Nel primo giorno di zona gialla e nuove regole che consentono di consumare all’aperto, a Napoli scoppia il tavolino-gate: un piccolo caso di in cui si intrecciano vecchi luoghi comuni e recenti nervosismi pandemici. Di che si tratta?
Dunque lunedì 26 aprile è entrato in vigore il nuovo Decreto Riaperture con cui il governo ripristina la zona gialla (dove ci sono i numeri ovviamente) e consente nella suddetta di consumare seduti al ristorante o al bar, purché all’aperto. Grande successo, mobilitazione nazionale, assalto ai tavoli – in parte funestato dal cattivo tempo al nord. Al sud, altre questioni. In particolare a Napoli, dove è successo che una storica pasticceria-bar del centro storico celebrasse la riapertura con un post Facebook corredato da una curiosa foto.
https://www.facebook.com/armandoscaturchio/posts/4172894982728788
I tavolini si reggono in equilibrio sui paletti che delimitano il marciapiede, sempre a rischio invasione automobilistica negli stretti vicoli della città. E qui scatta il luogo comune numero uno: il genio partenopeo. La foto fa, come si dice, il giro del web, viene ripresa da tutti i siti, e da quasi tutti parte l’ode all’arte di arrangiarsi dei napoletani, i “succede solo qui” e compagnia cantante.
Ma la sovraesposizione mediatica, come spesso accade, porta anche alla reazione contraria: e le reazioni, in questo periodo in cui siamo tutti coi nervi a fior di pelle, non sono proprio moderate (lo abbiamo visto nelle varie crociate contro i runner, contro i padroni di cani, contro i giovani della movida, contro i furbi che si vaccinano saltando la fila…). Ecco allora il secondo luogo comune, uguale e contrario: il napoletano abusivista, che aggira la legge, mezzo delinquente, in fondo un po’ camorrista. In certi thread di commenti se ne leggono di tutti i colori, ma i commenti si sa, non vanno letti.
“Non accade da oggi, avviene già da tempo e in molte zone del centro storico”, dichiara a Fanpage Gennaro Esposito, avvocato e coordinatore dei Comitati per la quiete pubblica e la vivibilità di Napoli, e conclude: “Abbiamo scritto al prefetto”. Uànema, come dicono sotto al Vesuvio. Sta di fatto che, vuoi la pressione mediatica, vuoi il timore di controlli dell’autorità, Scaturchio in giornata libera il marciapiede di fronte al locale, e lo mostra con un commento amaro.
In effetti chi frequenta quella zona, ricorda il marciapiede – che poi è quello che costeggia l’ospedale Nuovo Pellegrini – spesso adibito a deposito di munnezza: un altro tipo, certo meno piacevole, di occupazione di suolo pubblico. Oppure preso da improvvisati venditori abusivi: ma qui, potremmo dire alla napoletana che pure loro hanno da campa’.
La vicenda però va un attimo inquadrata in un contesto più ampio, e quindi in parte ridimensionata. Come fa notare su Facebook un giornalista dello stesso Fanpage, i tavolini sui paletti non sono un’invenzione last minute per far fronte alle nuove regole da zona gialla – tra cui c’è in sostanza il divieto di consumare il caffè al banco. Lo stesso Scaturchio li aveva messi nell’estate scorsa, ma anche prima, nel 2019, quando la pandemia era solo un film distopico.
https://www.facebook.com/nico.falco/posts/10224912968516736
Si fa notare poi che i tavolini veri e propri, piazzati nell’estate 2020, erano abusivi, cioè non era stata ottenuta alcuna concessione, nonostante le maglie rese più larghe dall’amministrazione causa crisi pandemica. E soprattutto che, concessione o meno, i “geniali” tavolini sui paletti sono in ogni caso “uso proprio” di arredi urbani e paletti stradali, uso naturalmente vietato. Insomma, quello che abbiamo qui non è la tradizionale arte di arrangiarsi napoletana, ma piuttosto la altrettanto tradizionale abilità di socializzare le perdite e privatizzare i profitti, appartenente a un certo tipo di imprenditore furbo di ogni tempo e ogni luogo.
Ora. Non è che qui vogliamo fare debunking del debunking. Però ridare alle cose la loro giusta misura non sarebbe male (e d’accordo, noi siamo i primi ad alzare i toni dato che stiamo parlando nientemeno che di tavolino-gate, ma era ironico, non si capiva?). È vero che i “tavolini” di Scaturchio stanno lì da anni, da prima del coronavirus. Ma è vero anche, come dimostra questo screenshot di Google street view dell’agosto 2020, che si tratta di DUE tavoli con la bellezza di QUATTRO sedie e TRE tavolini da paletto. Insomma un po’ come succede per le foto sensazionalistiche degli assembramenti, allargando l’immagine o cambiando angolazione si ottiene tutt’altra visione. (Per non parlare del fatto che nella foto si vede anche un napoletano in motorino con il casco: un altro mito che crolla.)
È vero che Napoli è piena di fioriere e altri “arredi urbani” utilizzati in maniera impropria. Ma è anche vero che, nonostante le regole più lasche per occupare il suolo pubblico, difficilmente si potrebbe ottenere una concessione per un marciapiede largo mezzo metro. Mangiare all’aperto a Napoli è sempre stato difficile: ora che possono riaprire i ristoranti solo con i dehors la discriminazione tra chi ha spazio e chi no, appare più evidente a tutti.
È il caso di tirare in ballo la legalità, il degrado, la “quiete pubblica e la vivibilità di Napoli”? È il caso di farne un caso? È il caso di inventarsi addirittura il tavolino-gate? Direi proprio di no.