Domino’s pizza in Italia non c’è più: è svanito alla chetichella, chiudendo uno alla volta tutti i punti vendita, e infine rendendo non funzionanti il sito e l’app; ma senza un annuncio ufficiale, senza chiarezza anzi lasciando molti clienti con ordinazioni effettuate e non consegnate, e infine negando fino all’ultimo sui social lo stato dei fatti, e promettendo riaperture a breve. Se ne va il sogno americano di una pizza pop consegnata comodamente a domicilio, e s’intuisce anche il perché: il delivery, che appena ieri era il futuro, oggi è il presente se non il passato. Ma forse non è tutto qui.
Nei giorni scorsi qualcuno ha riportato la notizia della chiusura di Domino’s: le pezze d’appoggio erano reperibili nientepocodimeno che sullo stesso sito di ePizza, la società che gestisce in franchising il marchio Domino’s per l’Italia. A guardarci meglio però c’è qualcosa di strano: il documento riporta una istanza di ePizza presso il Tribunale Fallimentare di Milano, e la risposta interlocutoria dello stesso tribunale. Ma la richiesta non è di procedura concorsuale, bensì di “misure protettive” del patrimonio: in pratica, la società visti i debiti che non riesce a pagare, chiede che i creditori non possano farla dichiarare fallita o attaccarne il capitale con misure esecutive (si può fare, lo permette un decreto legge del 2021 in materia di protezione delle aziende). Inoltre, l’istanza è del 1 aprile 2022 e la risposta del Tribunale – che chiedeva un’integrazione dei documenti in tempi rapidi – di una settimana dopo. S’immagina che nel frattempo la cosa sia andata avanti da un punto di vista giudiziario, e per questo cercando fonti ufficiali abbiamo atteso un attimo prima di dare la notizia. Non abbiamo però ottenuto risposte né dall’agenzia di comunicazione di ePizza-Domino’s Italia (che non lavora più per loro da tempo), né al momento dagli avvocati di parte, né dai canali social di Domino’s.
La sostanza, però, è quella: basta farsi un giro nei commenti della stessa pagina Facebook di Domino’s, o provare a fare un’ordinazione dall’app o dal sito. Molti punti vendita sono stati tolti dalla mappa, altri ci sono ma risultano non operativi, altri ancora cliccandoci su prendono ordinazioni solo fino al 29 luglio (?!).
La nave pare senza timoniere insomma, e forse anche senza equipaggio. Ciononostante, nell’istanza al Tribunale di aprile si parla di protezione del patrimonio proprio finalizzata a un futuro imminente rilancio. E ancora un paio di settimane fa, sotto all’ultimo post Facebook datato 13 luglio, l’account rispondeva colpo su colpo ai clienti che lamentavano delle chiusure in varie città assicurando: “speriamo di tornare presto”, “we’ll be back”, “soon” eccetera.
Ma dai commenti sembra proprio che non sia andata così: tutti segnalano punti vendita chiusi, anche quelli non dichiarati ufficialmente; e qualcuno ancora sta aspettando un ordine effettuato una settimana fa… Naturalmente da qualche giorno anche l’account Domino’s non risponde più, mentre qualcun altro insinua riferimenti a comportamenti poco corretti anche nei confronti dei dipendenti: “Quindi tutte le creste che avete fatto su Rol, ferie e i giochini con le buste paga non sono bastati?”.
https://www.facebook.com/dominositalia/posts/pfbid0tYwqqZrc5ThJk44ykf8nmcEum932FZKD81SuSnEgpwrN8SNSWxEDdwfM3Qx5nBMDl
L’avventura di Domino’s Pizza Italia si avvia così a una fine triste e silenziosa: come spesso avviene nel settore food, le aperture sono in pompa magna e le chiusure col favore delle tenebre. Ripercorrendo la breve storia di ePizza, che ha portato Domino’s in Italia, si possono capire però un po’ di cose. È una storia riportata dalla società stessa con dovizia di particolari nell’istanza presentata al Tribunale di Milano: dalla costituzione della società a inizio 2015 all’ottenimento del franchising del noto marchio a marzo dello stesso anno, dall’apertura del primo punto vendita a Milano nell’ottobre 2015 all’espansione con 10 pizzerie nella stessa Milano, dall’apertura in altre città italiane come Roma, Bologna e Torino fino all’acme di inizio 2020. Subito prima della pandemia Domino’s Italia ha 29 “pizzerie”, 23 in gestione diretta e 6 in sub-franchising. Tra gli ideatori, co-fondatore e CEO è Alessandro Lazzaroni, manager area food di lungo corso, che a fine 2020 passerà alla guida di Burger King Italia e da poco ha lasciato il fast food Usa per prendere le redini di Crazy Pizza di Briatore.
Due anni dopo, i numeri sono simili anche se la composizione è leggermente diversa e risente delle crisi già iniziata: 11 punti vendita a gestione diretta, 13 in sub-franchising e 3 in affitto. Ecco, la crisi: la ricostruzione interna la attribuisce alla pandemia, con le prolungate restrizioni e chiusure da un lato, e la concorrenza sul campo del delivery dall’altro. Insomma ePizza sembra dire: prima eravamo solo noi a fare le consegne a domicilio, ora che si sono messi a farle tutti ci hanno mangiato fette di mercato.
E però. Da una parte si potrebbe ribattere che Domino’s avrebbe dovuto sfruttare il vantaggio di chi ha occupato per primo un settore e ne padroneggia la tecnologia, se fosse stato in buona salute e con ottima reputazione sul mercato a inizio pandemia. Ma soprattutto, si può notare una cosa, rileggendo con attenzione i numeri: 29 punti vendita al culmine del successo, e dopo ben 5 anni di attività, non raccontano certo di una cavalcata trionfale. Per una catena industriale che ha i suoi punti di forza nella diffusione capillare e nei numeri alti, sono cifre modeste: si pensi che una catena locale come Pizzium è arrivata a 31 pizzerie, e nomi storici di nascita artigianale come Sorbillo viaggiano poco sotto i 20 locali. Insomma Domino’s avrebbe dovuto spaccare tutto, ma così non è stato: la pandemia non c’entra, è solo una scusa, il flop era precedente. Perché?
Si potrebbe concludere semplicemente che “queste cose da noi non funzionano”: c’è del vero ma non è sempre vero, McDonald’s da decenni e Starbucks da poco lo insegnano. Certo non siamo l’America, la maggior parte della ristorazione è ancora in mano a imprese singole e non a catene e grandi marchi, però non è detto che non funzioni a priori. Forse il punto è proprio nello specifico della pizza: come abbiamo avuto modo di raccontare, le differenze tra Italia e Usa sulla pizza non sono solo di gusti – il problema non è l’ananas insomma – ma di concezione e struttura, sia da parte dei venditori che della clientela. Peccato però: la pizza di Domino’s ci mancherà (lol).