Dei grandi ristoranti milanesi, il Luogo di Aimo e Nadia è senza dubbio quello più schiscio (termine dialettale traducibile in italiano come “low profile”).
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Non è bello ragionare in termini di stelle Michelin, ma portate pazienza: diciamo per semplicità di voler confrontare il Luogo con gli altri ristoranti due stelle a Milano, Enrico Bartolini al Mudec, Seta al Mandarin Oriental e VUN del Park Hyatt.
E mettiamo in questo elenco anche Carlo Cracco, due stelle fino al 2017.
La differenza salta agli occhi: da un lato ristoranti nuovissimi, ospitati in strutture favolose (un attico all’ultimo piano di uno tra i musei più importanti della città, due hotel di lusso, e un locale straordinario in Galleria Vittorio Emanuele) a confronto con uno spazio piuttosto piccolo in via Montecuccoli 6, quartiere Primaticcio, semi-periferia milanese bruttina.
Secondo, e a mio parere più rilevante: gli altri ristoranti sono una costola di altre attività.
Se Seta e VUN sono asset per le prestigiose catene alberghiere che li ospitano, così potremmo dire che i ristoranti gastronomici di Carlo Cracco e Enrico Bartolini sono le vetrine dei brand personali dei due chef –per altri locali, consulenze, attività da testimonial, eventi. Insomma: il grande ristorante gourmet come strumento di autopromozione per redditi alternativi.
Ne consegue che negli ultimi anni si è parlato relativamente poco del Luogo, aperto dal 1962 da Aimo e Nadia Moroni, e gestito oggi da Stefania Moroni, figlia di Aimo e Nadia, e dagli chef Patron Alessandro Negrini e Fabio Pisani.
Poco ma sempre bene: il Luogo viene considerato un ristorante molto serio, che ha sempre dimostrato con l’esempio molti dei valori di cui tanti parlano, spesso un po’ a vanvera: un’idea precisa di cucina italiana, una vera selezione delle materie prime, rispetto dei produttori e del territorio.
Per farla breve, il Luogo era un po’ il nostro grande ristorante alla francese, non immobile ma nemmeno frenetico, apparentemente capace di sottrarsi alla legge del capitalismo che prevede che “o si cresce o si muore”: e capace di sostenersi da sé, con i suoi pochi tavoli.
E poi, colpo di scena: in pochi mesi una valanga di novità.
Ad aprile 2018 ha inaugurato un bistrot nel centro della città, nello spazio che in passato ospitava un altro ristorante di qualità, il Pane e Acqua; e solo due mesi fa ha aperto Vòce, con vetrine su via Manzoni e piazza della Scala, un ambiziosissimo progetto che prevede tavola fredda, bar e ristorante gastronomico all’interno delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo.
Per mantenere le cose semplici il ristorante avrà sempre un menu degustazione ispirato alle mostre in corso: al momento dell’inaugurazione il Romanticismo, che tutto sommato ancora ancora, certo vorrei vederli alla prova con Giacometti (antipasto: un cece. Primo: niente).
Alla fine il vento del cambiamento ha investito anche il ristorante, ristrutturato e presentato nella sua nuova veste pochi giorni fa.
All’incontro con la stampa, Stefania Moroni e gli chef Negrini e Pisani hanno per prima cosa giustificato la scelta di restare negli stessi locali. “Anche se molti consigliavano di fare diversamente”, hanno deciso di non lasciare via Montecuccoli e i suoi spazi che rimangono piuttosto limitati nonostante la ristrutturazione.
Oltre alla sala principale hanno ricavato uno spazio con cucina a vista e tavolo comune per eventi, serate speciali e attività formative, che hanno chiamato Theatrum. In più, c’è un quadrato esterno grande come una cabina telefonica, stretto e alto, in cui si può fumare: come ha sottolineato Stefania, il ristorante è il luogo dei vizi, fumo incluso; una posizione che ho trovato rinfrescante in una fase storica in cui l’alta cucina assume spesso toni moralizzatori.
A Stefania chiedo le ragioni e le modalità di quello che da fuori appare come un brusco cambiamento di passo: “È vero che nel giro di un anno abbiamo aperto due attività nuove e ristrutturato il locale, ma in realtà ci abbiamo messo 12 anni [da quando Negrini e Pisani sono arrivati in azienda, cioè] per arrivare a oggi: il terreno era pronto, e quando è così è quasi inevitabile che le cose arrivino”.
Il Luogo è insomma la perfetta antitesi del modello sempre più comune di ristorazione che io amo chiamare “Prendi i soldi e scappa”, insomma apri il posto di poke quando fa tendenza, due anni dopo togli la carta da parati in stile hawaiano e fai un’altra cosa.
“Quando hai alle spalle 56 anni di storia, ogni progettualità in termini di tempo e di denaro è completamente diversa. Noi possiamo fare progetti per un tempo lungo, guardando ai prossimi dieci anni” aggiunge Stefania.
“Per dire cose nuove non abbiamo bisogno di cambiare tutto, andare altrove. La nostra storia racconta che si può avere un filo conduttore e mantenere un legame con il passato”.