tavola e anche la gestione dei rifiuti. Questi criteri hanno permesso la prima selezione di ristoranti green che è destinata a crescere per avviare una rivoluzione verde della ristorazione”.
Una dichiarazione d’intenti in cui si premiano dunque tre aspetti fondanti, la filiera, la gestione degli sprechi, la gestione dei rifiuti, temi certamente importanti per l’ecologia e la sostenibilità ambientale di un ristorante ma insufficienti per parlare di sostenibilità a 360°. Fuori da questo discorso quindi sia la gestione equa delle disparità di genere o l’utilizzo di fonti rinnovabili, ad esempio.