Che tortura queste repliche al Senato e alla Camera senza alcun accenno ai ristoranti. Mi sento come l’inerme Nanni Moretti di fronte a Massimo D’Alema zittito da Silvio Berlusconi. E non è ancora Aprile, anzi siamo all’alba di un secondo anno devastante, nonché di un nuovo Governo (il terzo) della XVIII legislatura. E io con tutta la buona volontà voglio tifare per Draghi: ora però Mario Draghi, dì qualcosa sui ristoranti. Non ti far mettere in mezzo sulla ristorazione, dai.
Dì qualcosa anche non di sinistra, dì qualcosa di social liberista come piace a te, purché sia sui ristoranti. Dì qualcosa: cincischia, ciurla nel manico, prendi tempo menzionando il sacrificio dei ristoranti in questa “situazione di emergenza sanitaria ed economica mai accaduta dall’Unità d’Italia”, come diresti tu. Purchessia.
Non è necessario promettere mirabolanti ristori ai ristoranti, in questa fase inaugurale, entrando troppo nello specifico delle categorie da guarire. Eppure abbiamo sentito nominare la manifattura, l’insegnamento e la ricerca (grazie Presidente) le imprese tecnologiche, IL Made in Italy, gli appalti pubblici, gli eventi sportivi nazionali e internazionali.
Nondimeno il turismo (settore su cui vale la pena investire, che si riprenderà inevitabilmente, come dice lei), citato ieri al Senato e ribadito oggi alla Camera (qualcuno superficialmente aveva osato riprendere il Presidente per non aver trattato il tema) come ambito da sostenere in questo momento orribile.
Siamo entrati nell’orbita del senso di responsabilità verso l’ecosistema, in un miscuglio di citazioni da Papa Francesco e imprese da accompagnare verso una crescita sostenibile “4.0”, ma non siamo entrati nel merito della grande categoria più colpita. Quella che rappresentando accoglienza e socialità è la più danneggiata da un anno a questa parte e esprimendo intrinsecamente tradizione italiana, territorialità e creatività, meriterebbe quantomeno una citazione.
Categoria più colpita, capro espiatorio e compromesso necessario (quanto non lo stabiliremo certo oggi), simbolo della socialità perduta e principale oggetto dei “ristori” del Governo, ma anche cartina tornasole di un’Italia che nasconde i problemi sotto al tappeto finché si può, il tanto lavoro in nero uscito allo scoperto e la mafia pronta a fare shopping, i ristoranti sono l’emblema del 2020 che è stato e della crisi che sarà.
Mai come in quel 2020 perduto il cibo e la ristorazione sono stati protagonisti, dal piccolo schermo alle rassegne stampa dei quotidiani e su tutti i fronti: economico, sociale, culturale, politico e sociologico.
Eppure oggi non ne prendiamo atto.
Ironico guardare con rimpianto a quel passato recente in cui il cibo era soltanto food e a parlarne in termini politici c’era da faticare per farsi prendere sul serio.