In questi giorni mentre riflettevo su quanto fosse angoscioso il momento storico in cui viviamo, mi ripetevo anche che il mercato del “food” raramente offre occasioni di divertissement, all’infuori di bevute, mangiate e sgozzovigliate. Imputo il motivo alla totale mancanza di ironia e di sarcasmo di questo comparto, che non sa perculare e percularsi. Niente meme, poche pagine umoristiche, chef più pronti alla querela che alle barzellette, giornalisti pedanti e puntigliosi (questa sono io). E allora il divertimento me lo sono autoimposto, ma non prometto nulla.
Nel 2021 l’Accademia della Crusca capitolò e inserì una scheda molto dettagliata sull’utilizzo del termine “boomer”, un neologismo semantico, ampiamente sdoganato anche in Italia. Il boomer, si legge, è l’appellativo ironico e spregiativo, attribuito a persona che mostri atteggiamenti o modi di pensare ritenuti ormai superati dalle nuove generazioni, per estensione a partire dal significato proprio che indica una persona nata negli anni del cosiddetto “baby boom”, e cioè nel periodo di forte incremento demografico seguito al secondo conflitto mondiale, tra il 1946 e il 1964.
Ebbene signori, qui oggi potremmo fare la storia con la prima attestazione ufficiale del termine gastroboomer (potete scriverlo pure gastro boomer o gastro-boomer, tanto non vi abbiamo insegnato a mettere l’apostrofo su un po’ figuriamoci se vi insegneremo questo). Ma abbiamo sicuramente bisogno di una definizione per capire cosa sia questo oggetto misterioso, questo vecchiardo del mondo gastronomico. Un critico? Uno chef? Un semplice avventore? Il gastroboomer è in tutte le cose, non facciamo prigionieri.
1. Oltre Facebook non c’è vita
Nel 2022 i gastroboomer sono la fortuna di Zuck perché la mattina si svegliano e navigano su Facebook come Capitan Findus sui bastoncini. Quali forme di vita oltre il dinosauro dei social? Poche, da guardare con sospetto. Hanno un profilo Instagram con 3 foto di cani, 2 di tramonti, e guardano Tik-Tok come una sala giochi per bambini cretini. Intanto lì si fa il futuro, ma a noi che ce frega, abbiamo le nostre arcaiche chat su Messenger, i nostri post polemici, le nostre punteggiature messe a cazzo di cane.
2. Fotografare male
Il gastroboomer viene visto aggirarsi con cellulare iperdimensionato mentre tenta di fotografare piatti con l’obiettivo sporco di risotto alla pescatora. Il gesto tattico prevede l’allungamento supersonico del braccio per contrastare la presbiopia galoppante (“scusame, non ce vedo da vicino”) o il selfie tremulo. Che foto volete che derivino da una tale pratica, se non degli obbrobri, dei piatti vomitati, di cui gli chef farebbero bene a chiedere conto per vie legali?
3. La cucina italiana è la più buona di tutte
Provate a dire a un gastroboomer che la cucina italiana ci sta picconando l’anima, soprattutto per chi in Italia c’è nato e c’era la mamma, la nonna, la zia che cucinava tutti i giorni gli stessi piatti per anni, che non ne potevi più di quel ciambellone, che sia maledetto, di quella cicoria ripassata. Lui no, lui considera le cucine internazionali come sottospecie di una classe eletta che ha donato al mondo la pizza, il prosecco, Anna Moroni e il risotto agli scampi. “Razzista io? Mangio sushi tutti i venerdì!”. Il gastroboomer è rimasto alla prima edizione de La Prova del Cuoco (2 Ottobre 2000) e da lì non s’è schiodato manco per fare pipì.
4. Pacifista di notte, Lady Oscar di giorno
Il gastroboomer ripudia la guerra in tutte le sue manifestazioni ma se gli metti la pancetta nella carbonara, quanto è vero iddio, si fa spedire ad Alcatraz. Per questo dedica ore delle sue intense giornate lavorative al comune di Poggio Salame per rispondere a tutti i commenti dei vegani, dei comunisti e degli abitanti dell’Alto Adige che rinnegano gli antichi costumi della patria. Armato di Talismano della Felicità, crocifisso e calendario di Frate Indovino si aggira per il web lanciando strali contro tutti quelli che insozzano la tavola con intrugli a base di tofu e diete chetogeniche.
5. Sesso, tette e calici di birra
Il gastroboomer dileggia il femminismo ma professa di rispettare le donne. La controprova? “Non ho forse una madre femmina?” Eccolo che associa le immagini di donne provocanti all’Oktoberfest, di modelle tettute ad assaggi di caciocavallo e provolone del Monaco. Esordisce in frasi ricorrenti tipo “il rosè è donna”, “la mano femminile”, e “l’ottima padrona di casa” per imprimere la sua benedizione patriarcale. Gli annali riportano di un articolo in cui per parlare di destagionalizzazione di verdure era stata usata in copertina una rara forma di gnocca adagiata su un gatto delle nevi.
6. Quantità sinonimo di qualità
“Spero sia l’assaggio!” commenta sarcastico il gstroboomer sotto la foto del piatto gourmet dello chef nel suo menu degustazione di 37 portate più dessert e “coccole” finali. “Con questa ci facciamo l’aperitivo” sghignazza facendo tremolare la pappagorgia. Il gastroboomer deve prima di tutto riempire la panza. Poco avvezzo alle marce serrate dell’alta cucina, ma più propenso agli “ottimi rapporti qualità-prezzo”, rifugge le porzioni di pasta sotto i 3 etti.
7. L’amico di tutti
Il gastroboomer è amico di tutti, al vertice della piramide sociale di tutto il carrozzone gastronomico. Conosce uno ad uno gli attrezzisti delle edizioni di MasterChef e vanta in rubrica il numero di tutti i produttori di Frascati Superiore. Ti dice: la prossima volta che vai a cena lì dimmelo, che lo chef è un caro amico. E l’unica volta che gli hai dato retta ti hanno presentato un conto di 20k euro per il pranzo di comunione della figlia. È anche quello che ricircola con la sola competenza di aver firmato 20 anni prima un’unica scheda della guida del Gambero Rosso perché il recensore era in preda a una colica renale.
8. Il premio che conta
Per il gastroboomer c’è sempre un premio assegnato da una qualche giuria di esperti che valga la pena nominare. Si parte da sua signora Michelin e non si sa dove si arriva, alla guida dei migliori affettatori di coppa di Pomezia o al premio alla miglior carta igienica da ristorante. Che si sia mai chiesto il gastroboomer a che servano questi premi, chi li abbia decisi e con quali criteri, è questione oziosa. Quello che conta sono i risultati, per il resto è tutta invidia e Visintin.