Era Los Angeles l’altra grande passione di Jonathan Gold, il critico gastronomico americano scomparso il 21 luglio scorso, il solo ad avere vinto il premio Pulitzer per le sue recensioni.
Una passione allineata con quella più nota –la passione per il cibo– che permetteva a Gold di scovare ogni genere di locale, con una predilezione per quelli popolari, locali etnici aperti dagli immigrati e frequentati dalla gente comune più che da una ristretta élite di buongustai.
Gold era americano, ma prima ancora era di Los Angeles, anzi, lui “era” Los Angeles, come dicevano i colleghi e come ha riferito il New Yorker in un articolo appassionato. Una metropoli spesso rinchiusa nel vecchio stereotipo di città apatica, distratta e poco colta; una città di cui, invece, Gold ha mostrato il lato profondo.
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Per metà ebreo, proveniente da una famiglia della middle-class americana e laureato in storia della musica, Gold ha iniziato a collaboare con il Weekly –inserto settimanale del Los Angeles Times– negli anni Ottanta raccontando il movimento punk, l’heavy metal e il rap della West Coast prima che riviste come Rolling Stones ne scoprissero l’esistenza.
Poi, è arrivato il cibo.
Tacos, costolette alla brace, porridge coreani, panini iraniani e noodles narrati con lo stile erudito e ricco di implicazioni sociali che avrebbe ispirato una generazione di giovani giornalisti gastronomici, come quando scrisse del suo amore per il burrito di pastrami: risultato di una commistione tra immigrati ebrei e messicani che vivevano negli stessi quartieri di Los Angeles negli anni ’30.
Una passione per i locali popolari proseguita anche dopo la promozione, nel 2012, a capo della critica gastronomica del Los Angeles Times, ruolo che imponeva a Gold di frequentare locali di livello superiore.
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Neanche il premio Pulitzer ottenuto nel 2007, il più prestigioso riconoscimento per il giornalismo americano, ha cambiato la sua visione: ha continuato a parlare di burritos e street food piuttosto che di ristoranti stellati e locali alla moda, onorando la vera natura della città, riconoscendo che spesso a guidare il suo gusto erano emozione o nostalgia, e non sempre il palato e lo stomaco.
Gold sapeva come trovare il centro di Los Angeles, quello che i turisti stranieri rimproverano alla città degli angeli di non possedere: passo dopo passo, isolato dopo isolato, locale dopo locale, assaporava la metropoli prima con la mente, e solo dopo con il palato.
[Crediti: New Yorker]