Negli ultimi anni, complice anche la pandemia, la crisi climatica e il ripensamento degli stili di vita (talvolta purtroppo, più a livello teorico che concreto) la cucina vegetale si è fatta strada nella ristorazione. Quale ristorazione? Un po’ tutta, da quella delle trattorie a quella più contemporanea dove, vecchia logica vuole, c’è almeno un piatto veg per ogni capitolo del menu, e poi infine anche nel fine-dining dove la presenza dei vegetali si è scontrata con l’idea di un cibo di lusso, creativo e costoso, costoso perché creativo.
Quale cucina vegetale?
Difficilissimo dire da quale parte della catena parta questo movimento. Di sicuro le insegne della ristorazione più gourmet pur essendo avvicinate da un pubblico molto ristretto, sono guardate da un numero ben più vasto di spettatori. Così il giorno in cui Daniel Humm annunciò che Eleven Madison Park avrebbe riaperto con un menu 100% vegano, tutto il mondo che ha tempo di occuparsi di queste cose ne parlò e fu sicuramente un esempio, un caso-studio interessante per cuochi e cuoche sparpagliate nei vari continenti. A casa nostra è marzo 2022 quando arriva l’annuncio di Niko Romito (in un modo ben più coerente con la cucina portata avanti da anni, che aveva sempre avuto parecchi piatti vegetali) di riaprire il ristorante Reale con un menu vegetale.
Allo stesso tempo però, almeno in Italia, la cucina vegetale è sempre stata una parte attiva della tradizione regionale e popolare. Si tratta quindi piuttosto di un meccanismo di ri-scoperta o di inter-influenza che tocca tutti questi mondi. Dietro i corner vegani dei supermercati, il menu di Daniel Humm e i ristoranti agli angoli delle strade c’è probabilmente la stessa mano e la stessa testa, ma i ruoli di potere e l’influenza sono diversi, difficili da distinguere.
Il costo della cucina vegetale
Ecco che dunque si pone una questione molto pratica: questa cucina vegetale, plant-based e meat-free deve costare di meno? Posso pagare la stessa cifra un menu senza ricci di mare, ostriche, carni e pesce pregiate? La risposta giusta, come in ogni caso è: dipende. Se da un lato a un primo sguardo la carne e il pesce costano più di una carota (almeno, così dovrebbe essere) l’equazione non è del tutto logica e altri fattori intervengono a definire perché non è detto che un menu vegetale costi sempre di meno di uno “onnivoro”.
Partiamo dalla mia esperienza personale. Nei ristoranti di alto livello quando si richiede espressamente un menu vegetariano (se disponibile), e non è presente già sul menu come opzione a parte, si paga essenzialmente la stessa cifra del menu a degustazione. Sono abbastanza rari i casi in cui vengano offerti prezzi differenziati se il menu è su richiesta. Altro caso che può capitare, riguarda i menu delle occasioni. Nella ristorazione metropolitana è sempre più facile trovare anche menu festivi (ad esempio Natale o Capodanno) con prezzi al ribasso per la cucina vegetale. In terzo luogo quando si affrontano piatti singoli, in qualsiasi tipo di ristorante, è più visibile il cambio di prezzo, e di solito una panzanella non costa mai come un secondo di carne. Quello che è importante dire quindi, per rispondere al quesito iniziale, è che dipende molto da dove ci si trova.
Più costoso o meno costoso?
Collegato a questa risposta c’è anche il concetto della lavorazione e del food cost. Non è peregrino (anzi un po’ ovvio) dire che il prezzo di un piatto è determinato da un insieme di fattori che non comprendono solo il costo della materia prima. Ma anche i tempi di lavorazione, le risorse e gli strumenti impiegati per realizzare il piatto nella sua complessità. Da questa prospettiva, una carota necessita di una lavorazione e di un impegno molto più faticoso affinché diventi un piatto interessante, nuovo. Stesso dicasi per tuberi, radici e foglie. Quella di far pagare le tipologie di menu nello stesso modo alla fine appare quindi come una scelta “complessiva”. Ma come abbiamo anticipato, in questo non c’è una regola. Io personalmente non mi sento raggirata se pago la stessa cifra di un menu degustazione qualsiasi per i miei piatti erbivori. Purché nel realizzarli osservi la stessa dedizione che vedo altrove.
Esempi pratici made in Italy
Facendo qualche esempio pratico, al ristorante Reale di Niko Romito oggi il menu vegetale (l’unico disponibile a degustazione) costa 170 euro. Romito commentò dicendo che questo era “un costo che non arrivava dalla materia prima ma dalla ricerca, tantissima”. I suoi piatti possono avere anche lavorazioni e maturazioni di giorni (nel video riportato, la verza matura per 7 giorni, per dire). Da Retrobottega a Roma, dove il menu vegetale di Alessandro Miocchi si affianca a quelli carnivoro, i prezzi sono identici: 110 euro a persona, ma nel menu vegetale troviamo anche tantissima autoproduzione, nonché la raccolta periodica di erbe spontanee fatta direttamente dalla cucina. Difficile dire che questo impegno non abbia un costo.
Facciamo qualche altro esempio anche di senso opposto: da Chic Nonna Vito Mollica propone un menu “normale” a 150 euro e un menu vegetale a 135. Presso il Luogo di Aimo e Nadia a Milano, gli chef Negrini e Pisani propongono un menu Territori da 280 euro, un menu Percorsi d’inverno da 240 euro, e un menu Orto da 220 euro. Al Ristorante Inkiostro il menu Inkiostro costa 160 euro, quello Clorofilla vegetale 135. Da Vittorio abbiamo il menu Gli Esordi a 260 euro e quello Dalla nostra campagna a 220. Da Materia a Cernobbio, il menu Green Power costa 85 euro e comprende 5 portate, il menu onnivoro con 5 portate a sorpresa costa la stessa cifra (ma ci sono altri tagli da 95 e 145 euro). Insomma non c’è una regola, ma spesso chi mette il menu vegetariano in menu lo propone a un prezzo più basso (o leggermente più basso) forse anche per invogliare il cliente a sperimentare. Chi invece realizza menu su richiesta, di solito usa lo stesso prezzo del menu della degustazione.
In generale mi sembra corretto avere prezzi differenziati in base alle materie prime. Dall’altro lato credo sia anche importante utilizzare il prezzo come strumento di rivalutazione dei vegetali, o almeno uno degli strumenti. Se i piatti sono veramente ben pensati, ben realizzati e con eccellenti materie prime, non devono essere mortificati da prezzi più bassi solo perché non sono caviale e foie gras. Attribuire un giusto valore (anche economico) è uno dei primi step per riattribuire anche un valore morale a questi alimenti. Basta che non diventi speculazione e inutile marketing.