Parlando di ristoranti, non c’è strumento di valutazione sintetico, efficace e popolare come la stella Michelin.
Il mondo guarda le stelle, solo un minuscolo novero di addetti super-specializzati sa dirti quanti cappelli, forchette, gamberi, sorrisi abbia un locale.
[In quale dei 9 ristoranti 3 stelle Michelin andreste per primo?]
Quando ancora la guida era esclusivamente una guida al servizio degli automobilisti –per i quali è nata nel 1900– dava una motivazione empirica all’assegnazione dei macaron (nel senso delle stelle).
Un’attribuzione molto chiara: una stella, è un posto che vale la sosta; due, vale la deviazione; tre, vale il viaggio. Mi piace questa metodologia, è per nulla gourmet, del tutto popolare e comprensibile.
In sostanza significa: “quanto sei disposto a sbatterti per andarci?”
Il problema di tutti i giudizi sintetici, è che confronta le mele con le pere.
E dunque un esercizio con una stella è indubbiamente un posto che vale la pena di essere provato e in cui si starà bene, ma il solo asterisco tace della sua natura: può essere una sosta di antica eleganza, tutta sussiego, boiserie, salse e tradizione oppure una destinazione iper-moderna, essenziale negli arredi, audace nella cucina.
[Cosa pensa davvero Carlo Cracco della guida Michelin?]
E le differenze non finiscono qui.
Ci sono monostellati in cui trionfa l’effetto wow e altri piuttosto appannati, quelli che costano 50 euro e quelli che costano 200, quelli elegantissimi e quelli francamente brutti.
È un po’ come una guida ai film che dia i voti in stelle, per cui hanno il massimo punteggio sia “Quarto Potere” di Orson Welles che “Gran Torino” di Clint Eastwood, ma non sono esattamente la stessa cosa.
A me le stelle vanno benissimo così, e non sta certo a me insegnare niente alla più grande guida del mondo.
Ma da cliente ho bisogno almeno di un’informazione in più, che peraltro la Rossa dà: se stiamo parlando di una stella “tradizionale” o di una stella “moderna”, cioè se un locale è più orientato alle buone, vecchie cose molto ben fatte o a sperimentare territori ignoti, con gli entusiasmi e i rischi che ne derivano.
Perché se ti aspetti Tarantino e ti trovi Bergman –o viceversa– ti rovini la serata.