Un sestiere di Venezia, Dorsoduro, in cui le tracce di autenticità e di presenza turistica non troppo ingombrante sono ancora sperimentabili; la presenza di un rio che consente di disporre qualche tavolino che permette di mangiare all’aperto nella bella stagione in un contesto complessivamente dal passaggio non troppo affollato; una delle librerie storiche della città (La Toletta) a pochi passi ed infine delle dimensioni molto raccolte: se dovessimo elencare le caratteristiche che – sulla carta – consentono ad un ristorante di risultare vincente, l’osteria-enoteca Ai Artisti avrebbe gioco facile.
Aperta da qualche anno e condotta progressivamente, seguendo la linea di altri indirizzi di cui abbiamo parlato, verso una direzione a cavallo tra il bistrot e il ristorante intimo, con una cucina che propone pochi ma selezionati piatti ed una carta vini che guarda all’artigianalità, Ai Artisti cavalca l’onda del periodo di favore che sta vivendo la ristorazione di Venezia. Se ormai si è compreso come gli ingredienti sopra ricordati siano un buon viatico verso il successo, resta sempre l’incognita di come trasformare una somma di elementi in un contesto complessivo dal senso compiuto, che faccia sì che si possa consigliare un locale con la certezza di non avere ritorni negativi. Ai Artisti ci riesce? Il giudizio sintetico è sì, ma vediamo di articolare.
Il locale
Il luogo nasce dal sodalizio tra Vincenzo Buonfiglio, un passato nel ristorante e nel bar di famiglia – e a cui si deve la selezione dei vini, che privilegia come detto piccole realtà e etichette naturali – e Francesca Ciancio, in cucina. Le dimensioni del locale hanno necessariamente tracciato la strada: due le salette (una minuscola – due i tavoli – assai intima, con mattoni e cantina a vista), un bancone all’ingresso e basta. Di qui la volontà di imprimere a spazi ristretti un tono raccolto senza essere soffocante ma semplicemente piacevole. Aiutano a creare atmosfera le luci, le bottiglie di vino alle pareti, qualche stampa che rimanda ad elementi identitari della laguna e i toni complessivamente caldi e non strillati degli arredi.
Fa il resto il personale di sala: affabile, cordiale, paziente verso gli stranieri, puntuale nelle spiegazioni dei piatti e in grado di creare un legame con gli autoctoni attraverso qualche parola in dialetto, ma senza sfociare nel grottesco o nella teatralità. L’unico appunto che vale la pena di fare è quello sul sito web, un biglietto da visita non all’altezza del locale, viaggiando tra la breve bio dei titolari da una parte (ben venga, ci mancherebbe) e la totale assenza di menu e prezzi dall’altra. Nulla di male, si vedono ancora casi del genere, se non fosse per la suddivisione in paragrafi “antipasti”, “primi” e “secondi”, così come pure quella dei “dessert”, presente – denotando quindi la volontà di essere riempita – ma desolatamente vuota, o meglio compilata solo da una serie di laconici trattini seguiti da una puntuale (quanto però inutile) lista degli allergeni. Un gran peccato.
Il menu e i piatti
Una carta con pochi piatti, segno di una cucina che lavora in modo intelligente, secondo disponibilità e stagionalità. Quattro proposte per portata, con prezzi che oscillano tra 18-30 euro per gli antipasti, 19-20 per i primi, 28 per i secondi. Carne e pesce si dividono la scena e se tra le entrate pesce crudo e tartare sono presenze rassicuranti, il resto viaggia con maggiore dinamicità e disinvoltura, riuscendo a svincolarsi da piatti nazional-popolari rivisitati, puntando piuttosto sul ruolo di protagonisti assegnato alle materie prime (agnello, coda di rospo, maiale), alcune “firmate” (Damini) e proponendo accostamenti interessanti e ormai sempre vincenti, sia in termini di bilanciamento di sapori (acidità-dolcezza, con un buon uso della frutta e della verdure di stagione) che in fatto di consistenze (croccantezza/morbidezza).
Insomma, le competenze sono state acquisite, emergono e si va oltre il compito a casa eseguito correttamente. Soprattutto non ci si piega ai diktat turistici, specie tra i primi che, tra coda di manzo, tortelli di trippa alla parmigiana e maltagliati al curry non sono esattamente in linea con quello che il turista medio pretende di trovare a Venezia. Tra i primi – anticipati da una zucca in saor come benvenuto – la scelta più rassicurante e dalla piacevolezza accogliente (ma non priva di personalità) è quella degli spaghetti con ragù di moscardini: pomodoro e peperoncino esaltano la materia prima, per un piatto che viaggia da solo. Più interessanti i fusilli con coda di manzo (un plauso per la preparazione della carne) cui la salsa allo jogurt offre una sferzata acida assai sensata.
Tra i secondi funziona molto bene la pluma di maiale, con chutney di zucca e mostarda di gocce d’oro. Se la cottura a bassa temperatura facilita il compito, è pur vero che tra i molti assaggi di pluma fatti nel tempo, questo è uno di quelli meglio riusciti, complice da un lato la qualità della carne, saporita e morbida, dall’altra dagli accostamenti che escono dalle solite proposte note. Ugualmente ben eseguito l’agnello, cotto con mano esperta.
I dolci vanno verso una serie di proposte orientate verso leggerezza complessiva o reinterpretazioni in chiave di freschezza. Tra queste, una cheesecake con gelèe all’albicocca e agrumi. Godibilissima la parte cremosa, dalla dolcezza ben governata e che trova nella frutta la giusta spinta asprigna: un vero peccato non aver inserito una parte “masticabile”, sia in forma di crumble sia come base, che avrebbe consentito al dessert di funzionare ancora meglio di quanto non abbia fatto.
Opinione
Nel sestiere di Dorsoduro, Ai Artisti è un indirizzo che ha scelto la strada, indovinata, di offrire una proposta a metà strada tra il ristorante ed il bistrot. Un contesto intimo e raccolto (complici le dimensioni ridotte del locale), una selezione ragionata di vini e una carta che vede fortunatamente poche proposte per sezione, con una scelta di campo che privilegia la stagione e la disponibilità del mercato e che vede carne e pesce dividersi equamente la scena.
PRO
- Ambiente raccolto ma privo di confusione
CONTRO
- Viste le dimensioni, la scelta di operare sui due turni se è sensata per i gestori limita un po' i clienti