Considera che i posti troppo pettinati non sono il tuo forte. Anzi, rispetto ai luoghi che ostentano il loro essere chic, patinati e splendidi sei più a tuo agio alla festa degli alpini. Ma una signorina della tua età deve sapere come comportarsi nei più disparati ambiti, e andare oltre i luoghi comuni è il mantra del tuo 2017.
Con queste premesse, tolte le pantofole da provinciale, decidi di gettarti nell’agone gastronomico di Milano prenotando da Bulgari.
L’occasione è l’offerta di Michelin Days, partner di Dissapore, il sito da cliccare se si desidera mangiare nei ristoranti selezionati dagli ispettori della guida più famosa del mondo, con offerte che arrivano al 40% circa, sempre abbinate a esperienze esclusive.
Si va dai menu specifici per i clienti Michelin, all’accesso al tavolo dello chef con servizio speciale; dai menu creati a partire da un ingrediente, alla prenotazione garantita anche all’ultimo minuto.
Registrarsi al sito Michelin Days, che ha da poco inaugurato la sezione riservata agli hotel, è molto semplice. Dopo di che l’unica abilità richiesta è essere veloci, perché le offerte durano in media una settimana.
Nel caso di Bulgari l’offerta è il menu da 8 portate “Il percorso dello chef” a 95 euro a testa. Si risparmia un bel gruzzolo, visti i prezzi del ristorante, non esattamente popolari.
Per una volta si può fare. Anche solo per tentare il selfie con la letterina di Passaparola in pensione, o per rendere orgogliosa la mamma che poi lo racconta alle amiche dalla parrucchiera.
Nonostante il tentativo di mimetizzarti nel jet set milanese, in sala, 4 minuti dopo l’arrivo, ti conoscono tutti: sei quella la cui sodale “è in ritardo di un’ora, potete tenermi il tavolo per favore?”. Non basta, sei anche quella la cui sodale “non mangia pesce, credevo avesse chiamato lei per avvisare, invece…”.
Il personale di sala abbozza, riuscendo a essere gentile mentre tu, dài ammettilo, ti saresti mandata a quel paese da sola. Ma nell’organizzazione sei filiniana, è una tragedia risaputa. Aspettando bevi qualcosa al bancone: accanto chiedono di avere del ghiaccio nel bicchiere del vino bianco.
Fitta alla milza.
Finalmente arriva la tua commensale, vi accomodate al tavolo. Il ristorante è bello; opulento –non puoi dire di no– con le tende in velluto e le pareti simil dorate.
Il volume in sala non è propriamente blando, a dispetto delle velleità fonoassorbenti dei tendaggi. Nella sala sarete 80 persone, un’insolita combinazione di coppie, famiglie con bambini, signore che durante la cena non tolgono MAI il colbacco di pelo, personaggi ideali delle recensioni sociologiche perfide dei ristoranti che oggi nessuno ha più il coraggio di scrivere.
Anche a combatterli, certi luoghi comuni tornano sempre.
La tua personale maratona inizia, prevedibilmente, con ostrica, avocado e pisco. Nel piatto, l’ingrediente status symbol a cui non si dice mai di no è ben accompagnato dell’avocado e da una gradevole salsa peruviana.
Allo chef devono essere piaciute le vacanze in Perù, visto che si prosegue con la tartare di capesante, strolghino e leche de tigre.
A te invece la tartare non piace granché. Lo strolghino, pur a pezzi piccoli, recita la parte dell’invitato arrogante al ballo delle debuttanti: gli altri ingredienti spariscono, soccombono al bullo.
Ci avresti scommesso un rene: poteva il risotto agli insoliti molluschi scodellato nel tempio della mondanità intrisa di botox non includere i modaioli percebes, quei piccoli frutti di mare che vivono attaccati alle impervie scogliere della Galizia e costano come il caviale, insieme al limone di mare e all’orecchia di mare?
O almeno così mi viene spiegato, perché nel piatto i percebes, ben riconoscibili a causa dell’aspetto poco invitante da peduncolo alieno, non li hai visti. Forse sono stati cotti fino a ridursi a piccoli tentacoli?
Il risultato è un piatto francamente incomprensibile di cui ricordi il riso scotto (seconda fitta alla milza) e il sapore del limone di mare invadente.
Devi riprenderti dalla delusione papillare, confidi speranzosa negli spaghettoni con ricci di mare e provolone del monaco.
Stavolta la cottura c’è, ma il piatto è un pasticcio pastoso al limite del cementificato dove il riccio piange miseria.
Con te la triglia del cuore vince facile. Infatti la triglia di scoglio, essenza di crostacei e friarielli non è male, gli ingredienti sono freschi e saporiti.
Appunto petulante per chi di dovere: se all’essenza di crostacei viene data la sostanza di un brodino, allora sarebbe gradito un cucchiaio per poterlo assaggiare. A meno che il piatto fosse da leggere in versione noodles con bevuta finale. Ma sei pur sempre da Bulgari, non ti arrischi.
Nessun appunto, invece, sul coniglio, vongole e prugne secche. Anzi uno, già che ci sei: una vongola in più e un boccone di coniglio in meno avrebbero permesso di accompagnare tutto con tutto, ma è questione di lana caprina, visto che questo è stato il piatto migliore della serata.
Arriva il momento dell’Insta-piatto, quello per cui i compulsivi autori di hashtag soffocano a stento gridolini di piacere. Bello è bello, il riso al latte: belle le forme e i colori.
Sarebbe anche buono se non si fosse esagerato caricando il piatto di orpelli stridenti, più belli da vedere che da mangiare: il gelato alla cannella domina tutto, le spugnette al lampone sono di un’acidità mortale.
Detto in due parole, è quel che i critici gastronomici osservanti definiribbero “piatto squilibrato”.
Servito in extremis, a stagione invernale ormai conclusa, il sorbetto al mandarino è scarico di sapore. Mangiandolo si sentono più le prime temperature primaverili del rigido inverno, che anzi, sembra già un ricordo. Del mandarino, sigh, si sente più che altro l’acqua.
Quanta delusione in 8 portate! Fashion, ma pur sempre delusione. Quanta euforia posticcia tra i tanti tavoli. Quanti centimetri di pelle messi in mostra da giovani ragazze generose nella hall del Bulgari.
Torni a infilare le ciabatte di casa, a sbadigliare in pizzeria, a sognare i ricci di mare che hai mangiato quella volta a Marzamemi.
[Crediti | Immagini: Agnese Gambini]