Sushi e sashimi? Macchè: ramen e udon! E’ questa l’autentica cucina tradizionale giapponese.
E fortunatamente ora è arrivato qualcuno che l’ha finalmente sdoganata, liberandola dall’onnipresente binomio sushi-sashimi, e restituendola alle radici e ai piatti più tipici, quelli che sono nel DNA del giapponese medio tanto quanto gli spaghetti al pomodoro lo sono in quello degli italiani, così come riporta “Il Giornale“.
E questo qualcuno si chiama Tatsuji Matsubara, quarantasettenne chef giapponese che ha spopolato nella scorsa edizione di Expo, a Milano, con due punti di ristoro in cui serviva generose porzioni di ramen, il ricco brodo di carne giapponese arricchito dagli immancabili udon – i noodles giapponesi – , una sorta di tagliatelle da servire, appunto, nel brodo caldo.
Un piatto corroborante e schietto, che per i giapponesi rappresenta un vero e proprio conforto – come ben sa chi ha letto i libri della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto – e che si rapidamente diffondendo anche da noi.
Tanto che Tatsuji –titolare in Giappone di ben sei ristoranti tra Kyoto e Osaka, più uno a Valencia e uno a Londra– ha deciso di aprirne uno anche a Milano, nei pressi di Porta Genova, in Via Ariberto 1.
Il nome scelto per il nuovo ristorante milanese è Ryukishin, e non è certo un nome scelto a caso: in giapponese, infatti, “Ryu” significa drago, che rappresenta la forza, “Ki” simboleggia la bandiera, vale a dire un’identità, e “Shin” corrisponde al verbo credere. Il nome completo, quindi, starebbe a significare “credere nella forza dei propri ideali e delle proprie azioni”.
Nome certamente inusuale per i ristoranti nostrani, ma che ha il pregio di indicare un percorso e un’idea specifica: proporre la vera cucina del Sol Levante, quella praticata ogni giorno da milioni di giapponesi nella loro terra, esente da inflazionati stereotipi e indebite concessioni al gusto internazionale.
Nel nuovo locale, inoltre, che si presenta quindi come una vera e propria trattoria giapponese, i prezzi sono più che abbordabili.
Progettato da Giorgio Totino, il locale, gradevole e spazioso, è composto da interni che ripropongono la linearità essenziale della cultura e dello stile nipponico, impreziositi da dettagli accurati quali il soffitto decorato a temi floreali che cambiano a seconda delle stagioni.
Il ristorante è composto da un ampio bancone, dove è possibile pasteggiare, tranquillamente seduti sui sette sgabelli disponibili, godendosi lo spettacolo dei cuochi che preparano i piatti nella cucina a vista.
E non manca inoltre un’ampia tavolata centrale, dove scambiare chiacchiere informali con il vicino di sedia, così come anche i più riservati tavoli singoli.
Il linea con lo spirito del locale, il piatto-simbolo è sicuramente il ramen, “piatto giapponese della tradizione equiparabile alla vostra pizza – dice Tatsuji -. Ma proprio come succede per la pizza o per la pasta, è un piatto eccezionale solo se cucinato a regola d’arte”, precisa lo chef.
Il ramen, infatti, non è un semplice piatto di brodo di carne servito con anonime tagliatelle orientali: il brodo deve infatti cuocere dalle 10 alle 18 ore, e può essere leggero, cioè a base di verdure, maiale o pollo con alga kombu, oppure ricco e cremoso.
Come per esempio nel ricco Paitan ramen, zuppa a base di pollo e verdure cotta per sei ore e servita assieme a maiale o pollo chashu, germogli di bambù, cipollotto e rucola: una squisitezza che in tutta Europa il ristorante milanese è il solo a offrire, al prezzo di 13 euro. Matsubara ne propone inoltre anche la versione Deluxe, completa di uovo fritto, al prezzo di 15 euro.
Il classico ramen, invece, nelle sue varie versioni, è offerto al prezzo medio di 12 euro, che diventano 14 nella versione deluxe con uovo fritto.
Ma ci sono anche i Gyoza, gli squisiti ravioli alla piastra proposti in diverse varietà, e il più noto Tori Karaage, il pollo fritto alla giapponese, per finire con l’immancabile riso al curry con carne.
Piatti semplici, di antica tradizione, che Mastubara paragona ai nostri aglio e olio o anche alla carbonara. “Semplici” solo in apparenza, ma così difficili da cucinare veramente a regola d’arte. Proprio come un caldo piatto di brodo di carne e verdure.
O meglio, di ramen.
[Crediti: Immagini: Jacopo Ventura, link: Il Giornale]