La proposta di legge dell’onorevole Giandiego Gatta – deputato di Forza Italia – che riguarda l’obbligatorietà della doggy bag da parte dei ristoranti sta facendo davvero molto discutere. Come spesso accade in questi casi, si parte con uno spirito encomiabile condivisibile ma che poi nel pratico non solo non può funzionare ma rischia anche di peggiorare le cose. Un po’ come quelle app futuristiche che nascono come funghi, fighissime a parole ma poi non si capisce come usarle e tutti se ne lavano le mani. Ecco una riflessione sulla proposta, partendo dal testo integrale.
Aldilà delle opinioni personali (specifico che, per quanto mi riguarda, io sono da sempre favorevole alla doggy bag in ogni contesto) di politici, consumatori, ristoratori e chef, emergono dubbi oggettivi sia per come è stata posta nero su bianco sia per come è stata descritta durante il discorso alla Camera. Potrebbe essere che le soluzioni a tali dubbi arrivino, ma per ora le possiamo solamente immaginare.
La proposta di legge
Riporto il testo integrale della legge proposta sull’obbligo della doggy bag, che prevede soluzioni alternative da parte del consumatore ma anche multe piuttosto salate in caso di mancata adesione da parte dei ristoranti. Ristoranti di ogni tipo, si parla di ogni esercizio commerciale che venda cibo consumabile sul posto.
“Tutte le attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, gli esercizi di ristorazione commerciale e gli esercizi di ristorazione con consumazione in loco sono obbligati a mettere a disposizione dei propri clienti contenitori riutilizzabili o riciclabili che, nel rispetto delle norme igienico sanitarie, consentano di portare via cibi o bevande non consumati in loco. Possono subordinare la consegna dei contenitori riutilizzabili al versamento di una cauzione proporzionata al valore economico degli stessi od all’utilizzo di diversi appositi strumenti, anche tecnologici, idonei ad incentivare la successiva restituzione ed a penalizzare la mancata restituzione entro un termine stabilito. Informano adeguatamente i consumatori attraverso appositi cartelli informativi collocati nei locali e ben visibili. Il contenitore riutilizzabile o riciclabile può essere fornito direttamente dal consumatore, purché esso rispetti le norme igienico-sanitarie. Un apposito cartello informativo collocato all’interno dei locali informa il consumatore finale sulle regole per la pulizia e l’idoneità dei contenitori riutilizzabili o riciclabili. In tale caso, il consumatore è esclusivo responsabile dell’igiene e dell’idoneità del contenitore. Lo stabilimento può rifiutarsi di servire il consumatore se il contenitore portato da quest’ultimo è palesemente sporco o non idoneo. In tal caso, deve fornire un contenitore riciclabile o riutilizzabile adeguato“.
Il rifiuto e le sanzioni
Dal testo di legge si evince anche che il consumatore può rifiutare la doggy bag, ma il ristoratore no. Infatti: “il consumatore può rifiutare di portare via cibi e bevande non consumati in loco. In tal caso, viene meno l’obbligo previsto dall’art. 1 e la relativa sanzione. In caso di mancato rispetto degli obblighi di cui all’art. 1 si applica nei confronti del soggetto obbligato la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da € 25 ad € 125. Per l’accertamento delle violazioni e la irrogazione delle sanzioni amministrative si applicano le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689“.
Perché l’obbligo di doggy bag siffatto non può funzionare
Sarebbe meraviglioso se davvero una doggy bag potesse cambiare le cose quanto a cibo sprecato, ma siamo nel mondo reale (un mondo poco organizzato, scettico su qualsiasi cosa, e pure un po’ ipocrita) e purtroppo è necessario rimanere con i piedi a terra. E rompere le uova nel paniere. Ecco i punti deboli della legge.
Nessun cliente pagherà volentieri un supplemento per il contenitore
Si parla di un (logico) contributo che il ristoratore può chiedere per recuperare i costi dei contenitori ceduti al cliente. Molti saranno coloro che non batteranno ciglio, ma saranno molti di più coloro che – sentendo di un sovrapprezzo – rinunceranno per partito preso all’iniziativa anti-spreco. Accadrà che, pur di non pagare tot centesimi o euro in più, rinunceranno alla doggy bag: misura anti-spreco inefficace, e in più soldi buttati via per il cibo che rimarrà nel piatto.
Il sovrapprezzo a discrezione del ristoratore
Parlando di sovrapprezzo, nella legge non ci sono regole né direttive: quanto mi farebbe, ogni ristoratore, di sovrapprezzo? Come lo stabilisce – in base alla qualità del contenitore? In base al successo del ristorante? Già il fatto che il ristoratore debba fare per forza un investimento che potrebbe non recuperare, bloccherà molti. Inoltre, consideriamo il fatto che da sempre in molte categorie di ristorante non c’è mai stato alcun supplemento per contenitori d’asporto o doggy bag: si pensi ai cartoni delle pizze ordinate per l’asporto, o ai contenitori di alluminio dei ristoranti orientali (che, in più, lasciano gratis bacchette e salse la maggio parte delle volte).
Dare la colpa al cliente ingordo
L’iniziativa potrebbe anche servire da “lezione deterrente” al consumatore ingordo, “volta a limitare i danni. Sono al ristorante e ordino più di quanto mangerei perché magari al momento dell’ordine ho particolarmente fame, e lo faccio perché tanto poi ciò che non consumo lo porto a casa. Vorrei sottolineare la funzione deterrente di una misura come la Dog bag: cioè di incentivo a Non sprecare cibo e di incentivo ad ordinare con parsimonia“.
Nella legge scritta questa cosa non è menzionata, ma è stata detta durante il discorso di presentazione di cui abbiamo parlato nelle scorse ore: a condividere tale argomentazione non è Giandiego Gatta bensì Graziana Guerriero – responsabile Organizzazione dei circoli dell’ambiente e della cultura rurale – una delle oratrici che lo hanno preceduto.
Mi porto io il contenitore, pregando di averlo pulito bene
Una delle possibilità suggerite nella proposta di legge è che sia lo stesso consumatore a portare con sé il proprio contenitore da casa, o a usare l’opzione del contenitore riutilizzabile come potrebbero invitare a fare alcuni ristoratori – cosa già messa in atto da molte realtà, come Starbucks, dove puoi acquistare un bicchiere d’asporto e riportarlo la volta successiva, ricevendo persino uno sconto sull’ordine.
Questa alternativa serve sia a non pagare eventuale sovrapprezzo applicato per il contenitore fornito dal ristorante, sia a riciclare. Perfetto, ma un conto è farlo con il caffè, un altro con del cibo elaborato che deve comunque essere tratto con norme igieniche ben precise. Io non so se me la sentirei di portare la mia doggy bag, che uso da anni e anni, appoggiarla sul tavolo del ristorante e usarla così. Tantomeno me la sentirei di darla al cameriere e farla gestire a lui nella cucina. Magari sono io paranoica.
I cartelli “ben visibili” all’interno dei locali
Ogni ristorante dovrà apporre delle locandine esplicative con tutte le indicazioni riguardo alle doggy bag fornite, ai sovrapprezzi, e persino alla cura igienica delle stesse. Un po’ come i cartelli che da ormai due anni accolgono i clienti in tutti i negozi e indicano come igienizzarsi le mani. Anche questa, nel pratico, a mio parere è poco credibile. Non perché sia complicato ma perché molti ristoratori storceranno il naso all’idea di posizionare tali cartelli in punti ben visibili e accessibili, rovinando l’estetica di una sala o di un ingresso. Con quale grafica, poi, con quale testo, esattamente? Lo fornirà lo stato, uguale per tutti?
Immaginate i tortellini di Massimo Bottura nella doggy bag
Lasagne, pasta, risotti, fritti, pizza, bistecca, scaloppine, insalate, fette di torta, porzioni di dolci al cucchiaio: tutto ok, non vedo problemi nel riporre questi cibi in una doggy bag. Pensiamo però a pietanze elaborate, come spesso capita nel fine dining – spume, gelatine, composizioni, scomposizioni. Come si potrebbe gestire la riduzione di questo spreco in particolare, senza rovinare miseramente lo sforzo degli chef? Mi vengono in mente, per esempio, le Cinque Stagionature di Parmigiano Reggiano di chef Massimo Bottura, il dessert Carpe Diem di che Marco Sacco oppure l’Uovo alla carbonara di chef Massimiliano Alajmo: vero è che lo scopo di non sprecare supera l’orgoglio personale di chi cucina ma siamo oggettivi, ve li immaginate in una schiscètta?