Dopo lo strapotere dei paesi nordici (l’anno scorso il podio era stato Norvegia – Danimarca – Svezia) è stata la Francia ad aggiudicarsi finalmente il “suo” Bocuse d’Or 2021. Un premio ambito – da alcuni paesi più che da altri, a essere sinceri – capace di seguire regole sue, totalmente separate da quelle degli altri premi gastronomici internazionali.
Tanta tecnica, capacità di improvvisazione e creatività caratterizzano una prova altamente performante, che prevede di realizzare in 5 ore e 35 minuti di tempo un piatto e un vassoio indicati. Una sorta di Mistery Box dell’altissima cucina, molto adrenalinica e un tantino accademica nell’impostazione, caratteristica che ne fa, di tanto in tanto, l’oggetto di chi critica i risultati per un eccessivo classicismo e manierismo.
Ma d’altronde è a Paul Bocuse che il premio è dedicato, dunque ne conserva in qualche modo lo spirito, grandissimo e intatto nel tempo.
Un premio – dicevamo – forse divisivo come pochi altri: amato e odiato, ambitissimo da alcuni paesi e un po’ snobbato da altri. Per capire quanto possa essere importante per alcuni, basti pensare che a festeggiare la vittoria del team francese c’era il presidente della Repubblica Emmanuel Macron in persona, mentre in Italia è forse considerato un premio per addetti ai lavori. Alla fine questa è davvero la coppa del mondo della gastronomia mondiale, ma lo è per qualcuno più che per altri. E la differenza è chiarissima, risultati alla mano. Per vincere il Bocuse d’Or, un po’ come accade per le Olimpiadi sportive, non c’è bisogno solo di talento: serve soprattutto il denaro e l’appoggio dello Stato, o di uno sponsor, che permetta al team nazionale di allenarsi tutto l’anno per affrontare al massimo le cinque ore di gara. E non tutti ce l’hanno.
La classifica
Di certo ce l’ha la Francia, che il Bocuse non solo l’ha inventato, ma che lo considera davvero il massimo riconoscimento possibile per la sua cucina. Francia che non riusciva a vincere dal 2013, più o meno da quando ai vertici di questa e di altre competizioni gastronomiche si è improvvisamente imposta la cucina nordica (che al Bocuse, bisogna dirlo, è sempre andata molto forte).
Quest’anno, la squadra francese, capitanata da Davy Tissot ha vinto davanti a quella danese di Ronni Mortensen e a quella norvegese di Christian Andre Pettersen. E, detenendo ancora per un po’ il riconoscimento del miglior ristorante del mondo alla 50 Best (il Mirazur di Colagreco), possiamo forse dire che la Francia stia ribadendo con forza il suo ruolo, storico e contemporaneo, nella cucina internazionale, se mai ce ne fosse stato bisogno.
L’Italia: male ma non malissimo
Dopo aver vinto la Coppa del Mondo di pasticceria, qualcuno probabilmente ci aveva sperato. D’altronde, questo pare essere l’anno dei miracoli tricolore, in fatto di competizioni internazionali di vario genere. Invece, al Bocuse d’Or l’Italia si piazza a metà della classifica, conquistando un dolceamaro decimo posto (su 21 finalisti in gara). Non esattamente un risultato notevole in assoluto, ma che andrebbe analizzato sotto almeno due o tre punti di vista.
Il primo è che si tratta di uno dei miglior piazzamenti di sempre per la nostra squadra al Bocuse d’Or (se si fa eccezione per il quarto posto ottenuto nel 2001). Dunque, tutto sommato, la squadra composta da Alessandro Bergamo (ex sous chef di Carlo Cracco), Francesco Tanese e Lorenzo Alessio si è difesa a Lione. E lo ha dimostrato con un vassoio dal concept interessante, ispirato al lavoro vegetale di Enrico Crippa (“Il Giardino Biodinamico”) e con un piatto a tema take away (una trovata originale per ricordare i duri mesi del lockdown) dal titolo “Viaggio verso la grande bellezza” e con protagonista assoluto quello che forse è l’ingrediente italiano per eccellenza, il pomodoro.
Al di là dei contenuti, che sembrano notevoli, c’è da considerare quel che dicevamo prima, e cioè che non tutti i Paesi credono e investono allo stesso modo su una competizione che può essere vinta solo da chi ci crede e ci investe. Qui non si tratta (solo) di cucinare meglio degli altri, si tratta di gareggiare, proprio come farebbe un campione olimpico. E senza il sostegno di qualcuno che ti permetta di dedicarti allo sport, facendone il tuo lavoro e allenandoti con l’esclusivo obiettivo della competizione, non ci sarebbe nessun Marcell Jacobs a fare i miracoli.
Dunque, se vogliamo vincere di più, forse dobbiamo investire di più sui nostri talenti. Altrimenti, lasciamo che gli altri si prendano i vertici delle competizioni gastronomiche. Abbiamo tempo fino al 2023 per cambiare idea, vediamo se ce ne sarà occasione.