Ci perdoneranno i fan di Kundera se abbiamo scomodato il suo capolavoro per parlare di critica gastronomica – o presunta tale. Ma l’abusatissimo titolo era perfetto per raccontare quel che succede a una certa narrazione dei ristoranti, in particolare di quelli dove si è mangiato male, e quindi che meritano una recensione negativa.
“Cosa cosa?” direte voi, saltando sulla sedia. “Una recensione negativa? E di che si tratta?”. In effetti è vero, le recensioni negative, sui media nazionali, sono merce rara, anzi rarissima. I motivi sono diversi, e oggetto di continuo dibattito tra gli addetti ai lavori, che spesso giustificano la loro tendenza a evitare le stroncature spiegando che i loro sono consigli gastronomici, e come tali è più utile per il pubblico se sono positivi. Insomma, la filosofia imperante è: se in un posto sono stato bene, lo suggerisco ai miei lettori; se in un posto sono stato male, non ne parlo e stop. Filosofia pure lecita e appunto oggetto di lunghe discussioni, ma che – come sapete – non fa parte della linea editoriale di Dissapore, che è: se in un posto sono stato male, al lettore lo devo dire, perché è a lui che interessa. Questo è grossomodo la premessa che spiega il motivo per cui la maggior parte delle volte e sulla maggior parte dei canali informativi di settore leggerete per lo più recensioni positive.
Ma le eccezioni ci sono, e spesso fanno strabuzzare gli occhi, proprio per la loro rarità. Il giornalista X che stronca il ristorante Y è fonte certa di attenzione e di letture, sia per la sua eccezionalità, sia perché solitamente la narrazione di un’esperienza andata male è più divertente di una in cui si dice che è tutto perfetto. Peccato però che, in questo gioco in cui la critica fa la critica, il ristorante Y sia quasi sempre un posto sconosciuto e dimenticabilissimo, dove il lettore non sarebbe probabilmente mai capitato se non per sbaglio. La sensazione è un po’ che, quando ci si debba sporcare le mani raccontando di esperienze negative, a farne le spese siano sempre e solo locali fuori dai “circuiti gastronomici” che contano.
Ma è davvero rilevante che il giornalismo di settore vi racconti (soltanto) di quanto era scadente il panino di Giggino il porcaro, o la pasta al pesto della tavola calda di periferia, o l’arrosto dell’anonimo ristorante che è lì senza alcuna speranza di un futuro radioso? Noi siamo convinti di no. Anche solo giornalisticamente, se non per correttezza nei confronti dei lettori: che il panino di Giggino (che è un nome di fantasia, e ci perdonerà Giggino se esiste davvero e ha un ottimo chiosco di street food) sia fatto con i wurstel del discount e gli hamburger congelati ci sembra tanto una non-notizia. Per giocare a fare la critica, ci piacerebbe leggere di cene andate male nei ristoranti blasonati, nei posti frequentatissimi e amatissimi da tutti. Perché quelle cene ci sono, eccome. Eppure, in quel caso, è molto più difficile impugnare la penna e raccontarlo ai lettori, che pure si meriterebbero di leggerlo.