E dopo Londra, Tokyo. La pruriginosa smania di cenare nudi sta prendendo rapidamente piede worldwide, e ora chi la molla più?
Infatti, il ristorante Giapponese “Amrita” (in sanscrito significa immortalità, e ancora dobbiamo scoprire cosa c’entra l’immortalità col mangiare nudi), che aprirà a Tokyo il prossimo 29 luglio, è praticamente una copia dell’ormai noto Bunyadi di Londra, con la sola differenza che i giapponesi, più esteti degli inglesi, hanno vietato l’ingresso a sovrappeso, tatuati e anziani over 60, considerati uno spettacolo non così gradevole per coloro che stanno consumando il proprio pasto.
Ma come è esattamente mangiare al Bunyadi, il primo ristorante per nudisti?
Con l’aiuto di Hannah Betts, giornalista del Daily Telegraph, una delle fortunate che è riuscita ad accedere nel ristorante nudista, vediamo di capire meglio se veramente andare al Bunyadi –per mangiare, specifichiamo– sia un’esperienza che merita.
POSTO
Misterioso. Viene comunicato solamente a chi prenota; per gli altri, basti sapere che il locale si trova nella parte sud di Londra. Il motivo di mantenere un tale segreto –di Pulcinella, in quanto il passa parola è peggio degli smartphone– è ignoto, ma probabilmente avrà a che fare con la salvaguardia della privacy da assicurare ai clienti che andranno a pasteggiare nudi come mamma li ha fatti.
Oppure, più banalmente, per dare un’aura di mistero a questo nuovo tipo di ristorante, chissà. E’ un fatto ininfluente, certo, ma intanto siete stati informati: l’indirizzo non lo troverete in internet.
ACCOGLIENZA
Se siete abituati ad andare al ristorante penserete al solito cameriere che più o meno affabilmente vi saluterà indicandovi il tavolo. Niente di tutto questo al Bunyadi: un tizio barbuto vi chiederà senza tanti complimenti di spogliarvi, in apposito spogliatoio, non solo dei vestiti (che potrete comunque, se volete, sostituire con una semplice e leggera vestaglietta), aspetto abbastanza trascurabile, ma soprattutto di ogni appendice tecnologica alias smartphone.
A questo punto, il compagno della giornalista è andato fuori di brutto e ha preso a calci un (finto) albero di bambù che arredava l’ambiente. Sappiatevi regolare, quindi: se siete social-dipendenti o maniaci del food porn lasciate perdere. Se siete solo porn, se ne può parlare.
CLIMA
Attenzione, non il clima in senso di ambientazione, ma la temperatura dell’ambiente: al Bunyadi si crepa di caldo. Così caldo che non si capisce se il riscaldamento sia tenuto a palla (e non si sa come, visto che il locale rifugge da ogni modernità o tecnologia) perché la gente è nuda o se invece sono i clienti a denudarsi per il caldo insopportabile.
La giornalista riferisce un paragone gradevole che vi farà capire subito di cosa stiamo parlando: dice di sentirsi come in un campo di internamento giapponese. Insomma, scordate arie ventilate e clima gradevolmente fresco. Qui si mangia al caldo. Al torrido, anzi.
AMBIENTAZIONE
Vi siete chiesti cosa voglia dire “Bunyadi”? In hindy significa “naturale, di base”, puro, integro. E tutto il ristorante è ambientato di conseguenza: niente mezzi dell’era moderna, niente telefoni ma nemmeno niente luci elettriche nel locale, nulla che possa farvi ricordare di essere nell’epoca 2.0.
Il che vuol dire cenare a lume di candela, con tavoli di legno e piatti in argilla, e forse, per un ristorante di questo tipo non è nemmeno troppo male.
Peccato che sarete separati dagli altri commensali da semplici divisori di bambù, e così, nudi e sudaticci nella penombra delle candele, avrete modo di constatare con piacere di non essere gli unici a provare un lieve senso d’imbarazzo: lo capirete dal tenore molto formale delle conversazioni altrui, che spazieranno, come in ascensore, dal tempo che farà alla partita di cricket: argomenti molto intimi adatti alla penombra della luce di candela.
FILOSOFIA
No, tranquilli, non stiamo parlando di Massimo Bottura, ma della filosofia che sta dietro al ristorante, l’idea. E qui l’idea non pare di quelle troppo originali o filosofiche, diciamo che Kant era un’altra cosa.
Il concetto di base spiegato alla giornalista da Sebastian Lyall, uno dei fondatori, è abbastanza semplice: tutte le modernità sono il male, si stava meglio quando si stava peggio, “prima”, all’epoca del supercontinente Pangea, eravamo tutti più puri mentre ora il nostro corpo, quello delle donne in particolare, è solo visto come oggetto e la nostra cultura ci ha resi schiavi di stereotipi sul sesso, cosa che poi ci ha portato anche ad efferati crimini a sfondo sessuale (diciamo che il tipo forse si è allargato un pochino).
Insomma, la modernità ci ha levato la purezza.
Nel ristorante, invece, torneremo a riprendere confidenza col nostro corpo e a concepirlo come de-sessualizzato, asettico e puro. Insomma… filosofia da ristorante, ecco.
CIBO
Sopresa: il ristorante non è vegano. O meglio, non è solamente vegano, come ci si potrebbe aspettare da un locale così puro. Infatti, il compagno delle giornalista, per sdrammatizzare la pesante atmosfera creatasi nel locale, pare si sia dato alle facili battute dicendo..”ecco un luogo dove verrano delusi una bella quantità di vegani”.
Ad ogni modo, il cibo è “naturale”, “bio”, generalmente crudo, visto che non è previsto utilizzo di gas o altre diavolerie moderne per cuocere. Pare però ci sia un generatore di corrente collegato ad una bicicletta! Non ridete, è così. Nasce solo la curiosità di vedere in faccia chi sarà piazzato lì sopra a pedalare, poveretto.
PREZZO
Il ristorante ha poco più di 40 posti a sedere, e il pasto vi costerà sulle sessanta sterline, poco più di 70 euro.
Non tante, nemmeno pochissime; ma si sa, per provare l’ebrezza di entrare nell’unico ristorante per nudisti, oltre quello che aprirà a Tokyo, e che oltretutto è anche “temporaneo” (quindi sbrigatevi) non vi sembreranno eccessive, lo sappiamo.
CONCLUSIONI
Dopo tre ore passate al caldo, con il probabile afrore dei corpi altrui che si appropria delle narici, la semi oscurità dell’illuminazione a candele e le conversazioni ipnotiche, la giornalista uscendo all’aria aperta ha avuto una sensazione di leggero stordimento, mentre il suo compagno guardando il ristorante di pollo di fronte le ha più prosaicamente implorato: “per favore, non possiamo andarci “solo” a mangiare?”.
Viene da chiedersi cosa abbia fatto, il povero ragazzo “oltre” a mangiare mentre la dolce compagna era intenta ad origliare le conversazioni altrui. Ma forse un’idea ce la possiamo fare, visto che si è premurato di dire alla compagna: “sai cara, hai il più bel seno che ci sia: fidati, li ho guardati tutti..”.
Hai capito, il puro?
Ma c’è anche un altro genere di conclusioni a cui si può arrivare. Ad altri occhi più disincantati e che hanno provato questa “esperienza culinaria “, tutta la faccenda può sembrare solo l’ultimo, ennesimo affare commerciale, un’astuta questione di marketing.
La lodevole (?) intenzione di de-sessualizzare il corpo? Chi se la ricorda quando tutta l’ambientazione, dalla semi oscurità del lume di candela alla gran varietà di cibi insaporiti con pepe e spezie, sembra invece volerci dirottare verso un semplice e banale voyeurismo.
Un conto poi è avere per vicina di tavolo una coppia di anziani nudisti con il corpo in obsolescenza. Ma come la mettiamo con la giovane cameriera in costume adamitico che avvicinandosi risveglia inesorabilmente e involontariamente i più bassi istinti sessuali? Che sciocchi siamo, anche quelli erano presenti nell’età di Pangea, no?
[Crediti | Link: The Telegraph, Eater, Dissapore]