La mia famiglia è in vacanza ed io solo in città. Dunque: sono giorni pericolosi. Pericolosi perché essendo nella stessa situazione un gruppo di amici gaudenti e sciamannati riesco a fare fino a quattro pasti al giorno e ognuno di almeno cinque portate.
Però questa condizione ha dei vantaggi. Ad esempio che scopro dei posti pazzeschi che non avevo mai avuto occasione di provare. Ieri, per dire, con questa banda di scriteriati siamo finiti a pranzo a Milano da Tokyo Grill.
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Non so esattamente cosa prepari abitualmente Tokyo Grill – il nome e le piastre ai tavoli mi fanno intuire che si cuocia della roba – ma noi eravamo lì per fare l’omakase, cioè metterci alla barra di fronte al sushiman Masashi Suzuki e ricevere dalle sue mani, confezionati uno per uno, quelli che si sarebbero rivelati i sushi migliori della mia vita.
In un paio d’ore ci ha servito una sequenza di pezzi che erano ognuno un capolavoro, a partire dal riso (sgranato, tiepido, mai mappazzone), passando per i protagonisti – le parti più pregiate del tonno, wagyu, calamari sopraffini, gamberi siciliani la cui testa sapeva di tartufo, ricciola – finendo nei profumi, il wasabi fresco, l’erba cipollina, il miso, la soia….
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D’un tratto mi si è aperto un mondo. Ah, ecco, questo è il sushi. Diomio cosa ho mangiato fino a oggi (per la cronaca: sì, sono stato in Giappone, ma ero giovane e inesperto). Come se uno avesse assaggiato per tutta la vita solo le pizzette Catarì e d’improvviso venisse catapultato da Franco Pepe.
Il sushi è la cosa migliore del mondo. E Masashi Suzuki è il suo sacerdote. L’unico problema è che una volta assaggiato questo, non mangerete mai più un sushi di quelli che si trovano in giro.