Tutte le tradizioni sono importanti, o quantomeno curiose. Oggi approfondiamo lo strano caso del Natale in Giappone, dove un “secchiello della festa” di pollo fritto, firmato KFC (Kentucky Fried Chicken) si è reso cibo tipico del 25 dicembre.
Le tradizioni sono quella cosa che si impossessa di noi contro la nostra volontà e oltre ogni nostra pianificazione. Era ieri che scartavi i regali sotto l’albero con le canzoni natalizie in sottofondo, e all’improvviso, inspiegabilmente, ti ritrovi a non poter fare a meno di riunirti intorno alla televisione a guardare “Una poltrona per due” sul Cinque, in un rassicurante momento che sa di analogico. Manco te lo ricordi più, quand’è che Eddie Murphy si è impossessato del tuo Natale, ma stai lì a vederlo in silenzio e a ridere alle stesse battute politicamente scorrette, perché tanto lo sai che è inutile combattere contro la tradizione.
E ti conviene pure non lamentarti, perché in giro per il mondo c’è pure di peggio. Per esempio, se viveste in Giappone dovreste scordarvi lasagne, struffoli, panettone o tortellini in bordo: lì il vero must delle tavole natalizie è – poco romanticamente – un secchiello gigante di pollo fritto, rigorosamente comprato al Kentucky Fried Chicken.
Non solo non stiamo scherzando, ma stiamo parlando di un’usanza di proporzioni imponenti che – stimava la BBC qualche tempo fa – coinvolge circa 3,6 milioni di famiglie giapponesi ogni Santo Natale, con vendite che decuplicano rispetto alla media normale. File infinite ai negozi, prenotazioni con mesi di anticipo, ore di attesa per portare a casa quello che è diventato il piatto della tradizione natalizia giapponese per eccellenza: un secchiello di pollo fritto di una delle più celebri catene statunitensi di fast food. Ve ne parlammo qualche giorno fa, a proposito di tradizioni di Natale nel mondo.
Ma come è possibile che proprio il Giappone, Paese con una cultura gastronomica antichissima e diversificata, faccia una scelta tanto dozzinale in un momento importante come le feste di Natale? La spiegazione, in realtà, è piuttosto semplice, e comincia dal fatto che le festività natalizie, in un Paese a prevalenza buddista e shintoista, non sono poi un momento così sacro. Solo l’1% dei Giapponesi è cattolico, e il Natale del Sol Levante non è altro che una tradizione importata dall’Occidente. Fino a poco tempo fa, quindi, nessuna storica usanza accompagnava il Natale giapponese, e un astuto dirigente del KFC si rese conto che poteva colmare quel buco costruendone una nuova a suo uso e consumo.
Tutto accadde nel 1974, quattro anni dopo lo sbarco nel Paese della catena americana leader nel mercato del pollo fritto. La leggenda racconta di un manager giapponese di KFC, Takeshi Okawara, che sentì due americani sotto Natale lamentarsi di quanto gli mancasse il tacchino delle feste. Be’– pensò l’ingegnoso manager– se non possiamo dargli il tacchino, diamogli del pollo fritto! Così si inventò il “Party barrel”, il “secchiello della festa”, un modo per far sentire a casa gli Americani che sotto Natale si trovavano in Giappone. La cosa, però, ai Giapponesi piacque così tanto che l’idea sfuggì di mano al suo stesso creatore.
A un Paese non abituato a festeggiare il Natale si sommò un’imponente operazione di marketing, e il tutto – rafforzato dall’universale pigrizia delle feste e dal fatto che il pollo fritto piace proprio a tutti – causò un corto circuito che rese il Giappone il terzo mercato di riferimento (dopo Stati Uniti e Cina) per il Kentucky Fried Chicken.
Un’operazione pazzesca, un colpo di marketing vincente paragonabile forse solo al Babbo Natale rosso della Coca Cola. Non a caso, il manager che ebbe l’idea del secchiello della festa divenne poi presidente e CEO del Kentucky Fried Chicken Japan dal 1984 al 2002. È suo il merito in fondo, se oggi il periodo di Natale produce un terzo delle vendite annuali di KFC Giappone.
E ora, coraggio: provate a proporre a vostra nonna di festeggiare il Natale con un secchiello gigante di pollo fritto del fast food, per rendere più multiculturale il vostro Natale. Siamo davvero curiosi di sapere che ne pensa.