L’annuncio, tradizionalmente, precede di qualche mese quello delle nuove stelle Michelin: Marianna Vitale, del Ristorante SUD di Quarto, in provincia di Napoli, riceve il premio Chef Donna 2020 della Guida Michelin. La chef festeggia così i suoi quarant’anni (è del 1980), andando ad aggiungersi all’empireo delle chef superstar italiane, insieme a chi l’ha preceduta: Martina Caruso del Signum, Fabrizia Meroi del Ristorante Laite, Caterina Ceraudo del Ristorante Dattilo.
I premi genderless: perché non facciamo come il cinema?
Nel frattempo, fuori dalle cucine, il mondo va avanti. Il Festival internazionale del cinema di Berlino, per dirne una, ha annunciato che nella prossima edizione accoglierà la richiesta in ambito di parità di genere ed eliminerà le categorie “miglior attore” e “miglior attrice”.
Il premio sarà uno solo e sarà genderless.
Può essere che sia una trovata per far parlare di sé, in un anno in cui – causa Covid – i colleghi di Venezia sono stati costretti ad accendere i riflettori dei red carpet su Matteo Salvini, l’acne di Giulia De Lellis e l’etichetta del cappotto di Giorgina Rodriguez. Ma la verità è che, in un modo che chiede a gran voce di abbandonare le discriminazioni di genere, davvero non si capisce perché donne e uomini debbano giocare in categorie separate, in ambiti in cui questioni come la forza fisica o l’abilità nell’usare il proprio pene non hanno alcuna influenza. Esattamente come accade nelle cucine, in cui però le donne continuano a far categoria a sé nei premi internazionali.
“È un premio necessario, perché è necessario far emergere la figura delle chef, ribadire che esistono”, disse in un’intervista al Corriere Caterina Ceraudo, la prima chef a vincerlo nel 2017. In effetti, bisogna ammettere che rischiamo di dimenticarcene, visto che le donne chef stellate, in tutto il mondo, sono appena 168, su migliaia e migliaia di ristoranti premiati (oltre duemila solo nei cinque Paesi con più stelle Michelin).
Eppure, da sempre, le cucine sono piene di figure femminili: semplicemente, nella maggior parte dei casi, non comandano loro, e magari è un peccato.
Marianna Vitale: chi è la Chef Donna 2020
Visto che non manca poi troppo al momento in cui la Michelin avrà finito le donne chef da premiare, applaudiamo a Marianna Vitale, vincitrice del premio di quest’anno. Anche perché – bisogna riconoscerlo – Michelin e Veuve Cliquot, per il loro premio, hanno scovato anche quest’anno una chef di grande valore, in cucina come fuori, premiandola per lo “spirito d’avventura, rigore e leadership”, con cui ha “creato un locale che rispecchia la sua personalità”.
Un ristorante guidato da una donna, che prende la prima stella Michelin nel giro di tre anni. A Quarto, in provincia di Napoli, in un luogo urbano e periferico che varrà anche la sosta, ma non è che ci arrivi proprio con l’idea di andare in un ristorante gourmet. Se non vi sembra un’impresa degna di premi.
“Votata religiosamente al culto del cibo, Marianna Vitale considera la cucina “fatica, tenacia, scommessa costante”. Una donna di cultura (“è laureata summa cum laude nel 2004 in lingua e letteratura spagnola con una tesi sul mito del “Convitato di Pietra”, si legge nella sua biografia), che la cultura in cucina se l’è fatta velocemente. Guardando il padre, cuoco anche lui, e la nonna, casalinga napoletana, prima. Con le stagioni formative nelle cucine dei grandissimi (Michel Bras e Quique Dacosta), poi.
Il risultato è una cucina che nasce dal cuore e si evolve in qualcosa di più complesso, senza mai dimenticare da dove arriva. Il territorio, i sapori di casa, la semplicità che porta il cliente a riconoscere un piatto senza troppa difficoltà. La pasta, su tutto. I pomodori, i firiarielli, i calamaretti. Le frattaglie, il capitone e il baccalà, protagonista di un’iconica cheesecake (un antipasto, mica un dolce)
Una cucina verace che le è valsa, ancor prima della stella, una grande attenzione da parte del pubblico e della critica. Anche se, ammette lei, ha faticato a farsi riconoscere come interlocutore, e per fortuna che aveva un socio uomo per riuscire a ricevere attenzione e credibilità da qualcuno. E allora sì, forse, la verità (non troppo allegra) è che la cucina non è il cinema: tra i fornelli le dinamiche cambiano, e probabilmente abbiamo ancora bisogno di premi di genere.