Il dialetto veneto è da sempre fonte di dileggio: destinati a rimanere ingabbiati in ruoli che vanno alternativamente dall’Alberto Sordi improbabile gondoliere in “Venezia, la luna e tu”, alla servetta Colombina, maliziosa, pettegola, adescatrice e concupita – solo per citare i casi più macroscopici – noi veneti e la nostra lingua siamo da sempre bistrattati. Eppure, se ci si prendesse la briga di andare oltre lo stereotipo, si scoprirebbe che sappiamo guardare al mondo e a noi stessi con spirito di critica, autocritica e ironia e che sappiamo andare oltre il – peraltro già sorpassato – capanon. Qualcuno di noi – Andrea Pennacchi e il suo Pojana – è riuscito a dimostrarlo, portando il Veneto a conquistare la scena nazionale. Anche altri ce l’hanno fatta, in cucina, per esempio, giocando con le parole ma prendendo molto seriamente il discorso attorno al cibo.
Siamo al Local, ristorante 1 stella Michelin a Castello, Venezia. Il modo in cui pronuncerete il nome e il dove posizionerete l’accento dirà già tutto di voi, non appena entrate, definendo un discrimine ma segnando inequivocabilmente un punto per i veneziani. Local, all’inglese e con l’accento sulla “o” è il biglietto da visita di un ristorante i cui piatti vogliono raccontare l’identità di un luogo, delle sue materie prime e di chi qui vive e lavora. Local, con la “a” accentata in veneziano significa locale, offrendo un’accezione in più, che in inglese si perde. Oltre all’aggettivo, qui è il sostantivo a rappresentare un punto di vista in più: un locale, cioè un ristorante, un’insegna. Si gioca sul doppio senso quindi, e poco male se i turisti che varcano la soglia capiscono sono una parte della storia: stavolta noi veneziani ci prendiamo la rivincita.
La storia
A Local si arriva lasciandosi alle spalle Piazza San Marco, e prendendo il percorso che porta verso Castello, in Salizzada dei Greci. Nato nel 2015 da Benedetta e Luca Fullin, fratelli e figli d’arte – la famiglia è proprietaria dell’Hotel Wildner in Riva degli Schiavoni – il Local sin da subito sceglie una direzione precisa, quella di presentare e raccontare storia e tradizione veneziana utilizzando tecniche e sguardo contemporaneo, aprendo a influenze e ingredienti che arrivano da oltre i confini lagunari e che qui fanno ritorno, trasformati. La stella Michelin arriva nel novembre 2021 e apre ad un – breve – periodo di cambiamenti: lascia la cucina Matteo Tagliapietra, lo chef fino a quel momento al ristorante, e passa il testimone a Salvatore Sodano, chef campano con esperienze pregresse nell’alta ristorazione a Londra e, più recentemente a Maiori. Un impasse superato con intelligenza, senza cesure drastiche: i principi ispiratori sono rimasti gli stessi, i piatti sono inevitabilmente cambiati. Non è solo la cucina, tuttavia a fare l’identità del Local: un ruolo fondamentale spetta, in sala, a Benedetta Fullin, volto giovane e fresco dietro cui si nascondono esperienza e polso, capace di rendere semplice la complessità dei piatti, e a Manuel Trevisan, maitre sommelier, competente e attento.
Ambiente e servizio
Le linee del Local sono moderne ma prive di freddezza, pulite ma accoglienti. La prima a catturare lo sguardo è la cucina a vista, che si apre a sinistra entrando. Poi il bancone all’ingresso, la cui plancia è un omaggio al vino nelle piccole listarelle a mo’ di piastrella ricavate da botti di Valpolicella, che portano i segni ed il colore del contenuto.
Il pavimento è il classico veneziano, all’interno del quale sono state inserite 2500 murrine in vetro di Murano, le stesse del logo, che quindi si moltiplica e diventa una leit-motiv. Nelle due sale, i toni caldi delle travi a vista giocano con l’ottanio delle pareti, un omaggio alla laguna nelle sue giornate meno scontate e più complesse. Meritano un’occhiata la cantina fatta a mano, il tavolo “conviviale” nella seconda sala e i due frigoriferi per la frollatura posizionati alle spalle. Il servizio è preciso e molto cordiale. Un appunto sui tempi di attesa tra una portata e l’altra: un po’ troppo lunghi, rischiando di far perdere ai piatti la forza nel tratteggiare un discorso continuativo.
Il menu, i prezzi, la cucina del Local
La cucina del Local si muove da Venezia, guarda alle trasformazioni della laguna, si allarga nell’entroterra, mettendo sullo stesso piano vegetali e carne e valorizzando formaggi che raramente vengono proposti in carta. Spazia lungo il territorio nazionale e si sposta in oriente con ingredienti e preparazioni che giocano con l’umami. Tecniche e lavorazioni (fermentazioni e frollature) rispondono allo sguardo contemporaneo ma non lo fanno per posa: sono piuttosto la volontà di offrire la propria interpretazione e di raccontare gli ingredienti in modo personale, inedito. La mano è misurata e mai condotta all’estremo: su tutto resta la piacevolezza dello stare a tavola.
Il menu vede due 2 degustazioni: 7 portate a 130 euro, 9 a portate 180 euro. Valida la proposta per il pranzo, con 4 postate a 70 euro. La scelta è andata su quello da 7 portate, cui sono stati aggiunti due assaggi di cortesia. Molto indovinata la scelta di accompagnare ogni portata da un “biglietto da visita” che spiega il piatto e in ne racconta il senso o la storia. L’apertura è affidata ad una rilettura dei classici, qui proposti in versione mignon, cui spetta il compito di introdurre il granchio blu, accompagnato da fagiolini e tapioca. Anche qui la riflessione sulle specie aliene ha portato all’inserimento in carta di un crostaceo la cui resa nel piatto è accostabile a quella della granseola. In questo caso, se l’accostamento con la tapioca forse smorza la consistenza del granchio, arrivano i fagiolini e soprattutto il limone candito a riportare il tutto in perfetto equilibrio, segnando anzi un abbinamento – quello tra l’agrume e il crostaceo – decisamente vincente e da appuntarsi. Carnosissimi gli asparagi, con crema di Monte veronese, mandorle e fave, forse uno dei piatti migliori. Pochi gli ingredienti ma portati ad esprimersi al massimo: se da un lato il merito va alla qualità della materia prima (gli asparagi vengono da Be Orto, un’azienda agricola di Zero Branco, nel trevigiano, fondata dai fratelli Bortolato, giovani e assai bravi; il Monte veronese è uno dei formaggi di punta della produzione casearia del Veneto, spesso sottovalutato) dall’altro è tutto nelle mani di chi ha realizzato il piatto. La cottura degli asparagi, scottati, croccanti, vivi, trova sponda nella consistenza vellutata delle creme di formaggio e mandorle, giocando continuamente tra dolcezza e sapidità.
Magistrale il raviolo di faraona con sedano rapa, in cui tutto contribuisce a costruire un boccone dall’identità chiara: dallo spessore della pasta, saporita, alla faraona, cui il sedano rapa arriva a ingentilire il rimando alla campagna. Dal doppio volto il risone di canoce, cicoria ed XO di schie, che chi conosce bene la cucina del Local segna l’evoluzione di un piatto in carta negli anni precedenti. Invece che sul riso, qui la scelta cade su una pasta – dai rimandi d’infanzia, convalescenza o senilità – con uno scarto improvviso al palato che si aspetterebbe la consistenza del chicco di riso. L’effetto straniante è voluto e si rafforza dell’uso della salsa XO, che spinge verso l’umami. Superato lo strato superficiale coperto dalla salsa, ecco riemergere la delicatezza delle canoce e della cicoria, che ritrovano la loro identità. Molto fine la cernia, sottoposta a frollatura, con pinoli e i bruscandoli (germogli del luppolo) a conferire una nota amarognola. Chiude la carrellata l’agnello con cipollotto, nespole e tofu: ottima lavorazione della carne e gli accostamenti, con solo un appunto per la scelta della nespola, leggermente poco decisa.
Notevole l’amazake, pera ed erborinato che non si limita a svolgere bene il ruolo di pre dessert ma che quasi ruba la scena al dessert vero e proprio, un banana bread con un cremoso di riso venere ed amaro alle erbe: se immaginando i sapori non si saprebbe trovare una direzione, al palato essa diventa invece immediatamente chiara, portando dolce e amaro in perfetto bilanciamento.
Opinione
1 stella Michelin, il Local si conferma come uno degli indirizzi di riferimento a Venezia per la cucina fine-dining. La cucina non si limita all’ambiente lagunare ma si muove tra ricerca degli ingredienti e tecniche contemporanee per definire un percorso che vede nelle contaminazioni uno dei suoi tratti distintivi.
PRO
- Carta vini accurata e ottima proposta di aperitivi analcolici
- Pane da menzionare per qualità
CONTRO
- Tempi di attesa dilatati