Stare al passo con i tempi è la vera sfida di Slow Food, a quanto pare. Mentre il Salone del Gusto, appena concluso a Torino, parrebbe richiedere una rinvigorita entro il prossimo biennio, Osterie d’Italia, la guida per antonomasia dell’editore buono-pulito e giusto, presentata pochi giorni fa, gioca d’anticipo sulle possibili critiche. Di tutte le novità ci ha parlato Eugenio Signoroni, curatore del malloppo insieme a Marco Bolasco, in video.
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Avremmo potuto dire che il concetto di osteria s’è un po’ sfocato, da ventinove anni (tanti ne ha la guida) a questa parte, diluito dall’ informalità sempre più ricercata dalla ristorazione “alta” e dalle tovaglie a quadri delle tante trattorie interscambiabili tra loro.
Ed ecco che “Osterie” si presenta con il “decalogo dell’osteria contemporanea” – trovate l’elenco prima delle Chiocciole assegnate quest’anno, su Dissapore – premessa alle 896 schede di questa edizione e conditio sine qua non per definire tale un’osteria.
Avremmo potuto dire, altresì, che ad oggi dei ristoranti si celebrano gli chef, mentre delle osterie si celebrano i luoghi, nonostante il lungo lavoro di Slow Food. Che conosciamo i nomi dei cuochi, portati in auge da guide come la Michelin, e che stava ad Osterie d’Italia rendere noti gli osti meritevoli. Hanno pensato pure a questo: si sono inventati 6 “premi speciali”, scelti tra i 279 chiocciolati, corrispondenti ad altrettante categorie, quelle che più contano in un’osteria.
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Giacomo Pavesi (Osteria Fratelli Pavesi, Podenzano, PC) è il “Migliore Oste”, Alberto Ruozzi e Luca Ferrari (Badessa, Casalgrande (RE) si aggiudicano il premio “Migliore Giovane”, che c’è bisogno di continuità, Patrizia Corradetti (Zenobi, Colonnella, TE) vince per la “Migliore Interpretazione della Cucina Regionale”, Juri Chiotti (Reis, Frassino, CN), per la “Migliore Dispensa” , Leonardo Vignoli (Da Cesare, Roma) per la “Migliore Carta dei Vini” e la Trattoria Cacciatori di Cartosio (AL) è la “Migliore Novità della Guida”, con una Chiocciola assegnata dopo 200 anni di esistenza.
Intanto, torna in guida la “bottiglia”, accanto agli altri simboli più o meno conosciuti, a segnalare quei locali che con la proposta dei vini se la cavano particolarmente. Ma come deve essere la carta dei vini di un’osteria? Per stabilirlo, quelli di Osterie hanno unito le forze a quelle di Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori di Slow Wine (la guida sul vino, sempre loro, ndr.), redigendo un vademecum, illustrato in slide (già) durante la presentazione, che vi riportiamo di seguito.
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Tenetelo a mente, da clienti accorti quali siete, perché nella sua semplicità vi aiuterà a distinguere la carta di una signora osteria.
1. ESSERE I CAMPIONI DEL PROPRIO TERRITORIO
“Un’osteria che fa cucina territoriale deve proporre come abbinamento i vini del proprio territorio operando una ricerca accorta, attenta alle novità e non solo ai soliti famosi”
2. NO A CARTE FOTOCOPIA
“Non farsi fare la carta dal distributore x o y, o dal rappresentante x o y. E’ brutto leggere una carta dei vini fotocopia e si capisce subito che dietro una selezione di questo tipo non c’è stata ricerca, interesse culturale o voglia di dare risalto al vino”.
3. NON SVENATEVI PER FARE UNA BELLA CARTA
“Chiusa l’epoca delle selezioni faraoniche, con decine di etichette costose che per forza devono essere acquistate”. Meglio 40 referenze giuste, scelte con un senso critico, piuttosto che 200 messe lì per impressionare, ma che non vengano mai scelte dai clienti”.
4. RAPPORTO QUALITA’ PREZZO
“Una carta più agile vi permette di operare dei ricarichi meno onerosi. Fate anche una ricerca su etichette meno care, per offrire al cliente una scelta che possa ricadere su fasce di prezzo differenti”
5. SE LA CUCINA E’ ATTENTA ANCHE LE ETICHETTE PROPOSTE DEVONO ESSERLO
“Scegliete vini del territorio, ma anche realizzati da produttori che conoscete, che lavorano bene, che rispettano l’ambiente, non per forza naturali, ma che siano vigneron, meno marketing e più attenzione alla vigna”.