L’Angoletto Vino e Cucina a Genzano di Roma: recensione

L’Angoletto Vino e Cucina a Genzano di Roma: recensione

Siamo a L’Angoletto Vino e Cucina a Genzano di Roma, per raccontarvi un posto che merita il viaggio, tra le folcloristiche osterie dei Castelli Romani. La nostra recensione.

Pochi territori del cibo sanno essere più evocativi dei Castelli Romani: il caleidoscopio iconografico che ne abbiamo, da “’r vino de li Castelli” della Società dei Magnaccioni a Nannì (“Lo vedi? Ecco Marino, la sagra c’è dell’uva! Fontane che danno vino, quanta abbondanza c’è”. Etc), ce li tramanda da tempi che percepiamo come immemori come un mitico Paese di Cuccagna, casette fatte di porchetta e alberi di salsicce, uccelli che volano già cotti allo spiedo tenendo nel becco succulente mozzarelle lungo orizzonti color carbonara.

Risultato della suggestione? Una grande sete collettiva che da mezzo secolo e più intasa l’Appia Nuova di romani in gita godereccia fuori porta.

La fiumana di affamati, la sacra legge di equilibrio della domanda e dell’offerta l’ha voluta bilanciare con un accrocco di locali e localetti incollati uno all’altro; in genere dotati di menu turistici e cartelli fluo e di porchette che se la mejo vuoi mangiare, da Romoletto tu devi andare. (Disclaimer: pregasi notare che Romoletto sia nome scelto a caso come emblematico della territorialità e pittoresco, e quindi qualora la fraschetta Da Romoletto si rivelasse essere un locale realmente esistente, a Romole’, scuseme, da te ‘nce so’ mai venuto e mai te criticarei manco pe’ ischerzo, anzi famme sape’ do’ stai e se vedemo presto).

Se questo genere di folklore gastronomico funziona alla grande per le zingarate in compagnia, risulta chiaro anche ai gastronomi di primo pelo che troppo spesso l’apparenza da piccolo mondo antico nasconda prodotti di massa e preparazioni approssimative.

È quindi con cautela e un grano di pregiudizio, o per lo meno senza troppe aspettative, che mi accosto quand’è occasione alle presunte fraschette della zona; ai tovaglioni a quadri di Ariccia o alle cucine che tradizione vorrebbe di bosco e di lago di Rocca di Papa, Castel Gandolfo, Albano.

È con sospetto, quasi, che sono andato a trovare un amico di recente trasferitosi ai Castelli e che aveva promesso di portarmi a cena, la scorsa settimana, a Genzano.

Il ristorante: com’è L’Angoletto Vino e Cucina a Genzano di Roma

L’Angoletto si presenta fedele al nome: è a tutti gli effetti un angoletto. Microristorante da 25 coperti impostato in un’antica cantina di pietra a volte del centro storico del paese, gode di un incantevole dehors pergolato affacciato su piazza Buttaroni.

La sala è decorata con sobrietà, calore e gusto; piacevole come la tavernetta di casa della zia giovane che nel tempo libero lavora a maglia, fa ikebana e decoupage, va a concerti folk rock in acustica e cucina un ragù da paura (spoiler). L’acustica è ovattata e intima, l’illuminazione soffusa e vivace al contempo. Il risultato complessivo è quello del grande classico che non stanca mai, con un tocco personale e pacato. Lochèscion: voto ddieci (cit.).

Scoprirò che il garbo e la professionalità trasmessi dalle mura e dagli arredi si riflettono completamente sul servizio, straordinariamente gradevole, di classe nella sua semplicità.

Come spesso accade, questo genere di naturale eleganza si scopre essere un affare di famiglia: responsabili di sala sono Eleonora e Margherita Pistelli, figlie dell’oste Mauro; al comando in cucina.

Il menu del giorno, aggiornato continuamente, è riportato su due lavagne a parete; il mio amico local dice che non possiamo perderci gli antipasti (Le “Coccole dell’Angoletto”, diciotto euro per due persone). A me, al rintoccare di quelle parole (coccole + antipasti = sfilza di stuzzichi golosi) si scatena un riflesso pavloviano istantaneo, e ordiniamo.

I piatti

Le “Coccole dell’Angoletto” iniziano presto ad arrivare, in una lunga teoria di ciotoline e piatti.

Se la sequenza di antipastini in assaggio è in genere uno dei pièce de résistance delle sedicenti trattorie/osterie tradizionali, nonché parte irrinunciabile del pasto “fuori” per gli italici ghiottoni, accade spesso che la qualità delle entrées si riveli deludente: salumi e formaggi da mensa aziendale, fritti mollicci e unti, zuppe di legumi “di recupero” sono all’ordine del giorno nelle sperlonghe di troppi ristoranti.

Ma all’Angoletto, sorpresa: ingredienti freschissimi e preparazioni precise, tradizionali con una nota di modernità (che non è avulsa contemporaneità, ma una modernità consolidata e rassicurante da copertina di La Cucina Italiana primi anni Duemila): i piatti si susseguono, con grande gusto e crescente meraviglia.

Una vignarola che sa di campagna, le alici marinate col piccante audace e il mare, un’insalata di aringa con cipolle di Tropea e cucunci spinta e sapida e croccante e fresca, i fagioli in umido, il primosale locale con la confettura di cipolle, crostini di fegato, un flan morbidissimo di patate e porri con salsa al tartufo.

 

 

Memorabili le polpettine di lesso, bon bon carico di vapore con punte umami in un guscio croccante, e su tutto la trippa; una trippa che sa d’altri tempi, viscerale al punto giusto, con gli orpelli della preparazione alla romana in equilibrio perfetto a supportare la masticabilità del quinto quarto e la sua complessione aromatica. Quando ho morso i fiori di zucca in pastella, il crunch dev’essersi sentito fin oltre il Raccordo – e ho provato gioia a ricordare un gusto che mi ha fatto sentire bambino, acceso come se lo avessi scoperto appena, dolcezza vegetale, poi la mozzarella filante e il filetto d’acciuga ad aggiungere un pizzico di sale. Infine, una passatina di ceci dall’aspetto non esattamente invitante si rivela colpo da maestro per la chiusura della prima sessione del pasto; servita tiepida e ben pepata, “addizionata” di gorgonzola in un abbinamento originale se non addirittura illuminato: droga.

Colpiscono la precisione e la grazia delle preparazioni, colpisce l’eccellenza delle materie prime stagionali e approvvigionate il più possibile sul territorio immediatamente limitrofo: due domande messe bene e scopro che il patron e oste Mauro è un pezzo da novanta della gastronomia dei Castelli più resistente; con decenni passati tra attivismo slow ed esperienze ai fornelli pregresse presso La Scuderia, sempre a Genzano, e il Pistelli Hostaria Moderna di Grottaferrata.

I primi proseguono a sapere di buono, con un ragù bianco imbattibile sulle tagliatelle (imbattibile: così giusto che, al massimo, lo si può pareggiare; ricco di carne, espressivo di spezia, concentrato, leggero. Dieci euro) e con lo stesso formato declinato in versione campagnola/primaverile, condito con punte d’asparagi, salsiccia e parmigiano (asparagi presenti nel fondo e a pezzi, cotti ma al limite del croccante, in un intingolo dolceverde sustanziato dai sudori succulenti di una carne ottima; euro dieci).

Non gratifica allo stesso modo, purtroppo, il rigatone con la pajata legata a mano (dodici euro); che manca un po’ di mordente e di “materia prima”, ossia delle preziose ciambellette di intestino di vitello legate a mano e ripiene di chimo che, nel piatto, si contano sulle dita di una mano; nascoste in un sugo anche un po’ lento. Il mio amico habitué giura che è un caso e che ha memorie di livello diverso, per me l’assaggio è stato da sufficienza e fino a questo punto unico scivolone della cena: dato che per il resto finora ho sognato tornerò a provare, giudizio sospeso, per l’esame di pajata rimandati a Settembre.

Proseguiamo con una saporita guanciola di manzo brasata (12 euro), irrorata col suo fondo, guarnita con le sue patate e cucunci. Momento un po’ scolastico della cena, per quanto godereccio e soddisfacente il risultato è penalizzato da qualche boccone non scioglievole come ci si aspetterebbe.

Saltimbocca alla romana (10 euro) preparati alla perfezione con un prosciutto che era quasi un peccato cucinare, croccanti di crosticina e vellutati al tempo stesso, la salvia ben rosolata fresca di giardino, il burro copioso ma non obnubilante; profumati di pepe, percepibile la spinta acida del vino.

In chiusura una zuppa inglese che spinge sull’alchermes (5 euro), un dolce “da grandi”, audace al punto di infastidire i non amanti dell’etilico. La netta spinta alcolica sovrabbonda la ricchezza della base ben composta e ben dosata, del pan di Spagna, della doppia crema pasticcera, della meringa all’italiana brunita al cannello. Non perfetta ma decisamente buona (un po’ di liquore in meno e sarebbe scattato l’effetto-Proust), è il genere di punto d’accesso tramite cui probabilmente i nostri genitori e nonni si avvezzavano sin da bambini ai piaceri dell’ebbrezza.

Conclusioni

L’Angoletto è un’oasi sicura nel marasma dell’offerta ristorativa dei Castelli Romani, “tipico” con tecnica e con gusto, dall’indiscussa identità artigianale.

I piatti mediamente molto buoni, antipasti in primis, fanno leva su materie prime eccellenti e contadine e sulla passione dell’Oste, che diventa abilità.

Si registrano nel menu, di rotazione quotidiana, picchi sia in positivo che in negativo: neanche gli episodi meno fortunati, però, deprimono la soglia di gradimento complessiva che al netto di perdonabili sbavature (poche) rimane molto alta.

La sala deliziosa, accogliente e calda, e il bel dehors pergolato completano l’esperienza accordandosi a un servizio professionale quanto familiare nel senso migliore del termine; e consacrano l’osteria come indirizzo straordinariamente solido per tutte le voglie di fuori porta romano.

È un posto in cui si sta bene: aggiungiamo all’elenco dei lati positivi il fatto che i prezzi siano più che abbordabili in relazione alla qualità offerta, e saremo stati benissimo.

 

Informazioni

L’Angoletto Vino e Cucina

Indirizzo: Piazza Vittorio Buttaroni 6, Genzano di Roma (RM)
Numero di telefono: 06 939 1119
Orari di apertura: Martedì – Sabato: 12 – 15, 19.30 – 23, Lunedì 19.30 – 23.
Sito Web: https://saporidigenzano.it/place/langoletto/
Tipo di cucina: romana dei Castelli, con brio
Ambiente: familiare chic
Servizio: cordiale e professionale

Voto: 4/5