Alle spalle della ben più nota e – purtroppo – assai frequentata Fondamenta della Misericordia, Fondamenta della Sensa, sestiere Cannaregio, riesce ancora a mantenere una certa dose di autonomia e indipendenza dalle logiche turistiche. Ci si arriva superando le suggestioni del Ghetto e la dimensione ormai omologante da bacaro-tour della suddetta Misericordia e si riesce a riprendere un po’ il fiato. Più oltre, per chi volesse azzardare un assaggio più autentico, c’è la zona di Sant’Alvise, tra campi sportivi e associazioni remiere. Non è allora un caso che l’Osteria Anice Stellato, si trovi proprio qui: con un piglio un po’ anarchico e spettinato al punto giusto, è un locale perfettamente a suo agio in questa parte di Venezia.
Il locale
Se a Venezia non è raro trovare “calli della malvasia” sparse qua e là, testimonianza di un passato in cui le attività commerciali legate alla mescita identificavano luoghi e spazi cittadini, oltre che modalità di consumo ben definite (la Malvasia era una bottega dove “vendevansi vini navigati – cioè importati via mare – e specialmente quello proveniente da Malvasia” – cioè Monemvasia, città del sud della Grecia -da Cipro e dalla Puglia”. La corporazione delle Malvasie era separata da quella dei venditori d’altri vini), fa piacere riscontrare che per arrivare all’Anice Stellato si passi per una di queste calli e si superi l’omonimo ponte. Se infatti il luogo è stato per molti anni un’osteria tradizionale, da baccalà mantecato-fritto misto-e carta paglia, da qualche anno – grazie ad un’attenzione per la dimensione enologica, che si aggiunge ad una cucina che esce dalle strette maglie del tipico soffocante – pare essere più in linea con la storia passata, e aver trovato una sua identità ben definita.
Il merito va alla titolare, Elisa Pantano, che ha saputo imprimere una certa direzione, non solo gastronomica ma culturale verrebbe da dire. Impossibile non notare l’influenza della sua formazione umanistica nei molti riferimenti sociologico-filosofico-politici disseminati qua e là, in vari formati, dalla bandiera in vetrina ai libri. Gli arredi sostengono lo stesso filo logico: tavoli (senza tovaglia) e sedie di legno, utensili da cucina vintage, piante, ceramiche e soprattutto due gigantografie dedicate ad altrettanti esemplari del mondo ittico. L’ambiente, insomma, è accogliente, complici un bel bancone all’ingresso, una combinazione di tavoli da due e tavolate più grandi, e la presenza di uno spazio a destra dell’entrata tutto dedicato ai vini, che assume le forme di una specie di libreria.
Due le salette, la prima con vetrate che danno sulla fondamenta, la seconda – più all’interno – comunque ben illuminata. La sala è seguita da personale giovane, pacato. Il menu e l’abbinamento con i vini vengono spiegati con cura, in particolare verso i turisti. La carta vini denota un’attenzione ed uno studio verso i produttori artigianali e naturali, senza estremismi.
Il menu e i piatti
La carta conta su un numero ristretto di proposte, che variano in base alla disponibilità del mercato e ovviamente alla stagione. Pesce e carne si alternano in una cucina che esce dalla dimensione veneziana (ricordata solo in un paio di piatti) per attingere a oriente (katsuobushi, wasabi), a tradizioni extraregionali (ragù alla napoletana, cacio e pepe) o più ampiamente ad una cucina contemporanea che gioca su contrasti continui di sapori e consistenze, garantendo tuttavia sempre un margine di scelta tra piatti con guizzi vivaci e altri più placidi (vedi il pescato del giorno con crema di patate e fagiolini). La combinazione carne/pesce più ortaggio è tuttavia pressoché sempre presente. Vincente, anche se ormai abitudine consolidata quasi ovunque, la scelta di proporre in apertura un benvenuto della cucina così come un predessert in chiusura: nello specifico, il pacchero fritto iniziale e il brownies finale funzionerebbero, in formato piatto, perfettamente e in modo assai goloso.
Gli antipasti si attestano sui 18 euro, così come i primi. I secondi vanno dai 25 ai 28 euro. Si apre con un dentice in umido con spinacini, che pur vantando una buona cottura che evita la stopposità del pesce, e un condimento piacevole, è tuttavia penalizzato da una collocazione che lo vorrebbe preferibilmente tra i secondi: la porzione e l’impiattamento, insomma, lo sfavoriscono. Si prosegue con i ravioli di ombrina, burro timo e limone, miglio soffiato e katsuobushi. Il piatto funziona per molti motivi: lo spessore della pasta, perfetto per valorizzare un ripieno dal sapore pieno nella sua delicatezza. Il burro aromatizzato aggiusta il tiro con un’acidità misurata, esaltata dall’umami del pesce essiccato. La croccantezza del miglio arriva sul finale, a dare al palato una masticabilità più consistente. Spetta alla rivisitazione di un grande classico primaverile – seppie e piselli – il premio come migliore portata della cena. Se elementari sono gli ingredienti (oltre ai due protagonisti, compaiono i ravanelli marinati) così come i colori (si gioca sulla contrapposizione bianco-nero, così come sui complementari rosso e verde), i sapori invece sono vivacissimi, vividi. Le seppie, morbide e saporite, evitano l’insidia della gommosità, mentre i piselli, dolci e vellutati, trovano il perfetto contraltare nell’acidulo dei ravanelli. Facendo un unico boccone, si trova tutto, in ottima combinazione: gli amanti dell’espressione “tradizione e innovazione” troveranno di che gioire. Dall’elenco dei dessert, recitato a voce e che vede, tra gli altri, riletture di tiramisù e cassata, la scelta cade su un fondente al cioccolato con arachidi salati e crema di mirtilli. Si tratta di una vera e propria maxi pralina, che se da un lato centra l’obiettivo dei sapori evitando l’eccessiva dolcezza, dall’altro risulta difficile da tagliare. Ci permettiamo un consiglio per valorizzarla: calibrando le consistenze, ne guadagnerebbero ancora di più i gusti degli ingredienti.
Opinione
Rinnovata nella forma e nella sostanza, l’Osteria Anice Stellato propone una cucina che esce dagli schemi rigidi del tipico e si apre a influenze che guardano alla cucina contemporanea quanto a uso degli ingredienti (riferimenti alla cucina orientale) e impiattamenti. La carta, forte di un numero limitato di piatti, gioca su carne e pesce e cambia a seconda della disponibilità del mercato e della stagione.
PRO
- Ambiente piacevole, cordiale e rilassato.
CONTRO
- Alcuni piatti meriterebbero di essere valorizzati di più, correggendo impiattamenti e consistenze