Ci sono alcune cose molto autentiche da Kappou Ninomiya, piccolo nuovo ristorante giapponese a ovest di Milano, altre meno. Autentiche inteso come rispondenti a come funziona in Giappone, il che non è necessariamente un bene né un male, ma un fatto, peraltro a volte dai risvolti esilaranti.
Come già al momento della chiamata per prenotare, le scuse profuse e accorate dall’altra parte del cavo mi fanno pensare che forse la telefonata sarà abbandonata per una scossa di terremoto improvvisa. Invece, no: mi si stava solo per informare che non sono ammessi animali domestici. L’ossequio esagerato e un po’ comico (bonariamente, eh) dei giapponesi in gran spolvero. Meno autentico è invece che, a differenza della madrepatria dove ai vari stili culinari esistono tipicamente ristoranti dedicati, con un’estetica e un immaginario ben precisi, qui tali molteplici stili sono quasi tutti insieme rappresentati. Il menu ne offre una sorta di compendio didascalico ben impaginato e ben fotografato.
Nulla di male, se non altro perché in barba a dogmi e purismi vari, si dà accesso a molta varietà oltre il solito sushi. È una questione però anche di estetica, intesa come universo sensoriale di riferimento, parallelo al cibo e con esso confluente, che nella cultura giapponese fa parte di un tutto imprescindibile.
Per la cucina alla griglia (yakimono) dunque, si dovrà fare a meno del tipico contesto scuro e deciso e dell’aroma maschio di legno arso. Se scegliete il ramen, l’atmosfera rapida, leggera e vorace di un ramen bar è lasciata alla vostra immaginazione. Così come il menu, l’estetica del luogo è un riassunto dell’immaginario giapponese, minimale e generico, per sommi capi come un riassunto solo può essere.
La zona del bancone dove gli chef lavorano ospita una manciata di coperti ed è lì che dovreste prenotare. Legno chiaro, mood essenziale, luci calde e piatti impreziositi e decorati singolarmente come unico ma sufficiente palcoscenico per le creazioni meticolose degli chef al lato opposto. Se non trovate posto al bancone, rinunciate e andate un’altra volta. Quando sarete lì accomodati, non voltatevi. Il resto della sala è blanda, desolante e color cremino; e gravata da una patina ostinata di nuovo ed economico. Lontano dall’essenzialità giapponese che è sempre calda e riflessiva, qui sembra piuttosto un kebabbaro di periferia cui si è appena data una mano di nuovo. I Giapponesi arrivano prima, sono molti, circa la metà dei coperti. Alle 9 in punto, come di consueto, il contingente italiano riempie il resto della sala e l’atmosfera prende un po’ di calore.
La tempura sarà pure piuttosto modesta, su essa aleggia inopportuno l’odore di una frittura pesante, ma i nigiri sono sublimi. Polposi, gonfi e ridondanti senza esserlo troppo. Nei roll maki, il riso luccica come schiuma marina al primo sole, nel breve frangente in cui riposa sull’alga prima di essere arrotolato. Il nigiri con tonno grasso (toro) ha la consistenza irreale di una mousse lasciva. Quello con uova di salmone (ikura) è una piccola cascata di bolle d’ambra levigate cariche di tutta la risoluta sapidità dell’oceano.
Dal “capitolo” onmono (piatti principali caldi), può darsi che il macinato di wagyu in salsa di dashi con melanzana e zucca fritte sia un pastrocchio confuso di cui si fa fatica a cogliere il senso, ma il sashimi è definitivo. Al di là del pesce, ciò che lo eleva sono il wasabi e lo zenzero marinati di qualità e freschezza assolute, ché nulla è così importante nella cucina giapponese come i dettagli minori.
Forse ancora può risultare seccante che tre o quattro voci del menu non siano disponibili, ad esempio le ostriche fritte (ma abbiamo sostituito con l’eccellente versione fresca in salsa di soia e bergamotto). Ma tutto si dimentica davanti al polpo marinato, morbidezza assoluta a cui la nota balsamica del wasabi e quella marina e potente dell’alga donano un contrastante tocco selvaggio.
Se non convince affatto l’anguilla grigliata in doppia cottura, buona con la classica salsa agrodolce ma inutile nella versione “in bianco” dove prevale nuda solo la parte grassa che invischia il palato, ben altra musica è l’insalata di wagyu. Sottili fettine pregiate in perfetta assonanza con la melanzana grigliata e i riccioli di foie gras grattugiato che le accompagnano.
Dunque (non?) chiamatelo sushi bar. È ironico, ma niente affatto dispregiativo, che in un ristorante che prova a offrire la complessità della cucina giapponese oltre il solito sushi, beh sushi e sashimi siano forse a discapito delle intenzioni il suo punto di forza. Probabilmente i migliori finora provati in città. Il conto è impegnativo ma, in tutta onestà, chi possa davvero dire di aver mai mangiato giapponese bene spendendo poco, scagli la prima bacchetta.
Opinione
Per gli appassionati di cucina giapponese, magari sempre sul chi va là nell intercettare nuove proposte oltre il solito sushi e sashimi, Kappou Ninomiya può generare più di un’aspettativa, proponendo un menu ambizioso e molto diversificato. Alla prova dei fatti però, è proprio sul vecchio classico sushi&sashimi che il luogo dà il suo meglio, laureandosi forse il migliore provato finora in città. Le altre creazioni oscillano tra esiti buoni quando si rimane sul semplice e qualche passo falso per le proposte più complesse.
PRO
- Sushi e sashimi superlativi.
- Antipasti molto convincenti.
- La cena al banco degli chef offre uno spaccato aderente alla tradizione giapponese.
CONTRO
- A parte la zona del bancone, ambiente e design desolanti.
- Alcune tra le creazioni oltre a sushi e sashimi non sono all’altezza.