Il nome Fiore a Venezia, è fonte di fraintendimenti. Sono due infatti i luoghi che condividono lo stesso nome, assai diversi tra loro. Da un lato c’è il bacaro-trattoria, in zona San Marco, già meta di recensione. Dall’altro c’è l’osteria, in zona San Polo, una delle più solide e longeve insegne della città. Il termine “osteria” in questo caso non deve trarre in inganno: il contesto è quello di un ristorante raffinato, a lungo tempo insignito della stella Michelin e che ha fatto la storia gastronomica di Venezia.
La storia
A partire dal 1979, la storia di Fiore coincide con quella della famiglia Martin, per la precisione dalla coppia formata da Maurizio e Mara, che rilevano un bacaro-osteria – luogo di cicchetti, ombre di vino e partite a carte, di cui l’insegna rimane a testimonianza – trasformandolo in un ristorante di classe.
La divisione dei ruoli è chiara sin da subito e diventa uno degli elementi che ha contribuito a costruire la fama del locale. Da una parte c’è la sala, governata per anni da Maurizio – e ora nelle mani del figlio Damiano – vero e proprio biglietto da visita del modo in cui Fiore intende l’accoglienza dell’ospite, una combinazione tra eleganza e familiarità che evitano contemporaneamente gli estremi del lusso ostentato e dell’artificiosità. Dall’altra c’è la cucina di Mara, raro esempio di apprendimento iniziale da autodidatta, rafforzato nel tempo da formazione e aggiornamento.
Fiore conquista la stella Michelin nel 1995 e per 25 anni riesce a mantenerla: il punto di rottura si registra nel 2021, anno di discrimine. In quell’occasione Fiore perde il riconoscimento (e con Fiore anche Il ridotto) mentre la rossa segna tre nuovi ingressi, decretando – la sensazione è quella – la fine di un’epoca e l’avvento di un nuovo corso.
L’ambiente
L’ingresso da Fiore è accompagnato da un sottile effetto di straniamento dettato dalla sensazione di ritrovarsi in un contesto temporale che non corrisponde a quello attuale: non si tratta di vetustà, né di un ambiente invecchiato quanto piuttosto della volontà di mostrare un’identità definita, nostalgica, la stessa che si ritrova in cucina. Oltrepassato l’ambiente con il bancone, la sala che si apre alla sinistra è un richiamo alla dimensione della navigazione: soffitto basso a volta, specchi convessi alle pareti a mo’ di oblò, illuminazione a parete, colori che prediligono i toni dei grigi, del bianco e del beige. Ai tavoli tovaglie e bicchieri in vetro soffiato fanno il paio con il personale di sala, in divisa bianca e nera.
Nonostante l’illuminazione, se il risultato complessivo denota complessivamente estrema cura e raffinatezza, resta una percezione di schiacciamento e di chiusura, pur nella sobrietà e nella “pulizia” estetica complessiva. C’è tuttavia uno spazio che si apre all’assenza di Venezia ed è quello affacciato al canale: qui, su un balconcino che sembra appoggiato all’acqua del rio sottostante, è collocato un unico tavolo da due, must del locale, disponibile solo se prenotato con largo anticipo. Il servizio di sala è curato, rigoroso, attento ma non soffocante.
La cucina
Esattamente come l’atmosfera, i piatti di fiore sono un omaggio alla tradizione e al territorio. La cucina non si ferma al mare e alla laguna, ma guarda anche all’entroterra richiamando le origini di chi è ai fornelli, con riferimenti alla campagna dell’entroterra veneziano. La cura è evidente, così come la qualità delle materie prime: altrettanto evidente è la volontà di proporre una cucina mai strillata, pacata, comprensibile.
I cambiamenti e le evoluzioni sono avvenuti – alleggerimenti e impiattamenti ne sono un esempio – ma in modo da non stravolgere l’identità del locale. Se questo elemento ha consentito a Fiore di distinguersi negli anni, rispetto ad un’offerta cittadina di media qualità, l’impressione che si ha oggi – in un contesto in cui il numero di insegne veneziane in cui trovare una cucina di livello, che guarda alla contemporaneità e ne coglie le suggestioni è decisamente cresciuto – è quella di un locale rimasto fermo.
Non si tratta tuttavia, almeno è la percezione che se ne ricava, del rifiuto di adeguarsi ai tempi quanto piuttosto di rimanere fedeli a sé, di non snaturarsi e, soprattutto di rimanere fedeli alla propria clientela, a proprio agio tra piatti classici, ben eseguiti. Si comprende allora la perdita della stella, che diversamente da quanto avvenuto per altri locali, in questo caso permette di concordare con la decisione della Michelin.
I piatti
La carta di Fiore conta complessivamente su un numero contenuto di proposte (7, 8) per sezione. Si privilegia il mare, seguendo la stagionalità, e a rappresentare le colonne portanti della cucina sono sicuramente i classici della tradizione veneziana: baccalà mantecato, granseola, bigoli in salsa, frittura, anguilla, filetto di branzino al forno. A questi si aggiungono proposte non strettamente lagunari e materie prime che guardano alle province di Treviso e Vicenza. Si sceglie alla carta (antipasti tra i 22 e i 40 euro, primi tra i 28 e i 32 euro, secondi tra i 40 e i 48 euro, dolci a 20) o a degustazione (6 portate a 160 euro). Carta vini ampia, e che guarda a Italia e Francia (circa 800 etichette).
Piatto storico del locale sono i tagliolini gratinati con scampi e radicchio rosso di Chioggia: l’arrivo al tavolo avviene su una fondina uscita dal forno. Il passaggio al piatto restituisce un profumo domestico, rassicurante, esattamente come la fattura della ricetta. I sapori degli ingredienti sono semplici e riconoscibili, per una dolcezza complessiva che rimane a lungo in bocca. Crostacei e radicchio segnano anche il secondo, calamari al forno ripieni di mazzancolle, radicchio di Treviso e crema di zucca. Gradevoli, misurati, nessuna nota fuori posto per un bilanciamento corretto dei sapori, che consentono di riconoscere sia la parte vegetale che quella di mare. In chiusura la millefoglie con crema alla vaniglia e marmellata di arance: pregevole la sfoglia, croccante, freschissima, dalla dolcezza contenuta e perfettamente caramellata; la crema alla vaniglia, pur dalla consistenza ariosa e soffice, manca un po’ di carattere laddove note più spiccate di vaniglia avrebbero consentito alla delicatezza di emergere completamente.
Opinione
Insegna dalla storia familiare, l’Osteria da Fiore è un ristorante dalla solida reputazione in città. A lungo premiato dalla stella Michelin, ha recentemente perduto il riconoscimento: la cucina, pur curata nelle materie prime e nelle lavorazioni rispettose, è infatti rimasta quasi immutata, al netto di aggiustamenti nelle lavorazioni più leggere e negli impiattamenti. Apprezzato forse più dalla clientela estera che da quella locale, rimane comunque un luogo valido per chi vuole conoscere la storia gastronomica classica di Venezia.
PRO
- Qualità delle materie prime
CONTRO
- Cucina rimasta pressoché inalterata nel tempo
- Rapporto qualità-prezzo leggermente sbilanciato