Bene, signor Federico Ferrero, tocca a lei. Venga avanti.
Presa visione a scopo informativo della sua ormai famigerata stroncatura dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze, esaminiamo lo scritto odierno.
La prova d’esame scritta consisteva nel parlarci sulla Stampa dell’Osteria Francescana alla luce della recentissima proclamazione di Massimo Bottura quale miglior cuoco del mondo nella manifestazione «The World’s 50 Best Restaurants» a New York.
Esaminiamo quindi assieme l’elaborato, tenuto conto che le credenziali esibite (vincitore di Masterchef 3) non depongono a suo favore.
“Forse io non diventerò mai un grande medico, ma Lei sarà uno dei più grandi chef del mondo». Era il 1998, cinque giorni dopo la mia laurea e, con Alessandra, che conduce una delle acetaie più belle della città, cenammo in una piccola osteria del centro di Modena. Impressionato da quella straordinaria degustazione feci chiamare lo chef.
Oggi, quindi, mi emoziona particolarmente raccontare che l’Osteria Francescana è stato incoronato ieri, a New York, miglior ristorante del mondo, nel corso della cerimonia di premiazione della manifestazione «The World’s 50 Best Restaurants (…)“.
Bene.
L’attacco è ben strutturato, e questo le vale il doppio di punti. Non solo perché è interessante l’aneddoto da lei ricordato, il fatto che la buona sorte le ha effettivamente servito su un piatto d’argento senza che lei ne avesse alcun merito, se non essere capitato per caso nel ’98 da Bottura, ma perché un buon incipit è quello che trascina il lettore, quello che lo fa abboccare all’amo e proseguire nella lettura.
Quindi, nel suo caso, possiamo dire che l’attacco del suo pezzo è scritto correttamente e si discosta da tutti i commenti pubblicati in questi giorni da testate e quotidiani, sia cartacei che online, che avevano tutti lo stesso tenore e soprattutto lo stesso attacco, tali da far sorgere il dubbio che fossero stati scritti da un’unica mano e poi fatti circolare tramite il copia e incolla.
Quindi, iniziamo bene: incipit 8, originalità 8 e analisi sensoriale e degustazione per ora non pervenuta. Andiamo al sodo e vediamo il resto, quello per cui si è presentato a questo esame di critica gastronomica.
“Ma primo ristorante al mondo non significa solamente grande cucina. Questo risultato non sarebbe stato conseguito se l’Osteria non fosse giunta a dotarsi di una squadra dove lavorano ai fornelli cuochi giovani e talentuosi, in numero doppio rispetto a quello dei commensali, per realizzare un’impressionante mole di preparazioni, creme, verdure, etc etc..
Ma Massimo non sarebbe Bottura senza l’influenza della moglie Lara Gilmore, che ha arredato i locali dell’Osteria con estrema classe e modernità, e che ha permesso al marito di raffinare il proprio pensiero creativo, introducendolo all’arte e alle sfumature più sottili del bello.”
Ecco, ovviamente non si può stare sempre “sopra le righe” come nell’attacco, e infatti qui scivoliamo nella normale celebrazione dell’interessato, nell’esaltazione – che ritroviamo in tutti i suoi colleghi – del lavoro di squadra, della passione dello staff, dello spirito di sacrificio della squadra, nella retorica trita dell’“insieme si vince” che certo attirerà parecchi lettori dal cuore tenero e dalla lacrima facile, ma che ai fini del mestiere di critico oggettivo e distaccato è meno importante.
E questo è un esame non di letteratura o di retorica ma di critica gastronomica, giusto?
L’elemento di novità da lei qui inserito è l’indicare che i cuochi sono in numero doppio dei commensali, ma anche questo dato può non essere importante ai fini della critica gastronomica, perché non è detto che con due cuochi per singolo cliente il risultato finale sia direttamente proporzionale, ci siamo spiegati, vero?
Anche gli arredi, certo, e la loro valutazione, sono importanti per il cliente e per il successo del locale. Molto meno per il critico gastronomico che recensisce cibo, non tende e divani.
Quindi chiarezza, esposizione, originalità del periodo 6,5, analisi sensoriale e degustazione non ancora pervenuta. E siamo già al secondo periodo.
Passiamo oltre.
“La cifra del gusto all’Osteria Francescana è la tradizione in evoluzione, e ricerca quindi spunti nell’unico luogo dove lo chef è certo di trovarli con solidità e sicurezza: nella memoria della propria infanzia. Il «Ricordo di un panino alla mortadella» ne è l’emblema. (…)
Ma altri ancora sono i riferimenti alla memoria. Il profumo del parmigiano mangiato da bambino è una costante del menu e permane in gola con la sapidità tipica del glutammato, nelle «Cinque stagionature di parmigiano». L’adesività del collagene, contenuto nel grasso cotechino e nel midollo di bue della memoria, vernicia le labbra di un piacere confortante e antico (…).
L’opulenza del rosso d’uovo nella sfoglia tirata a mano dalla nonna e il profumo balsamico, pungente e dolce insieme, dell’aceto già pregiato in una Modena vissuta in calzoncini corti, chiudono e aprono alcuni dei grandi piatti di questo viaggio nel sapore che è solo all’inizio e che porterà ancora lontano questa «cucina della mamma», declinandola al presente e al futuro, come se fosse una raffinata variazione rock di un’antica ninna nanna.”
Se nel periodo precedente siamo scivolati nella retorica, qui ci siamo addirittura cascati dentro, ci abbiamo fatto il bagno, anzi, siamo finiti proprio nella retorica del fanciullino di pascoliana memoria. Sembra di stare in un confessionale! Va bene che il locale ci mette del suo, chiamandosi “Osteria Francescana”, ma il ricordo d’infanzia coniugato col panino alla mortadella sinceramente non si può leggere.
Così come il “midollo di bue della memoria che vernicia le labbra di un sapore confortante e antico”: roba da far rabbrividire persino i denti, si rende conto? E in più, non pago, lei ci ritorna su, con la storia del parmigiano, sempre come ricordo della fanciullezza, e “l’ opulenza del rosso d’uovo nella sfoglia della nonna”: altro che “raffinata variazione rock”, qui Mick Jagger si sta mettendo le mani nei capelli e David Bowie si sta rivoltando nella tomba.
Ma soprattutto per quel che interessa ai nostri fini, cioè la critica gastronomica, essa, pur presente, passa in second’ordine, avvolta nella nebbia di una “narrazione della memoria” di livello non certo eccelso ma soprattutto non richiesto e non utile, anzi, fuorviante.
Molto meglio per un critico gastronomico fermarsi all’analisi sensoriale, alla descrizione dettagliata dei piatti esaminati, della loro composizione e preparazione, sulle sensazioni provocate nel palato allenato del critico.
Lasciamo perdere ricordi d’infanzia e suggestioni letterarie da ragazzetto di prima liceo, buoni per incantare lettori superficiali ma fuori luogo per un vero critico gastronomico che non è certo un articolista de “L’Eco di Castiglione torinese”, giusto?
Ad ogni modo, almeno in questo periodo, siamo passati finalmente ad una vera rassegna e analisi dei cibi e dei sapori dei piatti. Peccato che la stessa sia annegata in questi periodi bucolici da libro Cuore alla mortadella, che fan passare in second’ordine l’obiettivo principale di esporre chiaramente ai lettori la composizione dei cibi, la misura e l’armonia, la tecnica di preparazione e il bilanciamento dei gusti.
Tutto in second’ordine rispetto a quello che pare un melanconico raccontino dell’infanzia perduta invece che la recensione di un critico gastronomico.
Perché lei vuol fare il critico gastronomico, vero, da grande?
O vorrà scrivere veramente per l’Eco di Castiglione torinese?
Insomma, Ferrero, lei promette bene, le obiettive capacità critiche necessarie per questo mestiere non le mancano, così come una discreta favella e relativa capacità oratoria, che però in quest’attività sono secondarie, e mai devono prevalere sulla fredda analisi oggettiva.
Lasci quindi perdere l’eccesso di influenza letteraria da liceale al primo anno, non ceda alla sirena della facile retorica, né a quella di Pascoli rivisitata né, ancora peggio, a quella logora dei cuochi come rock star –che nemmeno quella si può più sentire– e si concentri invece sul pezzo, sull’obiettivo, sul suo mestiere. Che è il critico gastronomico.
Caro Ferrero, quello che vogliamo dirle è che questo non è un esercizio di stile, non è un esame alla scuola Holden di narrazione –che allo stato attuale delle cose non riteniamo che lei comunque supererebbe–, ma un test ai fini di valutare le sue capacità di giudizio in campo eno-gastronomico, per intraprendere il mestiere di critico gastronomico.
Quindi, si decida e, se vuole intraprendere veramente questo mestiere, continui così, ha le carte in regola. Ma lasci stare i raccontini della memoria. Pascoli e De Amicis hanno già dato. E anche meglio di lei, se permette.
GIUDIZIO FINALE
Votazione finale esame critica gastronomica: per descrizione dei cibi, loro analisi, percezione ed esposizione sensoriale: 8
Chiarezza dell’esposizione al netto di influenze della memoria: 6,5
Chiarezza dell’esposizione con influenze narrative e retoriche di bassa lega: 5.
[Crediti | Link: La Stampa, Dissapore]