Siamo al Lambiczoon di Milano, locale di primissimo rilievo della scena artigianale italiana che, incentrato sulle birre acide fin dalla sua apertura, ancora oggi si distingue per proposta gastronomica. La nostra recensione.
Genesi di una scommessa vinta
Quando nel 2013 si vociferava che Nino (al secolo Antonio Maiorano), già deus ex machina dello Sherwood Pub di Nicorvo (PV), si sarebbe trasferito in terra meneghina, zona Porta Romana, per aprire insieme ad altri soci (tra cui Alessandro Belli dell’Arrogant Pub di Reggio Emilia) un pub dedicato alle fermentazioni spontanee, le reazioni di appassionati ed addetti ai lavori furono come sempre le più disparate.
“È ancora troppo presto per un locale così di nicchia”, oppure “Un visionario, chiuderà nel giro di un anno”, e tra quelli che ci credevano si diceva “Se non lo fa lui un locale del genere, chi?” e “Vedrete, tra qualche anno ci ritroveremo a dargli ragione”.
Io mi posizionai a metà, un po’ perché conoscendo bene Milano non ero sicuro che il suo bacino d’utenza sarebbe stato il giusto volano per questa avventura imprenditoriale, ma allo stesso tempo era chiaro che non ci si trovava al cospetto di publicans sprovveduti, bensì di professionisti seri e preparati.
Nino Maiorano, gestore di lungo corso, fu tra i primissimi a proporre in Italia le fermentazioni spontanee belghe. Ha avuto il merito di saper tessere negli anni una fitta rete commerciale, e di amicizia, con i più grandi produttori di birre acide, specialmente Cantillon, ed a distanza era lecito che iniziasse a coglierne i frutti. Nasce così il Lambiczoon, e da come lo abbiamo trovato è in forma smagliante, è vivo e lotta con noi (cit.). Alla faccia di ristoranti e locali milanesi che aprono e chiudono senza avere il tempo di cambiare un menu stagionale, “il Lambic” è diventato un riferimento per gli appassionati di birra artigianale e non.
Il locale, le birre
Il Lambiczoon si sviluppa su due piani, con un piccolo dehors che dà direttamente su Via Friuli, per un totale di circa 60 coperti. L’ingresso è sala principale del locale, dove troneggia il nero cancello di Mordor, il bancone, che ospita le 12 vie. Al netto di quello, imperante, austero, elegante, il resto del locale è piuttosto anonimo e cupo; un po’ di colore aiuterebbe.
Il frigo delle bottiglie è un pozzo senza fondo dove perdersi a cercare tra le oltre cento referenze da tutto il mondo, ma soprattutto dal Belgio; non è raro incappare in qualche mosca bianca che neppure i birrai stessi si ricordano di aver realizzato.
La forbice dei prezzi è piuttosto ampia, ci sono bottiglie accessibili, ma si può arrivare anche a cifre importanti, che è comprensibile facciano storcere il naso ai più, ma è soprattutto in queste tipologie di prodotti che la reperibilità e il mercato che ne consegue ci hanno abituati a veleggiare sempre oltre un certo prezzo, specialmente quando si parla edizioni limitate.
Personalmente considero questa cornucopia acida un plus, un valore aggiunto al quale attingere per chiudere (più o meno trionfalmente, a seconda dello stappo) la serata, dopo aver provato la selezione di birre alla spina.
Già, le spine. In questi anni di frequentazione, e così anche nella mia ultima visita, ho sempre trovato una selezione molto ben calibrata e con birre sempre in ottime condizioni. Le spine sour, mai meno di quattro o cinque, sono sempre e comunque meritevoli: meritano spiegazioni, assaggi plurimi, meritano sempre. Al mio ultimo passaggio ho provato la Lily Rosè di De Garde (USA), wild ale con aggiunta di uva tempranillo e passaggio in legno. Naso di melograno e fragola, in bocca acidità e astringenza tenute al guinzaglio, per terminare con un retrogusto di rabarbaro; interessante bevuta che non mi ha fatto gridare al miracolo.
Spostandomi su altre tipologie e muovendomi verso la Germania ho infilato una tripletta dei miracoli con gose di Ritterguts, alt di Uerige e lager di Knoblack. LA gose da Lipsia , prodotta con aggiunta di sale , con la sua nota sapida che invoglia continuamente la bevuta.La seconda da Dusseldorf , una caramella mou fatta leggermente tostare a mo’ di marshmallow, che a detta di Nino, presente al bancone “va giu’ come un proiettile”, e quindi ne bevi una, anzi due, facciamo tre (cit.). La terza, direttamente dalla regione della Franconia, semplicemente….birra , spogliata di qualsiasi orpello, ma perfetta.
Insomma, ho iniziato a canticchiare Space Oddity di David Bowie.
Il resto della selezione, solitamente, verte su birre di stampo inglese e americano, sia italiane che straniere , e qualche inserimento di birre belghe non sour. L’unica birra sempre presente è la Rodersch del birrificio comasco Bi-Du, un prodotto che ormai tutti gli appassionati italiani conoscono benissimo, interpretazione dello stile kolsch tipico della città di Colonia. (talmente sempre presente che, a questo giro, non c’era).
La cucina: il menu, piatti
Per capire in che campionato gioca il Lambiczoon, in quanto a offerta culinaria, basta aprire il menu sulla paginetta che elenca i taglieri disponibili, dove gli occhi di qualsiasi gourmet italiani strabuzzano facile vedendo i formaggi caprini del Boscasso e i salumi di Bettella.
Qualità signori, qualità: non mi viene altro da pensare quando provo e trovo sempre eccellente la carne della Macelleria Brarda con cui vengono preparati i burger. Ora immaginate: carne super, ingredienti complementari di primissima scelta, abbinamenti di sapori sia per affinità che per contrasto, morsi succulenti, pieni, felici.
Basta questo per fare di un hamburger un grande hamburger? No.
Perché se è vero che a Piacenza è ormai #crisipisarei, e i grandi ristoranti stellati soffrono la #crisiproteine, con pietanze a base di carne spesso non all’altezza dei passaggi precedenti, i pub italiani spesso si arenano sul pane.
Non il Lambiczoon.
Il pane usato è una nuvola, leggera e croccante, che tiene il peso della farcitura, che non si sfalda alla base dopo aver assorbito i succhi di cottura.
Ne ho trovati pochissimi allo stesso livello.
Penso al Fugg da Fogg con caciocavallo, rucola, pomodorini e olio evo, ed è subito estate in una masseria pugliese.
Oppure allo Smoked, affumicato al momento con sigaro toscano, con speck di pancetta , maionese all’Ardbeg, caprino e insalata: ad ogni morso mi sentivo come Homer Simpson quando mangiava in lacrime Pizzicotta.
Anche sui fritti c’è un bel lavoro, con a rotazione new entries come le polpette di cavallo.
Frittura esemplare, carne praticamente assente di speziatura, per gustarla in tutto il suo sapore originale.
Completano l’offerta piatti freddi sia vegetariani che di carne , e classici dolci al cucchiaio.
I prezzi
Le birre alla spina (in formato variabile da 0,30 a 0,50) presentano prezzi modulati a seconda della tipologia, ma in linea di massima si parte dai 6 euro per una 0.50 di lager e si sale, via via che si alza l’asticella, soprattutto sulle sour beers.
Fritti da 4 a 7 euro, burgers da 8 a 15 euro, piatti freddi a 9 euro, taglieri da 14 a 15 euro, tartare a 12 euro, dolci da 5 a 6 euro. Sicuramente non un locale economico (nemmeno parlando di pub dedicati alla birra artigianale, sia chiaro ai neofiti), ma la qualità, che troverete, anche nel servizio, giustifica i prezzi.
Informazioni
Lambiczoon
Indirizzo: Via Friuli 46, Milano
Numero di telefono: 02 3653 4840
Orari: Sabato 12.30/2.00, tutti gli altri giorni 18.30/2.00
Sito web: lambiczoon.com
Ambiente: moderno
Servizio: eccellente per tempi di cucina e preparazione del personale al bancone
Impianto: 12 vie (9 spine e 3 pompe)
Cucina: da pub di alto livello
Voto: 4,5/ 5
[Foto: Alessandro Maggi e Chiara Cavalleris per Dissapore]