Lo avete sentito dire mille volte –spesso direttamente da me: non c’è mai stato un momento migliore di questo per mangiare a Milano.
Non passa giorno senza che aprano eccitanti posti nuovi, c’è cibo eccellente in ogni fascia di prezzo, dal food truck allo stellato Michelin, si può uscire anche tutte le sere senza mai andare due volte nello stesso posto.
È fantastico!
Certo bisogna ammettere che un sacco di questi sono un po’ dei posti del caz*o.
Lo so perché ci vado di continuo. Anzi, alcuni di questi posti del caz*o sono tra i miei preferiti.
In questa sede ragionerò per archetipi, perché mi risulta utile per sviluppare questo raffinato modello teorico e –ovviamente– perché altrimenti mi fanno causa. ¯\_(ツ)_/¯
Pronti?
Il cocktail bar del caz*o
Al cocktail bar del cazzo un drink costa almeno 15€.
Però anche mentre ti ladrano ci tengono a farti sapere che loro non volevano nemmeno che tu andassi nel loro locale del caz*o: anzi, hanno fatto del loro meglio per nasconderlo.
Da fuori sembrava un negozio di chincaglierie cinesi. Anzi, da fuori sembrava una gioielleria. O forse che vendessero armi, perché le porte hanno una blindatura doppia.
Ma a te non sfugge niente, e quindi l’hai trovato: la tua determinazione encomiabile sarà premiata dandoti l’opportunità unica di spendere una percentuale del tutto irragionevole del tuo reddito, che ti sei guadagnato col sudore, per berti un cocktail del caz*o.
Cosa ti va? Un classico Negroni? Un rinfrescante Gin Tonic?
Ma che caz*o dici per piacere, ti rimbrotta subito il mixologist del cocktail bar del caz*o: in lista c’è una piccola selezione di cocktail tributo a un manuale dell’epoca del Proibizionismo (stampato solo su carta igienica per contrabbandarlo) oppure i cocktail signature del locale. Come sono? Per piacere tieniti per te le tue domande del caz*o.
Vuoi per caso fare una foto al tuo cocktail del caz*o?
Chiaro, è tuo, l’hai pagato. Ahah scherzo: vige la policy che non si possono fare foto.
E ovviamente non puoi geolocalizzarti sui social, altrimenti gli altri sapranno che sei lì e potranno andarci anche loro, e questo è contrario a ciò in cui il cocktail bar del caz*o crede. È per questo che hanno le porte blindate: è tutto piombato così non funziona il telefono.
Il ristorante trendy del caz*o
La priorità numero 1 del ristorante trendy del caz*o non è, ça va sans dire, il benessere dei propri clienti.
È invece cercare aggressivamente di convincerti che il suo cibo è buono. Senza bisogno di fartelo mangiare, però –quella sarebbe una forzatura. Il suo cibo è buono per definizione: c’è scritto sul menu, che spiega anche bene la caz*o di filosofia di cucina del ristorante. Se poi non capisci, è un tuo caz*o di limite.
Una volta le tendenze da oltreoceano per arrivare in Italia ci mettevano anni, e uno per copiarle quantomeno doveva andare in America –minimo minimo, a Londra qualche tempo dopo.
Lo sapete quando ci ha messo il sushi? Se in American Psycho (1991) (il libro, per dio!) è la passione di Patrick Bateman e dei suoi amici yuppie a New York, qui è diventato di moda dieci anni dopo.
E quanto ci ha messo il pokè a passare dalle Hawaii al ristorante trendy del caz*o in zona-che-si-sta-rapidamente-gentrificando-e-dove-poi-ha-aperto-anche-un-bello-spazio-espositivo?
Una settimana: una mattina l’ho visto tra le nuove tendenze di Eater, qualche giorno dopo eccolo lì sul menu. Lo chef del locale ha completato un lungo percorso di formazione su Instagram.
Il posto healthy del caz*o
Al posto healthy del caz*o tutto è servito con contorno di pseudoscienza: ti spiegano i benefici di mangiare vegano, di mangiare crudista, di evitare il lattosio, di scegliere i cereali integrali (meglio quelli “dimenticati”).
Al posto healthy del caz*o non pare sufficiente scrivertelo sul menu, quindi te lo scrivono sulle “fottute pareti” (cit.), così mangi circondato dal tanto bene che la curcuma –che è un po’ come una mamma— ti vuole (non è vero, peraltro).
Il cibo è sempre senza: senza glutine, senza zuccheri aggiunti, senza carne/pesce/proteine animali. Magicamente, anche tu esci senza: sfortunatamente non senza colesterolo cattivo bensì —spoiler alert-– senza soldi: al posto healthy del caz*o costa sempre tutto tantissimo.
Entrare al posto healthy del caz*o è un po’ come varcare una frontiera: la lingua ufficiale è l’inglese. Non sono insalate, sono “bowl“, il cibo non è crudo, è “raw“, la cucina non è vegana, è “plant-based“.
Il posto healthy del caz*o ribalta a 180° la celebre regola di Michael Pollan: mentre lui diceva “non mangiare niente che tua nonna non riconoscerebbe come cibo”, la massima del posto healthy del caz*o è invece “se lo mangiava tua nonna vuol dire che è sicuramente #toxic”.
Infine, solo un caz*o di stolto potrebbe pensare che mangiare al posto healthy del caz*o significhi mangiare leggero o con poche calorie: la base di ogni dolce crudista sono pasta di datteri, frutta secca e cocco, quindi la più innocent-looking delle barrette ha le stesse calorie di tre maritozzi con la panna.
Dimenticavo: in ogni piatto c’è quel caz*o di avocado.
[L’idea di questo post mi è venuta chiacchierando di fronte a un cocktail del caz*o con l’amica e collega Giorgia Cannarella, gone but not forgotten da Dissapore, ora in forza FineDiningLovers. Vorrei ringraziarla del contributo]